sabato 28 dicembre 2013

LA CRISI E' BRUTTA E MORDE, MA EVOCARE LE MACERIE DEL DOPOGUERRA E' IGNORANZA O STUPIDITA'


Facci è detestato da motli immagino più per il modo in cui dice, e scrive, le sue idee che per le stesse, che per lo più sono informate a solidi ragionamenti (a volte anche mero buon senso).
Però, a differenza di altri, il suo dire non è mai suadente, non cerca di convincere, ricorda il Cyrano di Rostandt nel suo "spiacere è il mio piacere, amo essere odiato" .
E' un polemista, non un opinionista. E nel fare il suo mestiere, usa sempre il bastone, mai il fioretto.
Ciò ricordato, come non essere d'accordo sulla frecciata avvelenata scagliata contro Squinzi e Confindustria che recentemente hanno parlato delle conseguenze della crisi economica paragonandole a quelle di una guerra, magari pure perduta ?
Non aveva nonni il Presidente degli industriali italiani , che non gli hanno raccontato com'era l'Italia nel 1945 ? E noi non eravamo stati rasi al suolo come la Germania, o la Russia, o il Giappone.
Ecco, Facci prova a ricordargli qualche particolare di allora e consiglia al centro studi di quelli di Viale dell'Atronomia di studiare meglio...
Dargli torto ? 

Facci: "Confindustria, ma quale guerra?"

Il centro studi parla di scenario post-bellico, ma forse non ricorda quello che gli storici chiamano "Stunde Null"

 
Facci spernacchia Confindustria: "Dovete Imparare prima l'italiano"
 
Le città sono rase al suolo, non esistono strade, ferrovie, trasporti, uffici postali, scuole; le banche sono chiuse, il denaro non vale nulla, gli ospedali sono un caos, non esistono istituzioni né polizia né tribunali né linee telefoniche, la radio non trasmette, i giornali non escono, i negozi sono distrutti o depredati, le sole attrezzature disponibili sono tra le macerie, soprattutto non c’è cibo, la gente ruba ciò che riesce, uomini in armi vagano per le strade e saccheggiano, violentano, si vendicano persino sui bambini. Questo era il dopoguerra europeo tra il 1944 e il 1945, ciò che gli storici chiamano «Stunde null», ora zero. Io continuo a ripensarci dopo le parole del centro studi di Confindustria, che per impressionarci ha parlato di un’Italia «con danni commisurabili solo con quelli di una guerra». Ecco, forse il centro studi non ha studiato abbastanza. E vien da chiedersi, di fronte alla triste condizione del nostro Paese, se non dovremmo anche ricominciare a riappropriarci del linguaggio, del suo senso reale, della Storia, della misura: anziché perpetuare un drogatissimo e inservibile vocabolario mediatico che ha reso non credibili politici, giornalisti e ora - benvenuti - anche gli amici di Confindustria. La verità è sufficiente, per raccontarcela abbiamo bisogno di ritrovare il significato delle parole, non di vendercele tra di noi come un prodotto da strillare. Buone feste. Che significa solo: buone feste.

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