domenica 29 dicembre 2013

RE GIORGIO ? MOLTO DI PIU'. IL PRESIDENZIALISMO SENZA VOTO POPOLARE.


Proliferano gli appelli sulla rete a boicottare il messaggio di fine d'anno del Presidente della Repubblica. Personalmente, non ne ho seguiti molti nella mia vita e MAI per intero, che la retorica - di cui sono inevitabilmente farciti - mi è ostica (per gli stessi motivi non ho nemmeno mai ascoltato i discorsi di Silvio Berlusconi ).  Credo che molti italiani facciano come me, se è vero che lo scorso anno solo il 16% ha dedicato il suo tempo non ai preparativi di fine anno ma a sentire le parole dell'uomo del Colle.
Non penso che la maggioranza degli assenti lo faccia per i motivi di Grillo o del Cavaliere, che per ragioni diverse hanno in uggia l'attuale Presidente, piuttosto per  quelli comuni al mio : delle parole siamo un pochino stufi. Oddio, può anche essere che Napolitano, deluso dal tradimento delle promesse ricevute quando accettò di ricandidarsi alla presidenza , vale a dire larghe intese con i due partiti maggiori collaboranti per le riforme strutturali da tempo "irrimandabili" (le parole, come lamenta Facci, da tempo da noi hanno perso il loro significato letterale) o almeno, per le  "poche cose importanti" in materia elettorale e istituzionale, mostri nel suo discorso la sua irritazione e dica anche cose non banali. Direi anzi che me l'aspetto.
Scomparso dai radar Berlusconi, la politica deve trovare un fronte divisorio e Renzi non ha ancora abbastanza potere in questo senso. Resta appunto Napolitano, e i fronti dei fedeli e dei contro si sta armando. Come sempre, disdegno le tifoserie, e cerco di attenermi ai fatti e questi dicono che non avevamo avuto finora un capo del Quirinale che dirigesse, in sostanza, la politica del governo. Dai tempi di Pertini non abbiamo più avuto il Presidente in stile notarile che aveva caratterizzato gran parte della stagione della Prima Repubblica, ma è con la seconda che si è visto il cambio di passo, con Scalfari che duella con Berlusconi, poi Ciampi che fa un ampio uso di una moral suasion fortificata da diversi rinvii alle camere di leggi NON controfirmate, adesso Napolitano che ha praticamente "eletto" due presidenti del Consiglio : Monti e Letta, nessuno dei due espressione del voto popolare. 
Non solo ma, come detto, l'agenda di governo viene sottoposta al placet del Colle, fino agli ultimi episodi dove appare evidente che Letta sia una sorta di "pupo" tirato dal Quirinale.
La cosa curiosa è che tra i fan di Napolitano ci sono tanti, Scalfari in testa, dichiaratamente nemici del "presidenzialismo". Al che ci viene da pensare che questa avversione non è per i poteri che verrebbero attribuiti al capo dello Stato con quel sistema (che molti se li è già presi comunque), ma per l'investitura popolare (che invece legittimerebbe finalmente quei poteri !).
Insomma il problema, per questi signori,  è che questo capo dello Stato con poteri di governo non venga scelto attraverso alchimie di palazzo che pensano di poter controllare meglio rispetto al voto degli elettori.
Davide Giacalone non è certo un nemico di Napolitano ma da tempo lamenta gli strappi cui quest'utlimo ha sottoposto la carta costituzionale. Con ogni probabilità non si tratta di cupidigia di potere, ma insofferenza crescente ad un sistema istituzionale che, dopo quasi 70 anni, mostra i suoi limiti (anche originari in realtà, non solo legati alla vetustà). Ma allora, se così è (ed è così) bisogna avere la forza e il coraggio di cambiare determinate cose della Costituzione, andando OLTRE i suoi un po' ottusi partigiani ( gente come D' Arcais, Zagrebelsky e compagnia cantando).
Dell'articolo che segue, solo su una cosa obietto : Letta non ha ritirato il decreto approvato dal Parlamento (che allora tutto quello che dice Giacalone sarebbe sacrosanto) ma quello che, con la fiducia, aveva superato l'esame della Camera, e ancora doveva passare il vaglio del Senato. 
Insomma, il pasticcio brutto rimane, e nel Consiglio dei Ministri successivo alla cosa la contrizione e anche la rabbia per l'accaduto pare fossero a livelli alti,  ma lo "scippo" formale al Parlamento forse non c'è stato, che non vi è una norma che impedisce ciò che è stato fatto : ritirare il provvedimento prima della sua approvazione definitiva. E' vero che la legge parla di 60 giorni per la sua conversione senza la quale lo stesso decade ma non è scritto che in quel lasso di tempo il governo non possa più intervenire, come ha fatto.
Certo, è anche vero che una cosa simile non mi risulti sia mai successa. 
Buona Lettura


 

Decrepando



Per salvare la Roma municipale s’è ulteriormente diroccata quella istituzionale. Il Natale è stato più volte usato come strumento di distrazione, ma quest’anno s’esagerò: dall’Assemblea della Banca d’Italia al decreto “rinunciato”, su sollecitazione del Quirinale. Passaggi destinati a creare catene di conseguenze. Negative.
Il decreto “salva Roma”, nel corso della sua conversione, era divenuto accozzaglia di pressioni e interessi particolari. Che non vuol dire, almeno non necessariamente, negativi o vergognosi, ma, di sicuro, ami cui far abboccare il luccio della spesa pubblica, per strapparle via qualche brano di carne. L’esatto contrario di quel che ci serve. Contro questi assalti il governo dispone di armi, previste dalla procedura parlamentare: può opporre il proprio parere negativo; può chiedere ai capo gruppi della maggioranza di vigilare con più attenzione; e, se ripetutamente e significativamente battuto dalla propria maggioranza, può punirla apponendo la fiducia. Il governo Letta ha fatto il contrario, chiedendo la fiducia sul decreto emendato, quindi considerando quel testo, frutto degli assalti, consustanziale alla propria esistenza, fedele espressione della propria politica. Fiducia che ha ottenuto. I quarantenni affrancati ne fecero una di testa loro, ma al varco si son ritrovati con l’ottuagenario che li ha suonati.
Per rimediare, però, è stata avviata la tragedia costituzionale. Il presidente della Repubblica, che aveva firmato il decreto nella versione preparata dal governo, interviene e manifesta indisponibilità a condividerne le successive modifiche. Nel merito ha ragione, ma la Costituzione ha le sue regole e qui assistiamo al fatto che il Quirinale boccia il lavoro del Parlamento, impedendogli di portarlo a termine. Cosa gravissima, perché nella nostra Costituzione la volontà parlamentare prevale su quella presidenziale, e non il contrario (tanto che il Colle può rinviare leggi già approvate, ma è poi costretto alla firma ove rivotate nel medesimo testo). Allora si prova la pezza, grottesca: il governo rinuncia alla conversione e ritira il decreto. A parte il fatto che trattasi del medesimo governo che su quello pose la fiducia, resta che i decreti non sono né rinunciabili né ritirabili. Hanno effetto immediato, che dura due mesi, salvo modifiche o rigetto. Ma da parte del Parlamento, non del Quirinale.
Quello cui abbiamo assistito, dunque, è l’uso del governo contro la volontà parlamentare, per volontà presidenziale. Con un kamasutra istituzionale che costringe oggi il governo a varare un decreto che interviene sull’iter di ratifica di un altro decreto, non ancora decaduto. Scena orribile.
Un tempo eravamo solitari, nell’indicare i guasti di un Colle in costante espansione. Lo siamo rimasti nel sostenere che si tratta di un processo degenerativo di lunga e vasta durata, che si svolge parallelamente al decomporsi della politica. Adesso, però, la scena è affollata da quanti non esitano a definire il Quirinale sede sempre meno repubblicana e sempre più monarchica. Sbagliano: nessun re costituzionale ha la metà dei poteri che Napolitano esercita sul governo, fino a interdire la volontà parlamentare. Certamente non il re italiano dello Statuto albertino. E sbagliano se ritengono che siano questioni legate alla persona, inevitabilmente annebbiata anche dal leccume generale. No, qui è la Costituzione del 1948, che funzionò benissimo allora e che da decenni ha preso a far cadere polvere dal soffitto, poi a manifestare  le crepe, quindi a lasciar cadere qualche blocco consistente, con tensioni che producono sinistri scricchiolii. Quella roba, oramai, è sul punto di crollare rovinosamente, esponendo a rischi enormi. Da tanto tempo si sarebbe dovuto procedere al restauro, ma nella sala, a banchettare, c’è troppa gente che si crede furba e pensa di potere restare da sola, quando gli altri saranno costretti alla fuga. Vecchi arnesi fuori uso si giocano il futuro che non hanno.

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