Trovo molto bello l'articolo di Giuseppe Caldarola in merito alla discussione sulla riforma del lavoro che si sta riaccendendo dopo l'annuncio del "job's act" di Renzino.
Io Giuseppe Caldarola lo conoscevo poco, confesso. Avevo fatto il "tifo" per lui nella brutta vicenda della querela mossagli da Vauro per un suo commento satirico contro una infame vignetta fatto dal disegnatore caro a Santoro su Fiamma Nirenstein, di fumus razzista. Il Tribunale, per ora, ha dato ragione a Vauro, lasciando molti sconcertati (non il sottoscritto. Scontento sì, sconcertato no, che ormai i giudici mi sorprendono qualche volta in positivo. In negativo...può sorprendere ciò che avviene probabilmente ? ).
L'amico Valeriano Giorgi, che cura una preziosa rassegna stampa dei migliori articoli del Corriere della Sera, ha aggiunto a questi i post di Caldarola e così ho iniziato a leggerlo con regolarità.
E lo apprezzo molto.
Non sono certo il solo, che i suoi interventi ottengono il favore diffuso di noi lettori di FB.
E' sfuggito questo ultimo pezzo, che purtroppo sembra essere stato letto da pochi. Eppure il futuro passa ( o non ) da QUI : il rilancio della PRODUTTIVITA', molto più importante della regolamentazione del lavoro, con minore o maggiore flessibilità, in entrata, in uscita, gli ammortizzatori sociali...Tutte cose buone e giuste ma che sono un po' un predicare nel deserto se l'economia non gira. Se non ho ordinativi, clienti, non è che io imprenditore mi metto ad assumere solo perché mi hanno tolto dalla palle l'articolo 18 ! .
E i famosi investitori stranieri vanno sì incentivati con una più moderna e semplificata normativa della materia, ma al contempo bisogna rendere appettibile il nostro mercato anche dal punto di vista fiscale, burocratico, energetico.
Caldarola si concentra, lodevolmente, sui produttori, e fa bene.
Se posso formulare un dissenso, non me ne vorrà nè l'autore, è sull'eccessiva valorizzazione del ruolo dei leader sindacali di ieri. Migliori di oggi, che ci vuole anche poco, ma errori gravi ne fecero confidando che l'industrializzazione fosse ormai una realtà di fatto irreversibile della società italiana, collaborando poco alla solidificazioni delle fondamenta, concentrati esclusivamente sulla "redistribuzione" . Penso ad un bell'articolo di Edmondo Berselli sull'ingiusto egualitarismo di massa in fabbrica, con la demonizzazione del merito, degli incentivi ai migliori, e al salario variabile indipendente dal profitto, fino all'obrobrio demagogico della scala mobile, che da salvaguardia delle retribuzioni divenne rapidamente il fattore primo dell'inflazione che i salari se li mangiava !.
A parte questo, pieno apprezzamento, anche sull'esortazione al buon Matteo di sfuggire alla sua vena televisiva, con troppi annunci e pochi fatti, che alla fine poi la gente quelli gli chiede.
Buona Lettura.
"No, un nuovo dibattito sulla flessibilità, no!"
I “giovani turchi” del Pd (ma quando vi decidete di cambiare denominazione?) hanno criticato, con osservazioni sensate, le misure sul lavoro proposte da Renzi e per tutta risposta un giovane renziano li ha invitati ad aspettare la lettura del testo definitivo in cui saranno contenute le proposte. Peccato che le critiche dei “giovani turchi” (armeni d’Italia stare in guardia!) vengono dopo l’annuncio fatto da Renzi in tv.
Ecco qui ci sarebbe una bella innovazione che il nuovo segretario del Pd potrebbe fare: smetterla con gli annunci e parlare per “acta”, visto che è facile raggiungere l’effetto con poche parole televisivamente ben declamate ma è ovvio che su quelle parole si scateni un dibattito spesso inutile.
Io ho un’altra critica da fare. Sono convinto che la legislazione sul lavoro debba sempre più assomigliare a quella che c’è in altri paesi europei e sono altresì convinto che bisogna semplificare e ridurre le norme. Sono altrettanto convinto che il dibattito flessibilità/rigidità sia ormai stantio perché superato dal dato di fatto che il lavoro non c’è e che non sarà una buona legge sulla flessibilità a crearlo.
Per creare lavoro bisogna creare ricchezza, spingere vecchi e nuovi imprenditori a investire, indicare, e questo è il compito della politica e del governo, qual è il destino produttivo del paese. Sono anni che si discute di diritto del lavoro e non si discute su come cambiare l’economia difendendo le imprese buone, aiutando quelle in difficoltà, invitando nuovi e coraggiosi imprenditori a inoltrarsi su campi finora poco esplorati.
C’è stato un tempo in cui sindacati, imprese e partiti discutevano o litigavano sul tipo di economia che si voleva creare in Italia, sul ruolo del pubblico, sui settori da favorire. Le grandi discussioni, lotte e leggi sul lavoro sono venute dopo allorché il paese sembrava avviato a diventare una grande potenza industriale.
Da Renzi mi aspetto un po’ di più di una bella riforma del lavoro. Mi aspetto che dica che cosa può fare il governo che lui potrebbe presiedere o questo che a lui sta sui cabasisi per invitare gli imprenditori a correre il rischio-Italia. Se ha ragione Confindustria quando dice che sulla nostra economia è come se si fosse abbattuto l’effetto di una guerra mondiale, tali e tanti sono i disastri che abbiamo di fronte, una nuova classe dirigente di quarantenni deve avere lo stesso respiro e ambizione delle classi dirigenti della Germania o di alcuni paesi asiatici e deve dire dove vogliamo portare l’Italia.
Finora il dibattito pubblico su questi temi è assente e povera è la cultura economica dei quarantenni, sia degli stabilizzatori del quadro economico, espressione impropria in cui metto Letta, sia dei lavoristi, sia degli innovatori alla Renzi.
Risalite a bordo, cazzo. Studiatevi Di Vittorio, Valletta, Angelo Costa, Olivetti, Lama, Trentin e poi parlate al paese dicendogli : là ti vogliamo portare, per questo ci vogliono sacrifici, per questo ti devi modernizzare. Altrimenti vinceranno sempre il luddismo mediatico di Grillo e le ondate dei forconi d’occasione. Mi rifiuterò sempre di discutere le proposte sul lavoro che siano disgiunte da proposte su come creare ricchezza e ridare slancio all’economia. Il dibattito no! Abbiamo già dato.
Se una critica vera va fatta alla classe dirigente che è stata rottamata è di aver dedicato troppo tempo ai politologi, ai costituzionalisti, agli economisti televisivi. Voglio vedere in campo i produttori.
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