sabato 28 dicembre 2013

L'ERRORE DI MISCHIARE ETICA E GIUSTIZIA. LO STATO DI DIRITTO E' ALTRA COSA.


Il 2014 sarà l'anniversario dei 250 anni dalla pubblicazione Dei Delitti e Delle Pene di Cesare Beccaria, che potremmo definire una delle bibbie del garantismo. Siamo nel 1764, la rivoluzione americana con la sua costituzione sarebbero venute più di 10 anni dopo, quella francese 25 !. 
E nel 1815 a Versailles, con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, molte lancette furono portate  indietro, ancorché con precario successo (che indietro non si torna mai veramente, non del tutto almeno) e con l'Ancient Regime tornato a imperare in Europa testi come quello di Beccaria erano da considerarsi blasfemi ( e del resto lo aveva ben intuito la Chiesa Cattolica, che il pericoloso libro lo aveva messo all'indice appena due anni dopo la sua uscita...). 
Beccaria allora si batteva contro la pena di morte e la tortura. Ancora oggi quasi la metà degli Stati del mondo, e circa un terzo degli USA, praticano la pena capitale. Parimenti la tortura non è scomparsa, anche se la si "camuffa" per lo più (in alcuni paesi nemmeno, che non hanno problemi di "politically correct" ).
Pensiamo quindi la portata rivoluzionaria del  pensiero di Beccaria due secoli e mezzo fa. Torneremo a parlarne.
L'incipit dedicato al grande Milanese mi serve per introdurre un bellissimo articolo di Piero Sansonetti sulla sua rivista GLI ALTRI. Sansonetti è personaggio noto, visto che compare non infrequentemente in tv, è stato caporedattore e anche condirettore dell'Unità, comunista storico, progressista (molto) sulle tematiche  civili, più conservatore in campo economico (anticapitalista). Io lo ascoltavo in TV e non mi dispiaceva, poi il mio Maestro di diritto e procedura penale, l'avv. Domenico Battista, segnalò un suo libro , "La Sinistra è di Destra", che lessi e che mi piacque molto. Un altro amico, Nicola Mente, mi segnalò la rivista settimanale Gli Altri, che Sansonetti dirige e ho letto diverse cose anche su di essa.
La conclusione è che Sansonetti, insieme a Caldarola, sono i comunisti (ex) che "amo" di più, per il loro coraggio, autocritica e onestà intellettuale.  "Ti piacciono quelli pentiti", mi hanno fatto osservare (in quell'occasione in realtà lodavo Francesco Piccolo e il suo magnifico "Il Desiderio di essere come TUTTI" ). Bé dopo 70 anni di socialismo reale conclusosi con lo sgretolamento del muro di Berlino, forse autocritica l'avrebbero dovuta fare, tanta e meglio, tutti quelli di quella militanza...
Ma a parte questo, non è che Sansonetti o Caldarola , o Piccolo, non siano più di Sinistra, tutt'altro !.
Solo che non sono militanti ottusi.
In materia di garantismo, di cui entrambi i due giornalisti sono alfieri gagliardi, non è che sono loro ad aver cambiato idea rispetto agli ideali tradizionali della migliore sinistra, ma semmai proprio gli ex compagni, che per motivi di alleanza politica contro il comune nemico (prima il pentapartito, soprattutto poi avverso Berlusconi ) si sono infelicemente sposati con la magistratura "secolarizzata" ( ho ribattezzato così quella invischiata nella politica, commettendo peccato simile alla Chiesa quando dimentica la propria missione per mischiarsi a 360° delle cose temporali). 
Il giustizialismo di questi ultimi 20 anni sono una vergogna della Sinistra che potremmo mettere alla stregua, come nefandezza ideologica, del filo sovietismo. 
E come all'epoca c'erano i coraggiosi che si facevano espellere dal PCI per protestare contro i Carri armati a Budapest (pochi in verità) e a Praga (già di più) , così ci sono oggi questi fieri garantisti che invocano il recupero della "retta via".
L'articolo che segue è da conservare. Magistrale la definizione di Berlusconi prima "vittima non innocente di una macchinazione giudiziaria". E' stupenda nella sua sintetica verità.
Ma anche la ferma distinzione tra Stato Etico e Stato di Diritto, con la scelta del secondo, e la separazione che DEVE esserci tra etica e amministrazione della giustizia, sono espresse in modo superlativo.
Mai come stavolta, Buona Lettura


Siamo e restiamo garantisti: buon 2014
da tutta la redazione degli Altri

Piero Sansonetti Pubblicato da
il 26 dicembre 2013.
Pubblicato in gli Altri.
Il 2013 è stato l’anno della vittoria dei giudici su Berlusconi, dopo una guerra, con fasi alterne, durata circa 20 anni. La posta era alta. Berlusconi voleva riformare la giustizia, e togliere potere ai giudici; i giudici volevano spedire in prigione Berlusconi. Ci sono riusciti. Recentemente il professor Alfonso Stile, eminente studioso di diritto penale, ha definito Berlusconi – in modo, credo, assai felice – la prima “vittima non innocente” di una macchinazione giudiziaria.
La fine della guerra tra il cavaliere e la magistratura dovrebbe avere un effetto positivo: quello di ripulire dall’”effetto-caimano” la lotta politica e culturale tra giustizialisti e garantisti. Questa lotta – che vede una piccolissima pattuglia di garantisti rifiutare la resa, di fronte alla schiacciante superiorità numerica, giornalistica, economica e politica degli avversari – è stata una costante del dibattito politico degli ultimi due decenni ed ha letteralmente sconvolto la mappa della politica italiana, mescolando e spesso ribaltando le posizioni di destra e sinistra. La sinistra italiana è uscita culturalmente sfregiata da questa battaglia ed ha accettato una posizione di subalternità nei confronti del giustizialismo e del moralismo (persino sessuale), spesso con entusiasmo, talvolta come male necessario e minore.
Per capire la realtà di oggi basta dare un’occhiata ai giornali di questi ultimissimi giorni dell’anno: l’annuncio di un provvedimento di aumento degli sconti di pena per i detenuti ha provocato una sollevazione di una parte dell’opinione pubblica, guidata da quella che ormai è considerata l’ala più avanzata e “pura” della sinistra italiana: l’asse Grillo-Travaglio-Santoro. Attenzione: stavolta Berlusconi c’entra poco. Il provvedimento del governo gli servirà appena appena ad una diminuzione di pena di un paio di mesi, ma questo sconto sarà sottoposto comunque alla decisione del tribunale di sorveglianza, dunque al potere della magistratura.
Recentemente ho partecipato, in Aspromonte, ad un bel dibattito sul tema giustizia, insieme al Pm napoletano John Woodcock e al procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Il procuratore di Reggio mi è sembrato una persona seria, ragionevole, aperta alla discussione e sicuramente di forte tempra morale (e nessuno può mettere in discussione le sue ottime doti di investigatore che ha raso al suolo la camorra dei casalesi). A un certo punto della discussione, De Raho ha espresso una sua convinzione che è questa: «La giustizia deve essere a disposizione dei deboli, perché i forti non ne hanno bisogno”. La sua frase è testuale, e io -forzandola appena – provo a tradurla così: «la giustizia sia forte coi forti e indulgente coi deboli». Idea che trovo affascinante e molto nobile. E’ una idea, per così dire, “etica”, che si contrappone all’”etica della sopraffazione” o anche, più semplicemente all’”etica del mercato”. E tuttavia il limite della posizione di De Raho sta esattamente in questa sua bellissima convinzione di tipo morale. Perché? Perché De Raho, come la gran parte dei magistrati e anche degli intellettuali di sinistra, fa coincidere etica e giustizia. E questa certezza di coincidenza è esattamente l’elemento che sgretola lo Stato di Diritto e pone le fondamenta per lo Stato Etico. Lo Stato Etico può essere solo autoritario. Non si tratta di contestare il principio etico di De Raho (che a me piace) si tratta di negare la possibilità che etica e giustizia possano allearsi o addirittura sovrapporsi. Se l’etica si sovrappone alla giustizia, nasce il regime. L’etica può avere a che fare con la politica, mai con l’amministrazione della giustizia. Anche perché bisognerebbe poi stabilire che è il titolare dell’etica, e cioè qual’è il potere che la esprime. Durante il fascismo il potere era il fascismo. Nel Cile di Pinochet era Pinochet. E durante il comunismo sovietico era il partito, o i capi del partito, o “il” capo del partito. Il regime non nasce da un’etica cattiva. Qualunque etica, se si fa potere, se diventa assoluta e insindacabile, realizza il regime.
Queste considerazioni un po’ confuse che ho scritto sono il filo conduttore del lavoro che questo giornale sta svolgendo ormai da quasi cinque anni. Tra mille difficoltà, ostracismi, condanne, irrisioni. Noi siamo persuasi che oggi la battaglia per il ripristino della stato di diritto sia la battaglia fondamentale da combattere. Se non si vince questa battaglia, allora vince l’idea della sopraffazione e la legge dei rapporti di forza. Non si illuda nessuno: i rapporti di forza, per definizione, sono sempre a vantaggio del più forte. Senza lo Stato di diritto, il debole è sottomesso e vessato.
La battaglia per lo Stato di diritto si può condurre solo assumendo il punto di vista “garantista” come le colonne di Ercole.  
Garantismo vuol dire rifiuto dell’emergenza, rifiuto dell’insindacabilità del potere, difesa dell’innocenza, difesa delle opinioni dell’avversario, rifiuto della superiorità dell’etica, rifiuto dei linciaggi e delle condanne popolari, contestazione del potere giudiziario. 
Leggete le pagine che seguono e troverete molti spunti in questa direzione. Sono un po’ il riassunto di questi nostri cinque anni di fatica. E sono il punto di partenza per ricominciare la battaglia politica, intellettuale e giornalistica.

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