mercoledì 18 dicembre 2013

MA VERAMENTE RENZI SFIDA IL SINDACATO SULL'ART. 18 ??


Leggi il titolo del Corriere e dici FINALMENTE, è tornato il Renzi delle prime Leopolda : per i neo assunti non varrà più l'articolo 18. Questa famigerata norma che è poi diventata tale non tanto per quanto dice in sé (il lavoratore licenziato ingiustamente deve essere reintegrato nel posto di lavoro) ma per l'applicazione che ne è stata data nel tempo, per responsabilità prima dei sindacati e poi dei magistrati.
Ti assenti dal lavoro per malattia e poi ti trovano a lavorare da un'altra parte ? Non puoi essere licenziato.
Ti azzuffi coi colleghi di lavoro perché ti ha lasciato "la tu moglie" ? Non puoi essere licenziato.
Arrivi sistematicamente in ritardo in ufficio ? Idem
Ti riveli incapace nello svolgere il lavoro per il quale sei stato assunto ? Niet.
In questi casi molti giudici del Lavoro (in passato quasi tutti) annullavano sistematicamente il licenziamento ritenendo che una misura disciplinare fosse sufficiente a sanzionare la condotta non lecita del lavoratore. 
Di sentenze così è piena non la casistica ma proprio l'aneddotica ormai della giurisprudenza del lavoro.
Non va tanto meglio nel campo dei licenziamenti per giustificato motivo (quelli precedenti sono detti "per giusta causa" ), inerenti a situazione di crisi aziendale, che sindacati prima, e giudici poi vengono a sindacare a te imprenditore il criterio con il quale scegli la riduzione del personale. Che se dici, tengo Rossi e Bianchi perché sono più bravi, ti ridono in faccia.
E così l'art. 18, la "tutela reale" del posto di lavoro è diventata quella norma per la quale con un contratto a tempo indeterminato il lavoratore te lo sei sposato, non assunto. Anzi no, che divorziare è più facile.
A suo tempo, nel 2001, quando Berlusconi provò a parlare di riforma del lavoro e articolo 18, si trovò tre milioni di lavoratori in piazza mobilitati da Cofferati (una di quelle meteore di cui parla spesso D'Alema...).
A Monti e alla Fornero non è andata meglio. Che senza bisogno di riempire il Circo MAssimo a Roma, anche al governo dei tecnici quella riforma non l'hanno fatta passare (anche se qualche annacquamento c'è stato).
Adesso, udite, udite, ci prova Renzino. 
Almeno così dice il titolo.
Poi leggi, e all'inizio sembra quasi che l'incipit trovi conferma, che il neo segretario del PD risponde in modo molto netto - lo accusano di una sorridente arroganza - ai messaggi della CGIL che suggerisce di partire dai LORO piani di lavoro nazionale, dicendo "noi siamo il PD e partiamo dalle nostre idee".
Una marcatura di differenza notevole e assolutamente encomiabile (che se non era appena stato eletto a mani basse, immagino cosa sarebbe successo. Ma in questo momento Renzino è untouchable ). 
Proseguendo la lettura l'entusiasmo ti si smorza, che la frenata è notevole.
Vabbè, leggete da soli. Tanto qui siamo solo alle prime schermaglie.



Il piano del Pd per il lavoro:
neoassunti senza articolo 18

Un nuovo contratto per rilanciare l’occupazione. In caso di licenziamento indennizzo ma niente reintegro

Il segretario del Pd, Matteo Renzi Il segretario del Pd, Matteo Renzi

ROMA - «Abbandoniamo gli slogan e facciamo un piano del lavoro a 360 gradi, inserendolo nel patto di coalizione». Matteo Renzi lancia la sfida sulla riforma del mercato del lavoro e non coglie l’offerta che gli arriva dalla Cgil, sia pure indiretta (la fa su Twitter Massimo Gibelli, portavoce di Susanna Camusso): «Partiamo dal nostro piano del lavoro nazionale?». Il neosegretario pd risponde con un no secco: «La Cgil fa un altro mestiere. Ci confrontiamo con tutti ma noi siamo il Pd, non un sindacato. Partiamo dalle nostre idee».

E di idee ce ne sono molte, non tutte concordanti, su come riformare il mercato del lavoro. Renzi ha già annunciato che entro un mese sarà pronto il «job act», il testo che dovrebbe rivoluzionare le regole. A lavorarci sono in tanti: Yoram Gutgeld, deputato e spin doctor economico di Renzi; ma anche la responsabile Lavoro Marianna Madia; il responsabile Economia Filippo Taddei; il responsabile Welfare Davide Faraone; e, come supervisione politica, Maria Elena Boschi.
Idee chiave, abbattere i vecchi tabù, combattere il precariato, ridurre la burocrazia, semplificare le norme e riformare gli ammortizzatori sociali. Domani, in segreteria, partirà la discussione. Spiega Faraone: «La stella polare è il modello scandinavo, la flexsecurity, che avevamo già lanciato 4 anni fa alla Leopolda. Bisogna riformare drasticamente, agendo su due binari paralleli: il lavoro e lo Stato sociale».

Il piano, a quanto si sa, è quello di introdurre un contratto a tempo indeterminato per i neoassunti, che non prevede la tutela dell’articolo 18 (reintegro o indennizzo in caso di licenziamento illegittimo): in questo caso sarebbe eliminato il reintegro e resterebbe solo l’indennizzo. L’articolo 18 sarebbe ancora valido per i contratti in essere, ma anche per i nuovi contratti, in alternativa a quelli «flessibili» che si vogliono introdurre.

Gutgeld previene le possibili obiezioni (che portarono la Cgil sul piede di guerra e tre milioni a manifestare contro Berlusconi, nel 2001): «Resta tutto, non vogliamo togliere nulla, vogliamo solo aggiungere. Non aboliamo l’articolo 18, non aboliamo i contratti a progetto e non aboliamo i contratti a tempo indeterminato. Anzi. Quello che si vuole è guardare la realtà: spesso c’è un uso improprio dei contratti a progetto. E il contratto a tempo indeterminato è diventato un’araba fenice. Vogliamo aiutare i giovani e dare un’alternativa al deserto della precarietà».

La soluzione, dunque (vicina alla vecchia proposta Ichino), è quella di un contratto indeterminato di inserimento, «alternativo non al tradizionale contratto a tempo indeterminato, che rimane, ma al precariato». Gutgeld spiega che «potrà esserci anche una dinamica negoziale positiva con i datori di lavoro: per esempio, io potrei accettare un contratto con meno protezione, in cambio di una retribuzione più alta».
Che il tema sia delicato nel Pd, Gutgeld lo sa (a partire da Stefano Fassina): «Spero che l’opposizione a queste idee non sia miope». Faraone è ottimista: «Temi come l’articolo 18 non devono essere più tabù. È chiaro che possono esserci meno garanzie che in passato, ma come contrappeso ci sarà una rete di protezione più ampia. È intollerabile per la sinistra che non ci sia un sussidio universale e che la cassa integrazione e la mobilità riguardino solo alcuni. Comunque ce la faremo: quattro anni fa proponemmo l’abolizione del finanziamento pubblico e ci trattavano da pazzi; ora fanno tutti la gara a scavalcarci».

Ma i temi sono molti e i pareri anche. L’ombra della (non amatissima) riforma Fornero è dietro l’angolo: «Ma quella è una legge lontana dalla nostra proposta», dice Taddei. Che alla domanda su una possibile abolizione della Cassa integrazione, risponde così: «Con un approccio complessivo si può fare tutto. Ma il nostro obiettivo è garantire chi non ha tutele». Si può fare tutto, anche intervenire sulle «pensioni d’oro», come è pronto a fare Faraone. Monica Gregori, pd in commissione Lavoro, avverte: «Bene, ma attenti a non togliere le tutele e a non rifare gli errori disastrosi della Fornero. E poi dobbiamo avere il coraggio di andare oltre le proposte di Ichino». Tra le altre misure allo studio, la semplificazione del codice del lavoro, il rilancio dei centri per l’impiego e l’utilizzo dei fondi europei per i giovani.

Nessun commento:

Posta un commento