giovedì 19 dicembre 2013

"PERCHé LA LEGGE FRANCESE CONTRO I CLIENTI DELLE PROSTITUTE E' UNA CATTIVA LEGGE." UNA RIFLESSIONE AL FEMMINILE


Molto bello l'articolo che oggi appare sulla rubrica 27^ ora del Corrriere della Sera che riflette sul recente provvedimento del Parlamento francese che multa severamente i clienti delle prostitute : 1.500 euro, che aumentano pesantemente in caso di recidiva.
Contro quest'intervento legislativo (certo che in Francia, pur di non pensare alle VERE rioforme che sono costretti a fare in materia di welfare se le stanno inventando tutte) pedagogico paternalistico  - perché ormai il problema della schiavitù sessuale è estremamente ridimensionato, e anzi semmai una misura antiproibizionista come questa può alimentarlo - si sono schierati molti intellettuali (anche goliardicamente, col movimento "giù le mani dalla mia puttana" http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/10/le-prostitute-sono-un-diritto-rivolta.html ) e le femministe si sono spaccate in due. Le "storiche" assolutamente contro una legge del genere che alla fine condiziona la libertà della donna di fare quello che vuole del proprio corpo, e quindi sì, anche venderlo.
Ma a parte il solito conflitto tra moralisti, epicurei gaudenti, maschilisti inveterati, femministe (divise) l'articolo approfondisce di più l'aspetto negativo che una legge del genere rappresenta per le donne che, per qualunque ragione, vogliono continuare a svolgere questo mestiere che tutti sono pronti a scommettere non verrà debellato dalla bacchettata sul pisello dei maschietti comminata attraverso la minaccia al portafogli.
Per cui la prostituzione continuerà ma peggioreranno le condizioni delle donne che si prostituiscono. Il problema è dato dal ritorno alla clandestinità, al rafforzamento della necessità di lavorare al buio, per non far beccare il cliente che poi sarebbe salassato dallo stato bacchettone. 
Insomma, con il nobile pretesto della lotta allo sfruttamento della prostituzione (in Italia riguarda il 10% del totale, secondo un'inchiesta recente dello stesso Corriere ) in realtà si colpiscono le prostitute, diminuendone i clienti e favorendo veramente (come ogni proibizionismo insegna) il ritorno alle "protezioni" di chi è in grado di organizzare la transazione al riparo delle legge.  
Le critiche all'iniziativa francese sono bene argomentate, spiegando perché la "soluzione" non funzionerà ma anzi peggiorerà il problema.
Viceversa, si rimane delusi nel finale, quando ti aspetti una proposta (anche magari : lasciate che il mercato facci ail suo corso e occupatevi di altre cose ) che invece non arriva.
Solo l'auspicio che l'Italia trovi una via innovativa migliore.
Quale, non è dato sapere. 



La prostituzione ci parla non di una devianza ma della “normalità” del maschile: che riguarda uomini clienti e non clienti, che hanno in comune un immaginario, una cultura, una concezione della sessualità

Sesso a pagamento:
la punizione dei clienti
salverà le donne?

 

Mentre in Italia riparte l’attacco alla Legge Merlin, con la proposta di referendum abrogativo capitanata dalla Lombardia, la Francia pronuncia il primo sì sulla legge neo-proibizionista che mira a eliminare la prostituzione scoraggiando la domanda, ovvero punendo i clienti. Mentre la prima iniziativa segna un percorso a ritroso, regressivo, sulla via tracciata dal dopoguerra in poi che, a partire dalla chiusura dei bordelli, ha messo in questione il diritto sessuale maschile, la seconda pare coronare con successo questo processo. A costo, però, di tradire i presupposti essenziali che hanno animato le legislazioni abolizioniste degli anni ’40 e ’50, in Francia e in Italia come in molti altri paesi: la salvaguardia della libertà, della salute, della piena cittadinanza delle persone che si prostituiscono.
Spostare finalmente l’attenzione sui clienti, dichiarare che la prostituzione è un «problema degli uomini», nel senso che chiama in causa la costruzione del maschile, sono ottime premesse per un rovesciamento di segno nel discorso secolare sul commercio sessuale che ha lasciato troppo a lungo in ombra l’uomo che paga, concentrando gli sguardi, le preoccupazioni morali e politiche, gli interventi pubblici sulle sole persone che si prostituiscono. Ma la nuova legge francese, come già quella svedese che ne è il modello, solleva più di un interrogativo in chi guarda al problema dalla prospettiva delle condizioni di vita e lavoro di chi si prostituisce, vittima nelle nostre società dello stigma più pesante, e perciò in vario modo già gravemente esclusa/o dai diritti e dall’esistenza civile.
Si sono levate per questo, sempre più alte, le voci contrarie delle travailleuses du sexe d’oltralpe. Lo Strass, il sindacato francese delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso, ha prodotto un dettagliato documento di critica della legge depositata in parlamento dalle deputate socialiste Maud Olivier e Catherine Coutelle, contestando la confusione di fondo tra prostituzione e sfruttamento della prostituzione, il paternalismo dell’impianto che mette sotto tutela le persone che si prostituiscono ma soprattutto il rischio di condannare queste ultime a una maggiore precarietà, povertà, marginalità, violenza. Perché quando la prostituzione si rifugia nel segreto e si allontana dagli spazi pubblici aumenta la vulnerabilità di tutti i soggetti coinvolti. E non basterà a migliorarne le condizioni il fatto di considerarli per legge tutte vittime (non perseguibili, anche grazie alla cancellazione del reato di adescamento passivo), spostando interamente lo stigma sui clienti (per cui sono previste multe da 1500 euro). Perché è proprio l’illegalità, connessa allo stigma, ad aumentarne la vittimizzazione: «Stigma kills» recita uno slogan del movimento delle sex worker.
Trasferire questo stigma dalla prostituta al cliente non affronta alle radici il nodo complesso che lega nel nostro tempo sesso e consumo, sfera dell’intimità e mercato. Un nodo che chiama in causa cultura del corpo, cultura dell’immagine, commercializzazione delle emozioni. E che interroga la costruzione della sessualità e del potere maschile ad un livello meno superficiale di quello toccato da una previsione di legge che disegna una fantomatica popolazione di “perversi” e “malati”, incapaci di aderire a una presunta norma che distingue il “buon” sesso dal “cattivo” sesso. La prostituzione ci parla non di una devianza (sociale, criminale) ma della “normalità” del maschile. La normalità che riguarda uomini clienti e non clienti, che hanno in comune un immaginario, una cultura, una concezione della sessualità. Il desiderio maschile che si esprime attraverso lo scambio sesso-denaro non riguarda solo la prostituzione ma riguarda più in generale relazioni tra i sessi fondate su un’asimmetria di desiderio tra uomini e donne. Non due soggetti, ma un soggetto e un oggetto. Il desiderio è uno ed è maschile, alla donna restano ruoli connessi alla sua disponibilità: alla cura, al piacere altrui. «Seduzione e maternità sono due “corazze” pesantemente collocate sul corpo e sulla sessualità femminile, e non basta certo la consapevolezza nuova affiorata alla storia dopo secoli di sottomissione a scrollarseli di dosso», scriveva qualche tempo fa Lea Melandri su questo blog.
Se parliamo di norme e di diritti, io credo che un modo per affrontare questo nodo essenziale sia partire dal pieno riconoscimento delle persone che si prostituiscono come soggetti di volontà, scelte e desideri: né corpi a perdere né oggetti d’uso e di abuso verso cui esercitare la forza pubblica o al contrario una tutela paternalistica. E quando questi soggetti sono costretti a subire limitazioni della volontà, violenze o schiavitù sessuale, lo Stato deve lavorare per assicurare le possibilità di denuncia, protezione, reinserimento sociale.
La criminalizzazione della prostituzione, seppure tradotta in una legislazione di ispirazione femminista, tende a incatenare le persone che si prostituiscono a un destino di passività che ne aumenta i pericoli di abuso. E non solo: quando sposta l’attenzione sui clienti rischia di mancare il bersaglio. Il ricorso degli uomini al sesso a pagamento si fonda largamente su quella che Stefano Ciccone dell’Associazione Maschile Plurale descrive come una scissione tra «una dimensione della sessualità alta, nobile, rispettabile, compatibile con una relazione d’amore, con un progetto di genitorialità, e poi una dimensione sporca, bassa, degradante che pensiamo di mettere in gioco con la prostituta, con la donna senza onore disponibile per denaro e non per desiderio». Ciò che il neo-proibizionismo fa, mentre sottopone a critica questa costruzione, è paradossalmente di rinsaldarla, invocando una sorta di depurazione tutta volontaristica dalle zone più torbide del maschile.
La prostituzione è un fenomeno complesso da affrontare per via legislativa, particolarmente se si tiene fermo il fuoco sulla sua normalità e non si cede alla tentazione di sbarazzarsene come di una scomoda e imbarazzate perversione. Anche superando la resistenza teorica e politica che suscita l’idea di una regolamentazione normativa (e repressiva) della sessualità, nessun modello esistente – né il neo-proibizionismo di marca svedese né il regolamentismo olandese o tedesco, delle vetrine o degli eros center – appare scevro da effetti negativi né capace di garantire al tempo stesso la tutela di diritti e libertà delle persone che si prostituiscono e la protezione dai fenomeni di tratta e sfruttamento. Forse l’Italia, che si trova oggi al bivio tra questi percorsi così diversi, ha la possibilità di inventarsi qualcosa di nuovo.

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