martedì 31 dicembre 2013

NON E' BASTATO L'ARRIVO DI RENZI : IL PD SEMPRE PIù SIMILE ALLE FAIDE DEMOCRISTIANE

 
Antonio Polito è un attento osservatore delle cose della politica ma soprattutto di quelle di casa PD, che conosce particolarmente bene anche per essere stato a suo tempo un parlamentare di centro sinistra (ultimo governo Prodi ).
Non credo di sbagliare nel definirlo un uomo di idee Liberal, un progressista che rifugge i radicalismi di certa sinistra. Insomma, probabilmente uno che ha votato alle primarie dei democratici e lo ha fatto per Renzi. 
Questo non significa che non si accorga delle acque agitate che anche il neo segretario contribuisce a movimentare nel PD , partito che ormai ricorda il peggio della Democrazia Cristiana per lotte interiori che non hanno mai fine. 
Renzi ha fatto molte promesse (troppe ? ), ha suscitato speranze e non può permettersi di deludere. Certo, si potrebbe osservare che  il Cavaliere ci ha campato politicamente quasi 20 anni sulle promesse...ma Renzino non ha gli atout che aveva Berlusconi : soldi, media, anticomunismo (che si è trasformato per tanti in anti sinistra tout court ) . Come la DC dei tempi che furono, l'ultimo punto ha sempre garantito, ad una forza numericamente credibile per rappresentare la "Diga" contro la gauche, un elettorato numeroso e non schizzinoso, pronto al limite  a turarsi il naso.
Ecco, Renzi non ha questa rendita di posizione, la sua è una guerra di movimento, se si ferma e finisce per assomigliare agli altri, è perduto.
Lui lo sa, e per questo si agita tanto.
Forse però troppo. 
 

L’impazienza di un leader
 
Ai tempi della Dc , quando cambiava il segretario del partito di maggioranza, l’equilibrio si ristabiliva o con una crisi di governo o con un rimpasto. Ai tempi del Pd il nuovo segretario non può chiedere né l’una né l’altro. Non il rimpasto, perché sa troppo di prima Repubblica, anche se la sua corrente (che non sembra affatto essersi sciolta) ha già l’acquolina in bocca. Non la crisi, perché più che al buio sarebbe una notte della Repubblica, priva perfino dell’opzione estrema del ricorso alle urne, reso impossibile dalla sentenza della Consulta sulla legge elettorale; e per giunta costretta al trauma dell’elezione di un nuovo capo dello Stato, visto che quello attuale considererebbe tradito il patto per le riforme sulla base del quale fu eletto. In più, a differenza di un segretario della Dc, Renzi deve rendere conto a due milioni e rotti di elettori che lo hanno plebiscitato sulla base delle sue promesse, non poche. Come se ne esce, allora? Se si dovesse giudicare dalla fine del 2013, l’anno nuovo non promette niente di buono. Renzi prova ad evitare il rischio di stallo, dopo tanto volare, alzando ogni giorno il tiro sul governo di cui è l’azionista di maggioranza. E Letta si trincera invece nel governo, acuendo così il rischio di stallo, anche a costo di subire umiliazioni come l’assalto alla diligenza del salva Roma, sempre aspettando un Godot che oggi è il «contratto di governo», domani il semestre di presidenza europea. Al momento, insomma, i due Dioscuri del Pd sembrano voler usare il 2014 per vedere se il potere logora chi ce l’ha (Letta) o chi non ce l’ha ancora (Renzi). La fraternità è così scarsa che il giovane sindaco ha rivendicato addirittura una diversità antropologica rispetto al duo Letta-Alfano (a dire il vero non del tutto giustificata perché anche lui, come i due al governo, mangia pane e politica in famiglia da quando aveva i pantaloni corti). Mentre da Palazzo Chigi si replica battezzando Renzi come «il nuovo Brunetta», uno che passerebbe le giornate a dare ultimatum al governo, e gli si ricorda che lui avrà pure rottamato D’Alema, ma Letta e Alfano hanno rottamato Berlusconi. Di questo passo, e con questi toni, il pericolo è il nichilismo politico, molte reazioni ma poche azioni, una crisi perenne e una sconfitta comune alle Europee. Per il Pd non esiste infatti alcuna possibilità di stare contemporaneamente al governo e all’opposizione. Perfino il leader che s’inventò l’ossimoro del partito di lotta e di governo fallì: e si chiamava Enrico Berlinguer. Un nuovo equilibrio politico può fondarsi solo su una solida performance di governo di entrambi i protagonisti. Renzi dice che è in grado di fare la legge elettorale in un mese: si applichi dunque a questa sfida con tutta la determinazione e l’astuzia di cui è capace; Letta dice che sta salendo il Pil e stanno scendendo le tasse, provi a convincerne gli italiani che non ne sono così sicuri. Entrambi tengano a mente due cose: la prima è che se ciascuno tenterà di intestarsi tutto il merito delle riforme non ne farà nemmeno una perché l’altro le impedirà; la seconda è che tutti e due appartengono a un partito che non è la Dc, non ne ha né la forza elettorale né il radicamento, e dunque senza alleati falliranno.

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