martedì 17 dicembre 2013

RENZI COME BERLUSCONI NEL 1994 : LA SPERANZA NEL SALVATORE DELLA PATRIA


Nel PD in tanti hanno ostacolato, e lo faranno ancora state pur certi, l'ascesa del leader carismatico, dell'"uomo solo al comando", preferendo, morto Berlinguer,  la conduzione collegiale con un segretario espressione degli equilibri di corrente (alla DC insomma). Nel PCI i leader c'erano, altrochè, e dettavano la linea. Togliatti : Amnistia ? Si fa  e zitti , art. 7 della Costituzione ( quello che ratificava i patti lateranensi tra Mussolini e Chiesa) approvato e muti ; Muro di Berlino, carri armati a Budapest e Praga ? Tutto giusto e chi non lo pensa si accomodi alla porta .  Berlinguer parlava più sottovoce ma comandava lo stesso e quindi sì all'eurocomunismo, all'ombrello Nato (!!) ma soprattutto sì al compromesso storico. Oggi per le larghe intese c'erano i dementi che si iscrivevano al PD solo per la soddisfazione di poter bruciare la tessera in TV, all'epoca il nemico politico storico di 30 anni diventava l'alleato. E naturalmente, nel partito (che quelli fuori non solo dissentivano, menavano, qualcuno sparava anche ) tutti allineati e coperti. 
Altri tempi, si dirà. Ma il leaderismo fa parte della natura umana, specie nei momenti di incertezza e insicurezza.
Lo dice bene Galli della Loggia nel suo editoriale odierno, ma ieri me lo diceva anche una bella donna che francamente non è un'appassionata di politica ma dotata di intelligenza sufficiente da osservare questa cosa. Di volta in volta, nei momenti bui, cerchiamo e scegliamo un uomo "nuovo" che ci faccia sperare nella sterzata all'insù. Accadde con Berlusconi nel 1994, ora è il turno di Renzi. 
Anche il Cavaliere, all'epoca, seppe sedurre parte dell'elettorato non di sua pertinenza : moltissimi operai e anche tanti dipendenti e pensionati (tutti serbatoi tradizionali della sinistra, i primi da sempre, gli altri dal tramonto dell'assistenzialismo democristiano) votarono Forza Italia credendo non alla promessa di un paese "migliore" (che sta cosa alla fine, nella sua pindaricità interessa poco alle persone più semplici ), quanto a qualcuno che avrebbe fatto cose per migliora la LORO condizione. 
Ora potrebbe riuscire a Renzi. Oddio, l'uomo ultimamente sta sposando tesi assai ostiche per l'elettorato moderato (mentre invece care alla sinistra più in ) come lo Ius Soli ( era un cardine di Bersani...) e i diritti civili , temi fortemente divisivi ed identitari, però non sono queste cose che cambieranno l'Italia. 
I nodi VERI sono quelli di sempre : Tasse, Lavoro, Spesa, Debito. A cascata, Burocrazia, Corruzione e Giustizia. E' da questa gola che passa la crescita, e su questi temi aspettiamo con grande attenzione il neo segretario.
Il resto sono cose che servono per i dibattiti, gli applausi della propria clac (ma anche le battute al vetriolo degli avversari). 
Anche i sacrosanti provvedimenti anticasta, con il derby ingaggiato con Grillo su questo fronte, sarebbero ben poca cosa se restassero isolati. 
Nel discorso che fa Galli della Loggia, la chiosa è fondamentale, soprattutto per Renzi : il rischio della DELUSIONE.
Ed è più grande rispetto a Berlusconi, che quest'ultimo ha COMUNQUE sempre potuto contare sull'unità dell'elettorato antisinistra, che si disperde nelle elezioni amministrative ma che si ricompatta in occasione di quelle politiche. 
E quindi tanti delusi del Cavaliere continuarono a votarlo, turandosi il naso. Altri, molti, si sono rifiutati MA NON per questo hanno votato la coalizione avversaria, preferendo l'astensione o Grillo. 
Ecco, a mio parere Renzi, se iniziasse a deludere, NON potrebbe contare su questo bonus.
Inoltre, Berlusconi è stato il padre-padrone dei suoi (tuttora lo è, dei rimasti, che sono comunque non pochi, accreditati ancora di un 20% ), potendo inoltre contare su notevoli mezzi economici e mediatici.
Nel PD NON è così, e non illuda quel 70% delle primarie (anche Prodi, Veltroni, Bersani conobbero trionfi similari).  Resterà tale se porterà a casa risultati, altrimenti potrebbe rivelarsi che abbia ragione D'Alema, che rispondendo ai giornalisti commentava : "sapeste quante ne ho viste di meteore...".


ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA "PUNTARE TUTTO SU UNA PERSONA" 
 
La crisi economica sta spingendo la politica italiana in una direzione molto precisa: verso un’oggettiva accelerazione del processo di personalizzazione. Soprattutto per due ragioni: perché fino ad ora tale processo — checché se ne sia detto a proposito del berlusconismo — non era ancora andato molto innanzi, ma soprattutto perché da noi più che altrove (eccezion fatta per la Grecia) la crisi economica sta prendendo il carattere di un’aspra crisi sociale. Cioè di una radicale messa in discussione dello status di milioni di persone: percepita in modo tanto più doloroso quanto più elevato era il livello precedente di garanzie e di benefici. In una situazione del genere è naturale che si diffondano sentimenti individuali e collettivi di incertezza e di timore. Non si è più sicuri di ciò che si è e di ciò che si ha, di ciò che può riservare il futuro. Appaiono in pericolo i progetti di vita e i mezzi necessari a realizzarli (la piccola rendita finanziaria, il mutuo per la casa, l’avere un figlio, la pensione). Domina una sensazione angosciosa d’instabilità. Sono queste le condizioni psicologiche ideali perché cresca la domanda di una guida, di un orientamento autorevole, di qualcuno che indichi la via per uscire dal tunnel. Non inganni il mare di discorsi sulla presunta ondata di antipolitica. È vero l’opposto: nei momenti di crisi come quello che attraversiamo cresce sì, e diviene fortissima, la critica alla politica, ma a quella passata (che le oligarchie intellettuali vicine al potere scambiano appunto per antipolitica tout court ), mentre invece diviene ancora più forte la richiesta di una politica nuova e diversa. Sotto la forma, per l’appunto, di una leadership all’altezza della situazione. Di qualcuno che sappia indicare soluzioni concrete ma soprattutto sia capace di suscitare un’ispirazione nuova, di infondere speranza e coraggio, di alimentare — non spaventiamoci della parola — anche una tensione morale più alta: quella che serve a restituirci l’immagine positiva di noi stessi che la crisi spesso distrugge. La leadership in questione però — ecco il punto — può essere incarnata solo da una persona, da un individuo, non da una maggioranza parlamentare o da un’anonima organizzazione di partito: due dimensioni che in Italia si segnalano da decenni solo per la loro irrisolutezza e la loro sconfortante modestia. La personalità, invece, è sempre stata, e sempre sarà, pur nella sua inevitabile ambiguità, la risorsa ultima e maggiore della politica: proprio perché nei momenti critici, delle decisioni ultimative, è unicamente una persona, sono le sue parole e i suoi gesti, il suo volto, che hanno il potere di dare sicurezza, slancio e speranza. Nei momenti in cui molto o tutto dipende da una scelta allora solo la persona conta.
L’opinione pubblica italiana si trova oggi precisamente in questa situazione psicologica: è alla ricerca di qualcuno a cui affidare la guida del Paese, di qualcuno che mostri la volontà di assumersi questo compito, di avere la capacità e il senso del comando, l’autorevolezza necessaria. È una ricerca, un’attesa, così acute, nate da un sentimento di frustrazione e di esasperazione ormai così vasto e profondo, da rendere quasi secondarie le tradizionali differenze tra destra e sinistra, essendo chiaro che a questo punto ne va della salvezza del Paese, cioè di tutti. Dietro l’ascesa di Matteo Renzi, e a spiegare l’atmosfera elettrica che sembra accompagnarlo ovunque, c’è un tale sentimento. Così forte tuttavia — e questo è il massimo pericolo che egli corre — che alla più piccola smentita da parte dei fatti esso rischia tramutarsi in un attimo nella più grande delusione e nel più totale rigetto.

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