Notoriamente la Francia, dei grandi paesi europei, è quello a maggior trazione statalista - noi seguiamo a ruota. Da quelli parti il liberalismo ha poco appeal che anche la destra, che in fondo ha come padre ispiratore De Gaulle, ha una forte impronta dirigista. Però, quando si tratta di tassare, quelli di sinistra bisogna lasciarli stare che quanto a ossessione fiscale redistributiva nessuno li può battere.
Solo che è già la seconda volta nella storia che partiti col sogno di togliere ai "ricchi" per sistemare le cose e fare finalmente giustizia in terra, i socialisti di Francia sono costretti a fare dietro front, che si accorgono che una politica principalmente basata sul carico fiscale, convinti che così facendo si sanano virtuosamente i conti, non funziona. L'economia si deprime, le aziende soffrono ulteriormente - che già la crisi morde di suo - , la disoccupazione aumenta e i consumi crollano. Succede anche da noi, pari pari.
Solo che in Francia Hollande si è proprio presentato ai suoi elettori promettendo che facendo giustizia fiscale, facendo pagare il 75% ai ricconi (a dire la verità sapeva e sa benissimo che questa è mossa solo propagandistica che quanti Depardieu vuoi spennare ? A parte che quelli scappano via, come infatti ha fatto il bravissimo attore) avrebbe sistemato le cose, risanato la Nazione senza toccare il tanto amato, e costosissimo welfare francese. Ecco, dopo nemmeno due anni di presidenza l'uomo ha visto che non funziona così, e anche i suoi sono delusi.
A dire la verità non è che Hollande avesse vinto con consensi favolosi, che al primo turno aveva preso meno del 30% e solo un punto e mezzo in più da un Sarkozy dato per spacciato alla vigilia (una prece per il fine umorista accasato Bruni...), che poi in Francia l'elettorato, come in Italia, è prevalentemente di centro destra.
Però Sarkozy aveva deluso troppo, e poi il bacio della Merkel deve essergli stato fatale. Ai francesi, anche quelli a droit, non piace l'austerity e l'idea di tagliare spese che riducono uno stato sociale che forse manco in Svezia (bisogna tenere conto che in Scandinavia non arrivano a 10 milioni di abitanti, i francesi sono oltre 60 milioni, costi un po' diversi...), non piace trasversalmente. E quindi viva Hollande. Dopo nemmeno 20 mesi la popolarità del presidente scialbo è sotto terra, e certo l'ultima vicenda di lenzuola non gli gioverà.
Sia come non sia, ecco che al discorso di inizio anno, il capo della Francia annuncia che bisognerà fare cose "diverse". In buona sostanza, quanto dovette fare Mitterand, che a metà del suo primo mandato sterzò decisamente verso il centro dopo aver iniziato la sua era sull'entusiasmo giacobino della Marsigliese.
Ora, se in Francia, dove NON c'è l'evasione fiscale, la tassazione è alta, le ruberie e gli sprechi di stato non sembrano esseri ai livelli nostrani, NON riesce attraverso quel tipo di politica di "tassa e spendi" a mantenersi a galla, magari noi potremmo trarre qualche piccolo segnale di cui far tesoro ?
Nonostante l'Europa gli conceda più tempo e avesse margini di debito pubblico da utilizzare ( e l'ha fatto, che la Francia si sta avvicinando decisamente al 100% di rapporto tra Debito e PIL ), Hollande non riesce, con le sole tasse, a sistemare i conti. L'Italia, per esempio, è vero che ha un debito pubblico peggiore, col 130% (con Berlusconi era al 120%, una enormità colpevole. Ma non è che in questi due anni si sia migliorato a quanto pare...), però ha una bilancia commerciale in attivo, mentre la loro è in rosso, siamo in avanzo primario, che loro si sognano, e se sforiamo il 3% di deficit lo facciamo di poco mentre loro sono ben lontani da quell'obiettivo. Ora, noi saremo i malati sorvegliati speciali dell'Europa, ma non è che i cugini scoppino di salute... Non è questo che ci interessa, quanto il rilievo che il rincorrere la spesa con le tasse, come entrambi i due paesi alpini fanno, NON funziona.
Bisogna avere il coraggio di tagliare la spesa, iniziando seriamente da quella del lavoro.
Ora anche Hollande prova a dirlo, ma sottovoce...
L'articolo che segue è una accorta analisi di Mssimo Nava, che segue le cose di Francia per il Corriere della Sera
Buona Lettura
SVOLTA IN ECONOMIA
Lo scatto tutto politico di Hollande
Svolta per il futuro, ravvedimento tardivo, scatto riformista dettato da necessità e urgenza. Ci sono molti modi d’interpretare il programma di François Hollande per i prossimi mesi.
Ma un dato emerge dal tradizionale appuntamento d’inizio d’anno con la stampa. Il presidente prende atto delle drammatiche condizioni economiche e sociali del Paese, sotterra la strategia piuttosto fallimentare dei suoi primi diciotto mesi e attacca alla radice i problemi strutturali della Francia, aggravati dalla lunga crisi europea. Problemi che rischiano di far perdere l’ultimo treno della crescita, già intravista in quei Paesi che hanno avuto più coraggio o, se si preferisce, più realismo. Dalla Germania alla Spagna, in attesa che anche l’Italia metta in pratica le enunciazioni.
La diagnosi francese è impietosa. E lo stesso Hollande l’ha rievocata, pur chiedendone il conto anche al suo predecessore, Sarkozy: debito pubblico oltre il 90 per cento del Pil, crescita al palo, bilancia delle esportazioni in profondo rosso, disoccupazione all’11 per cento, senza conteggiare la massa di precari, il fenomeno delle migliaia di giovani che espatriano, la lunga attesa d’ingresso nel mercato del lavoro.
Appena eletto, Hollande aveva scommesso sul ritorno della crescita e sulla possibilità di ridistribuire risorse senza intaccare il modello di garanzie e protezioni sociali: costoso, ma così caro ai francesi da essere considerato da molti irriformabile. Al tempo stesso aveva immaginato di raddrizzare i conti con un incremento delle imposte, dirette e indirette, che hanno finito per mortificare la consumazione e la produzione. Infine aveva sperato in un’inversione dei dati sulla disoccupazione, finanziando impieghi pubblici, mentre le imprese hanno continuato a licenziare.
La scommessa è perduta e il punto di svolta consiste nell’aggredire i nodi strutturali che bloccano il Paese: costo del lavoro, carichi fiscali sulle imprese, assistenzialismo, sprechi, eccessi e costi della macchina amministrativa e degli organismi locali. Hollande promette risparmi della spesa pubblica e rilancio della produttività con una manovra dell’ordine di qualche decina di miliardi. Il metodo resta tradizionale, secondo mentalità francese e cultura socialista: la svolta passa per il ruolo dirigista dello Stato e il consenso delle parti sociali alle quali Hollande propone formule onnicomprensive — «patto di responsabilità », «consiglio strategico» «choc di semplificazione » — che attendono di essere riempite di contenuti, limando incrostazioni e chiusure corporative e rilanciando gli investimenti. A tratti è sembrato di rileggere il famoso «rapporto Attali», voluto da Sarkozy, il libro bianco delle misure per la crescita rimasto sugli scaffali degli addetti ai lavori.
Si tratta di vedere se questo nuovo «compromesso storico socialdemocratico», realista più che liberista, spazzerà via alcuni tabù, ieri nemmeno evocati, come ad esempio l’orario di lavoro a 35 ore. D’altra parte, si annuncia l’eliminazione delle sovvenzioni familiari a carico delle imprese (come contropartita alla creazione di posti di lavoro) che già suscita irritazione in ambienti della gauche. I tempi sono comunque strettissimi. I sondaggi sono al punto più basso. Le elezioni amministrative ed europee sono alle porte.
Hollande ha accennato a più riprese all’Europa e al rapporto con la Germania. Anche in questo ambito ci sono segnali di svolta, nel senso di una maggiore consapevolezza e quindi convergenza delle politiche di competitività e riforme strutturali di cui altri Paesi cominciano a raccogliere frutti. L’illusione che un’ipotetica alleanza dei Paesi del Sud e una sponda socialdemocratica a Berlino potessero rinviare il rigore di cui anche la Francia ha bisogno è evaporata con la vittoria della Merkel e il programma della grande coalizione.
I tempi cambiano, ma la storia sembra ripetersi. Come Mitterrand, anche Hollande deve arrotolare qualche bandiera ideale sotto i colpi della crisi. Lo ha fatto con uno scatto d’orgoglio patriottico, stigmatizzando l’inclinazione molto francese al pessimismo e all’autodenigrazione.
I riflettori erano naturalmente tutti proiettati sulle vicende private del presidente. Ma Hollande ha stoppato fin dall’inizio la raffica di domande che le centinaia di giornalisti avevano preparato. Una sola ammissione, sul «momento doloroso» della coppia presidenziale e una ferma riaffermazione del diritto alla vita privata. Un solo accenno alla sua compagna, «che si riposa in ospedale», in attesa di chiarire, pare molto presto, gli aspetti formali della convivenza e del ruolo della «premier dame». Una sola risposta davvero esaustiva, per una domanda nella sostanza politica : «La sicurezza e la protezione del presidente sono garantite in qualsiasi momento». Anche quando esce in scooter dall’Eliseo.
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