Renzi si caratterizza nella percezione della prevalente opinione pubblica come l'uomo del Fare, ed è da molti trasversalmente apprezzato per questo. Io a febbraio 2013 l'ho votato un Movimento che aveva scelto FARE come nome identificativo, però non l'ho fatto perché mi piaceva ( anzi, che nome è ? ) la denominazione o lo slogan che lo accompagnava (per fermare il declino), bensì votavo le idee e il programma di governo immaginato.
Ecco, il problema che in tanti si pongono tra gli osservatori più attenti, senza bisogno di essere ostili al neo segretario PD, è : Fare va bene , ma COSA ??
Perché su questo la valanga di esternazioni - una incontinenza che nemmeno il Berlusconi giovane !! - non è che sia utile a dare chiarezza.
La sensazione, tra i benevoli, è che l'uomo sappia di dover cambiare passo, che non ha più la posizione vantaggiosa dell'oppositore che incalza, e quindi non bastano le idee suggestive, ora gli si chiede Cosa e Come . E su questo forse la chiarezza un po' si perde per la valanga di distinguo non solo politici ma anche giuridici che il nostro si trova ad affrontare. Che governare una città ancorché bella e importante come Firenze non è esattamente come guidare un partito di 9 - 10 milioni di elettori e domani un paese di 60.
E così il decisionista scopre la parola "priorità" che finora però viene usata prevalentemente in negativo ("non è una priorità"...) oppure in modo generico e pubblicitario ( priorità è il lavoro, e ci si ferma).
Sulla Giustizia, tema caro al Camerlengo, c'è invece solo molta prudenza, che essendo materia poco popolare e di cui Renzino non sa palesemente una mazza, si limita a dire slogan vuoti come "è da riformare"...Capirai, lo dicono pure i magistrati, che insieme ai sindacati sono forse oggi la casta più reazionaria del paese !
Insomma, l'uomo parla tanto, molti dicono anche in modo convincente, però si amplia l'attesa dei fatti.
Ieri è tornato su una materia a lui cara, la legge elettorale, e ha proposto ben tre modelli dicendo agli altri, scegliete tra questi, io non vi impongo il mio. Questa pluralità è stata apprezzata (tranne che da Grillo, che dice Niet a qualunque cosa) però c'è chi gli rimprovera lo sgarbo fatto ai partiti alleati nel governo.
Antonio Polito parla un po' di tutte queste cose nel suo editoriale odierno, a conferma dei molti punti di domanda che Renzi suscita anche tra coloro che lo guardano con benevolenza.
Buona Lettura (P.S. dissento completamente dalla chiosa di Polito sullo Spread : è basso perché lo è in tutta Europa e grazie a Draghi. non perché noi abbiamo rispettato il deficit...che se continuiamo a farlo tramite salassi fiscali vedrà Polito che fine facciamo).
"UN’AGENDA TEMPESTIVA (CON LA MINA SPAGNOLA)"
Matteo Renzi conosce bene l’arte della campagna elettorale permanente, qualità indispensabile nelle moderne democrazie del pubblico. E la sta insegnando al Partito democratico, come quel vecchio allenatore della Juve che pretendeva «movimento, movimento» dai suoi alquanto legnosi giocatori. Così pure a Capodanno il Pd è stato un passo avanti a tutti gli altri, e li ha costretti a seguire o a rispondere, con l’eccezione dei grillini usi a obbedir tacendo, dunque ruvidamente invitati dal vertice a non rispondere (che poi è un modo come un altro di opporre il solito, cosmico no). La proposta di Renzi, riformare la legge elettorale, riformare il bicameralismo, riformare il federalismo pasticcione del Titolo V, è un’ottima agenda politica, e la migliore risposta all’appello all’azione che è venuto dal Capo dello Stato nel discorso dell’ultimo dell’anno. Il problema è come e con chi farlo. E qui Renzi comincia a dover fare i conti con i dettagli, nei quali come è noto si nasconde il diavolo.
Prendiamo la legge elettorale. Ieri il Pd ha appreso ufficialmente di non avere una sua proposta in materia, ma di essere disponibile a scegliere à la carte tra tre pietanze molto diverse, a seconda di chi è pronto a cucinare con Renzi. Tra i tre modelli prescelti è anzi comparso a sorpresa anche quello «spagnolo», finora noto per essere caro solo a Verdini, e quindi di conseguenza inviso ad Alfano.
E infatti l’uscita di Renzi è stata benevolmente commentata dall’opposizione berlusconiana e freddamente accolta dall’Ncd che sta al governo.
Gli esperti della materia dicono che le tre proposte mostrano numerose contraddizioni, alcune sono proporzionali altre maggioritarie, in qualche caso sommano un premio di maggioranza a un sistema già maggioritario, e comunque non garantiscono, se non nel caso del doppio turno, che la sera delle elezioni ci sia un vincitore (in realtà non c’è sistema al mondo che lo possa garantire se non l’elezione diretta del capo del governo, cioè il presidenzialismo, chissà perché lasciato fuori dalla rivoluzione renziana).
Ma queste, direbbe il leader del Pd, sono tecnicalità. E ha ragione. Bisogna anzi ammettere che il suo approccio alla materia è pragmatico e furbo. Il problema è piuttosto un altro: se un modello vale l’altro, meglio partire da uno che sia gradito all’attuale maggioranza di governo, e poi contrattato con gli altri? Oppure è meglio fare una nuova legge elettorale spaccando l’attuale maggioranza?
Qui Renzi dovrà prima o poi dare una risposta. Non regge infatti l’argomento che la riforma elettorale è materia di accordi parlamentari senza nessi e conseguenze sul governo. Si tratta infatti della legge più politica che ci sia (come ben ricorda Prodi, il cui governo cadde quando Veltroni, appena eletto segretario del Pd, cominciò a trattarla con Berlusconi). Ed è curioso che Renzi voglia inserire nel contratto di governo le unioni gay, materia invece squisitamente parlamentare come fu col divorzio e l’aborto, e non la legge elettorale.
È vero che, come disse un tale, non importa se il gatto sia bianco o nero, l’importante è che acchiappi il topo. Però, prima di partire, sarebbe bene accordarsi su chi è il topo. E Renzi sa benissimo che giocare al gatto e al topo con Berlusconi e Grillo può essere più pericoloso, per il governo ma anche per lui, che giocare con Alfano.
La spinta di novità che Renzi ha portato nella politica italiana deve insomma incanalarsi al più presto nella sede propria, il Parlamento, e trovare binari non morti che portino alla stazione d’arrivo. Altrimenti tutto questo movimento rischia di non produrre risultati, trasformandosi piuttosto nel bollettino quotidiano dello spread tra il governo e la sua maggioranza.
Ps: ieri Renzi ha anche annunciato che si può sforare col consenso dell’Europa il vincolo del 3 per cento del deficit, al culmine di due anni di duri sacrifici dell’intera nazione per raggiungerlo. È solo grazie a quei sacrifici se oggi ci possiamo disinteressare a quell’altro, più temibile spread, ora tornato ai suoi minimi storici e fonte di notevoli risparmi di denaro pubblico. L’ottimismo di Renzi evidentemente si basa su questo.
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