Tra le cose che Renzi si propone di cambiare, c'è l'abolizione della riforma del Titolo V della Costituzione, votata dalla sinistra che cercava di accattivarsi i voti dei Leghisti. Era una riforma federalista, fatta molto male. Molti, tra cui Davide Giacalone, attribuiscono a quell'intervento un'importante, devastante contributo al dissesto dei conti pubblici con l'assalto delle regioni alle casse statali, con irrazionalità, diversità e sprechi tra Regione e Regione.
Siccome da noi vige il principio "Quando lo dico io !", per il quale i guasti della sinistra può rimediarli SOLO la sinistra, è a Renzi che bisogna guardare e sperare perché questo aborto finisca nell'inceneritore.
Chi scrive non è affatto contrario al federalismo, anzi. Credo che fatto bene possa servire a responsabilizzare governi locali e cittadini, senza l'alibi eterno del "governo ladro". Ma perché questo accada c'è bisogno che la competenza federale si estenda alla fiscalità, senza pesare sulle casse dello Stato Centrale. Perché dividere la responsabilità politica da quella patrimoniale è follia, e infatti i risultati sono stati quelli visti.
Viceversa, se i cittadini potessero vedere come e cosa i propri governanti fanno per le strade, gli ospedali, le scuole, come utilizzano i soldi delle loro tasse, in teoria dovrebbero sapersi regolare meglio al momento del voto. Negli stati federali veri funziona abbastanza bene.
Non so se Giacalone sia contrario al sistema federale tout court, preferendogli quello centralista, oppure se è QUESTO orrido sistema che boccia. Proverò a chiederglielo.
Intanto però bene fa nel post che segue a evidenziare due cose :
1) Quando si fa un errore, ancor di più una schifezza, poi nel momento di rimuoverlo chiedere scusa e ammettere di essersi sbagliati sarebbe cosa doverosa. La Sinistra non lo fa.
2) La Costituzione non si tocca, dicono alcuni beceri, come se la Carta fosse stata portata da Mosè. Però allora la toccarono, eccome. Male.
Buona Lettura
Titolo quinto, il raggiro ha vinto
Meritoriamente il segretario del Partito democratico, Matteo Renzi, insiste sulla necessità di cancellare la pessima riforma del Titolo quinto della Costituzione, che ha distrutto lo Stato unitario e fatto crescere a dismisura la conflittualità innanzi alla Corte costituzionale e il mostro della spesa regionale. Bravo. Però si vorrebbe sentire una parola chiara sulla colpa di ciò. Ieri, in direzione, ha detto: “abbiamo sbagliato”. Verissimo. Ma “noi” chi? Ha sbagliato la sinistra. Perché c’è chi, come noi, puntò l’indice contro l’obbrobrio nel mentre il Parlamento lo votava, e chi, come la sinistra, non solo lo volle, ma poi lo difese, impedendo che fosse posto rimedio. La memoria è necessaria, altrimenti va a finire che con il Titolo quinto il raggiro ha vinto.
La riforma incriminata risale al 2001. Governava Giuliano Amato (oggi giudice costituzionale), con una maggioranza di sinistra. A volere la riforma fu il più grosso partito della sinistra, che allora si chiamava Ds, Democratici di sinistra. Da quelle parti, ancora oggi, si sostengono due cose: a. che la nostra è la più bella Costituzione del mondo; b. che non va mai modificata “a colpi di maggioranza”. Invece la scassarono con uno scarto infinitesimale e con una maggioranza coincidente (ma minore) con quella del governo, che era consenziente. La ragione di tale porcheria era la voglia di sembrare più federalisti della Lega, così tentando di portarle via voti (era l’era in cui Massimo D’Alema considerava i leghisti “una costola della sinistra” e partecipava al loro congresso nazionale). Le elezioni le persero ugualmente. Noi perdemmo l’unità dello Stato. Ma questo è solo il primo passo.
Il 7 ottobre del 2001 si tenne il referendum confermativo. Il centro destra ebbe la grave colpa di sottrarsi alla campagna referendaria. Il risultato fu: votò solo il 34% degli aventi diritto (ma i referendum confermativi non hanno quorum, quindi sono comunque validi), di cui il 64% a favore della riforma. Siccome questa fece subito vedere i suoi effetti devastanti, già nel 2005 (18 novembre) era stata cancellata. Molti tendono a dimenticare, ma in quell’occasione, con una maggioranza comprendente la Lega (governava Silvio Berlusconi), fu reintrodotto nella Costituzione il principio di “interesse nazionale”. Per me era ancora poco, ma rispetto al disastro del 2001 era già molto. Peccato che la sinistra scatenò l’inferno, talché i suoi parlamentari chiesero il referendum confermativo, unitamente a 5 consigli regionali e dopo avere raccolto 150.000 firme. La loro riforma, quella che oggi Renzi vuol demolire, la difesero con le unghie e con i denti. Così si arriva al giugno del 2006 (governante Romano Prodi), quando il referendum confermativo dà il seguente risultato: votò il 52% e chiese la cancellazione dell’interesse nazionale il 61%. L’anno successivo, sempre restando al governo, chiusero i battenti i Ds e nacque il Pd.
Da quando è stata approvata quella riforma-sgorbio, qui non si fa che ripeterne l’estrema negatività. Nel 2006, con Libero, pubblicammo anche un libro, nel quale era contenuto un mio pezzo le cui tesi si ritrovano, pari pari, fra le cose che oggi dice Renzi. Nessuno chiede a lui, personalmente, di fare autocritica per un erroraccio in malafede, cui non prese in nessun modo parte, ma posto che fu opera del suo partito, benché diversamente nominato (sono sempre gli stessi !), e posto che oggi sostiene quel che noi abbiamo sostenuto per anni, sarebbe onesto riconoscerlo, stabilendo che non siamo affatto tutti uguali: c’è chi ragionò dell’interesse nazionale e chi operò solo per interesse di parte e di contrapposizione politica, procurando danni enormi all’Italia.
Non è a noi, pertanto, che si deve spiegare quanto sia giusto riformare la riformaccia, ma questo non cancella un problema: per farlo occorre tempo (doppia lettura parlamentare, circa un anno) e quel tempo ci porta dritti nella zona in cui non si potrà più votare; non è che la fregola delle urne ci appassioni, ma è pur sempre meglio del tirare a crepare, nel mentre i problemi crescono per i fatti loro; quindi, giusto per non farla sembrare una scusa, quella delle riforme costituzionali (cancellazione del Senato compresa), sarà bene partire dalla riforma del sistema elettorale. E’ ordinaria e può essere discussa subito. Se la sintonia, fra gli odierni Pd e Forza Italia, regge, bene, molto bene: avanti con le riforme. Se non regge, meglio saperlo subito.
Come scritto nella presentazione dell'articolo, ho poi chiesto a Davide Giacalone se la sua fosse un'avversione al federalismo tout court, o solo all'ibrido devastante messo su dalla sinistra. Questa la cortese (e prevista) risposta, di cui lo ringrazio :
RispondiEliminaDAVIDE GIACALONE
Quello non era un sistema federale, era un falso federalismo straccione e spendaccione. Il federalismo è un collante, non un solvente. Così nella storia, anche se non nella mente di taluni. Sono favorevole a quello che è stato chiamato, impropriamente, "federalismo fiscale", vale a dire il portare nella stessa mano che spende l'onere di riscuotere. Fatto è che non s'è mai visto.