Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
giovedì 9 gennaio 2014
PARE DI CAPIRE CHE UNA LEGGE ELETTORALE BUONA PER NOI ITALIANI LA DEBBANO ANCORA INVENTARE. IL CORSERA BOCCIA IL SISTEMA SPAGNOLO.
E nemmeno il sistema spagnolo va bene. Basta che in Italia si provi a cambiare qualcosa che subito le possibili novità vengono vivisezionate (e fin qui...) e immancabilmente bocciate. Accade anche che il presente, vituperato apparentemente da quasi tutti, poi venga rimpianto. Parlo della legge elettorale e del Porcellum, incredibilmente pianto da chi per lustri non aveva che gridato alla porcata...Uno spettacolo tragicomico coerente per il paese inventore del melodramma.
Adesso che una nuova legge tocca farla, che se no ci becchiamo il proporzionale puro, che è il Porcellum senza premio di maggioranza (dovrebbero sopravvivere le soglie : 4% per la Camera, 8 per il Senato, dimezzate in caso di partecipazione in coalizioni ) ecco che ciascun sistema proposto subisce la sorte sopra riportata.
Aldo Cazzullo, sul Corriere di oggi, prende per esempio di mira il metodo spagnolo, che i rumors vedono come passibile di una incestuosa intesa tra Renzi e Berlusconi, con grave scorno del Nuovo CD di Alfano ( sai che dolore...).
Ora, comprendo bene che ognuno, nell'immaginare la legge elettorale, sogni quella più consona a sé, ma è anche evidente che questo difficilmente è realizzabile, senza tenere conto che a volte tra l'altro si sogna sbagliato. Non so se è vero, ma Vespa ha sempre sostenuto che con il Mattarellum nel 2006 (la prima volta che si votò con il Porcellum) Berlusconi avrebbe VINTO. Siccome non pensava alla rimonta clamorosa che invece fece (anche nel 2006, come nel 1994 e nel 2013, la sinistra era convinta di vincere a mani basse...) immaginò un sistema che potesse ridurre gli effetti della sconfitta annunciata. Il che accadde (con il quasi pareggio al Senato) ma con il sistema dei collegi uninominali propri del Mattarellum le simulazioni rivelarono che il centro destra avrebbe addirittura vinto (del resto, la differenza di voti in quelle elezioni fu di 23.000...veramente un soffio). Digressioni a parte, si dovrebbe scegliere un sistema che coniughi in maniera equilibrata i due perni fondamentali di una legge in questa materia : rappresentatività e governabilità.
Ovvio che il sistema proporzionale puro è quello che privilegia il primo aspetto, e il sistema maggioritario, oltretutto con correzione di un premio al vincitore, il secondo. Il Porcellum ha regalato il 55% dei seggi alla coalizione di sinistra che aveva preso il 30% dei voti...Troppo no ? E infatti la Consulta lo ha confermato.
Il sistema del doppio turno porterebbe ad un vincitore che ottiene il 50%+1 dei voti, però poi che accade, se ho capito bene ? Che chi vince si prende il 60% dei seggi (!?! il 55 non bastava ? ) ma soprattutto il secondo non è che prende il restante 40 ma lo deve dividere con gli altri concorrenti !! Non vi pare anche a voi che qualcosa non torni ?
Meglio allora un premio NON di maggioranza ma un bonus per chi arriva primo (si dice il 15%, per me sarebbe sufficiente il 10) e non oltre questo. Se Renzino non fa meglio di Bersani, e prende il 30% dei voti, se sarà arrivato primo si ritroverà con un 40% dei seggi in Parlamento, che è comunque buon bottino e il restante se lo deve cercare trattando. Lo ha fatto la Germania, due volte negli ultimi tre lustri, lo hanno fatto gli inglesi, può ben farlo anche lui !
Anche negli USA, o in Francia, se poi si crea una maggioranza diversa da quella che sostiene il presidente eletto, si deve trattare.
Insomma, caro Matteo, e quelli che la pensano come lui, capita che non si abbia il consenso adeguato a comandare da soli.
Infine, parlando dell'altro sistema auspicato da sempre dal PD (il doppio turno) con la correzione applicata dalla legge che elegge i sindaci, che piace ad Alfano e i suoi governativi "responsabili", anche questa sta registrando pericoloso defaillance. Mi riferisco, in particolare, ai livelli di astensione preoccupanti. A Roma, nel maggio scorso, sono andati a votare meno del 50% degli aventi diritto e Marino governa con il voto di meno di un romano su 4. Parliamo di una città con quasi 4 milioni di abitanti, (quanti la Croazia, il doppio della Slovenia, poco meno di Norvegia, Finlandia e Danimarca, per dire).
Altra considerazione, di non poco conto. i sindaci hanno paradossalmente più poteri del presidente del consiglio sull'esecutivo. Nominano direttamente gli assessori e li possono revocare. Esattamente come avviene in Francia (l'unico sistema al mondo con il doppio turno). Se il sindaco si dimette, la giunta cade e si torna a votare. Questo implica non solo la riforma elettorale ma anche una costituzionale, del titolo della Carta che stabilisce le prerogative dell'Esecutivo. Insomma, criticare come fa Aldo Cazzullo può essere utile di fronte alla nostra tendenza a prenderci cotte per le novità senza valutare bene l'impatto delle stesse, però dai critici vorrei anche alternative. Personalmente, mi va bene un sistema di tipo presidenziale, anche a doppio turno, ma allora bisogna avere il coraggio (e la forza politica) di farlo passare. Gli italiani, con l'ultima elezione del Colle, hanno ampiamente dimostrato di voler contare e scegliere. Invece di lasciar spazio e voce solo ai twittatori e quelli che hanno energia e voglia di andare in piazza, facciamoli votare.
"L’Italia divisa in cento partitini"
C’è un rischio finora sottovalutato, nel modello elettorale spagnolo. E incrocia una grande questione oggi rimossa: il localismo italiano. La questione meridionale e quella settentrionale, il tema del decentramento e delle autonomie sono i desaparecidos della vita pubblica, dopo averla dominata per vent’anni. La riforma regionalista votata dall’Ulivo non ha fatto che creare nuove burocrazie spendaccione. La devolution prima e il federalismo fiscale poi, imposti dalla Lega a Berlusconi, si sono rivelati binari morti della storia. Ora si fa come se la questione non esistesse, nell’illusione che a risolverla basti la popolarità dei sindaci, tra i pochi ad aver resistito all’ondata di discredito che ha travolto la classe politica. Invece la tenuta dell’unità nazionale, già incrinata dall’Europa e dalle rivendicazioni locali, sarebbe messa a durissima prova se davvero il Parlamento adottasse il modello spagnolo.
L’Italia sarebbe divisa in piccole circoscrizioni — si è fatto il numero di 118 —, ognuna delle quali eleggerebbe cinque o sei deputati. È già stato fatto notare che così non si risolve il problema delle liste bloccate, denunciato dalla Corte costituzionale: gli elettori continuerebbero a non scegliere gli eletti. Né dalle urne emergerebbe in modo automatico una maggioranza di governo: in Spagna, dove ci sono due soli grandi partiti nazionali, Zapatero non ha avuto la maggioranza assoluta né nel 2004 nel 2008, e ha governato per due legislature esposto alle bizze e alle richieste di baschi, catalani, galiziani. È vero che la proposta di Renzi prevede un — modesto — premio di maggioranza, che però in un sistema tripartito come quello attuale potrebbe non essere sufficiente. Ma il rischio più grave è un altro. La crisi della politica e della sovranità nazionale è tanto grande che in ognuna delle cento e più circoscrizioni germinerebbe un partitino locale. Nulla di più facile che tra i cinque o sei eletti ci sia anche un «sindacalista del territorio». Altro che Lega Nord: il vincitore delle elezioni si troverebbe a inseguire tante piccole leghe; quella del Sannio, quella dei Nebrodi, quella delle Langhe, quella della Tuscia... Ognuna di quelle province che si vorrebbero abolire, ogni città, ogni campanile avrà una sua lista che si ammanterà del nobile nome di «civica» ma finirebbe per esercitare una frazione di un gigantesco potere di veto, e di una vasta pretesa di favori.
Nessuno dei partiti ora in campo gode di buona salute. Quello in testa ai sondaggi, il Pd, deve le sue attuali fortune più alla popolarità del nuovo segretario che alla compattezza interna o alla capacità di rappresentare le componenti più dinamiche della società e del Paese. Se all’antica piaga del localismo si sommano il disagio sociale e l’eclissi della democrazia rappresentativa, il sistema politico italiano può davvero andare a pezzi e rendersi refrattario a qualsiasi leadership; a meno che non si pensi di ricostruire quelle larghe intese che hanno dato risultati modesti e in ogni caso non sembrano proprio l’obiettivo di Renzi e Berlusconi.
La stessa Spagna, che è uno Stato da almeno sette secoli, temprato da una casta militare e amministrativa che si trovò a governare buona parte delle terre allora conosciute, sta andando a pezzi (anche se certo non solo a causa del suo sistema elettorale). Figurarsi cosa potrebbe accadere a uno Stato giovane e fragile come il nostro, sottoposto a spinte centrifughe che la febbre spagnola non farebbe che accelerare e rendere devastanti.
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