Una storia particolare, che non so a quanti interesserà ma a me ha colpito. Si tratta di una suora che nel 2011, causa una violenza subita, mette alla luce una bambina e al momento della nascita opta per darla in adozione (le donne hanno questa facoltà, di RINUNCIARE alla gentorialità, gli uomini no. Prima o poi qualcuno solleverà questa questione di disuguaglianza di genere). Dopo 72 giorni ci ripensa. Ancora in tempo, decide il Tribunale dei Minori ma così non la pensano quelli della Corte d'Appello, sull'impugnazione da parte della Procura. La Cassazione dà ragione ai primi e torto ai secondi, bacchettandoli anche un po' (è una mia sensazione ma mi sembra che ci sia una crescente forbice tra giudizi di merito e di legittimità ).
Leggendo i commenti all'articolo pubblicato dal Corsera, una lettrice giustamente poneva l'accento sul tempo trascorso e sulle reazioni dei genitori adottivi (in realtà affidatari, che il Tribunale dei Minori aveva negato l'adottabilità essendo intervenuto il ripensamento della madre) , a cui la bambina veniva tolta dopo due anni, così come al più che probabile trauma della piccola.
L'obiezione è giusta ma pericolosa. Molto. Il mio maestro, Domenico Battista, col suo vocione baritonale, tuona contro la lentezza della giustizia dei minori, osservando che la stessa dovrebbe avere una corsia preferenziale pari a quella dei detenuti arrestati in attesa di giudizio. IN realtà la sorte è matrigna con entrambi. Obiettivamente, nella maggior parte dei casi, i giudici dei minori cercano anche di sbrigarsi rispetto ai colleghi ordinari, e un caso come questo alla fine si è risolto "solo" in poco più di due anni...Siamo abituati a tempi ben più lunghi per un solo grado di giudizio, e qui siamo alla pronuncia definitiva.
Ma è evidente anche a dei semplici lettori, senza bisogno di essere dei giuristi, che in questi casi (in realtà anche in molti altri, ma in questi SEMPRE) essere così lenti COMUNQUE porta a delle ingiustizie.
A quel punto il faro non può che restare l'applicazione corretta della legge - quella che non hanno operato i giudici della Corte d'Appello - che non si può fare ingiustizia cedendo alla tentazione di salvaguardare la situazione di fatto creatasi nelle more dei processi, della serie : ormai è andata così. In questi casi, delle persone soffriranno ingiustamente in ogni caso. La suora, secondo la Cassazione, aveva esercitato il suo ripensamento in un tempo ancora utile, e dopo due mesi poco più non sarebbe stato un dramma per nessuno. L'interpretazione troppo severa di certi giudici ha incancrenito la cosa e i tempi "tecnici" hanno fatto il resto.
Suora abbandona figlia, poi ci ripensa
La Cassazione revoca la procedura di adozione
L’ex religiosa riavrà la sua bambina, nata a dicembre 2011 (Ansa)
Ancora una storia delicata di una suora mamma, dopo quella della sorella originaria di El Salvador che ha partorito il mese scorso un bambino a Rieti. Questa volta la protagonista è una suora congolese di 43 anni, violentata da un sacerdote (anche lui del Congo), che ha dato alla luce nel 2011 a Pesaro una bambina: la religiosa, che era venuta in Italia a studiare teologia, in un primo momento non l’aveva voluta riconoscere e l’aveva data in affidamento a una famiglia. La sua intenzione era quella di rimanere a fare la suora con le «Petites Soeurs de Nazareth», l’ordine dove aveva preso i voti nel 1996. Ma la congregazione si era rifiutata di riaccoglierla come suora: allora la donna ci ha ripensato e si è rivolta alla Cassazione per poter riavere sua figlia. La Suprema Corte le ha dato ragione, e ha revocato la procedura di adozione.
DISORIENTATA E CONFUSA - La vicenda giudiziaria che ha portato alla restituzione della potestà genitoriale alla ormai ex suora è travagliata. In un primo momento, quando la donna aveva manifestato la sua volontà di riavere la figlia frutto dello stupro, il tribunale dei Minori le aveva dato ragione e non aveva dichiarato la bambina non adottabile. Il motivo? «La donna era vissuta in uno stato di disorientamento e d’incapacità di intendere e di volere - avevano sottolineato i giudici - dal quale era uscita con la consapevolezza del suo nuovo status, che essa desiderava ed era in grado, con i dovuti accorgimenti e supporti, di vivere». Una tesi contrastata dalla Corte d’appello per i minorenni, che invece aveva criticato il comportamento della donna, rilevando che inizialmente aveva scelto «in coscienza e con libera volontà» di rimanere suora all’interno della Congregazione e solo in seguito aveva deciso di riconoscere la figlia, affidata nel frattempo ad una famiglia. Secondo la Corte, la decisione non era stata motivata da un «ripensamento profondo a un travaglio motivato da un interesse per la bambina» ma era solo una conseguenza del fatto di «essere stata estromessa dalla Congregazione». Insomma, secondo la Corte, la donna aveva voluto la bambina solo perché le si era chiusa la strada religiosa.
DA MADRE RELIGIOSA A MADRE REALE - Una motivazione contro la quale la donna aveva fatto ricorso alla Suprema Corte, che alla fine le ha dato ragione, rigettando il ricorso del pm per i minorenni che chiedeva di dichiarare adottabile la bambina. La Cassazione ha riconosciuto il fatto che la donna aveva espresso la volontà di abbandonare la figlia subito dopo il parto, in condizioni «fisiche e psichiche particolarmente compromesse». Mentre successivamente - 73 giorni dopo per la precisione - era passata da uno stato di «madre spirituale» ad uno di «donna e madre» che l’aveva indotta al riconoscimento della figlia. Questa fase di transizione delicata, secondo la Cassazione, è comprensibile, considerando anche la particolare condizione in cui la donna era rimasta incinta: e quindi il suo smarrimento iniziale non può farle perdere il «diritto alla genitorialità».
Più in dettaglio, secondo il commento di CASSAZIONE.NET che pubblica per esteso la sentenza della prima zezione ( la 2802 del 2014) :
" l’opzione di non voler essere nominata nell’atto di nascita della bambina, osservano oggi gli “ermellini”, è solo un indizio di abbandono del minore (e altrettanto a questo punto deve ritenersi per la mancata fruizione del termine di ripensamento). Insomma: va bene la procedura abbreviata, ma l’avverbio «immediatamente» contenuto nel secondo comma dell’articolo 11 della legge 184/83 non consente di conculcare i diritti dei soggetti coinvolti, laddove il dato normativo non legittima una prematura volontà negoziale di natura stragiudiziale che abbia l’effetto di una rinuncia definitiva al diritto di genitorialità giuridica. In altre parole: sbaglia la Corte d’appello, e lo fa con «freddo tecnicismo metagiuridico», laddove non ammette la facoltà di ripensamento quando il riconoscimento avviene nel corso della procedura adottiva. E ciò specie se si considera che, nel peculiare caso di specie, la scelta dell’anonimato avviene in un momento in cui le condizioni psichiche e fisiche particolarmente compromesse. Decisive, per l’accoglimento del ricorso della ex suora, le prescrizioni della Convenzione europea sull’adozione dei minori stilata a Strasburgo e ratificata dall’Italia con la legge 357/74, che afferma principi vincolanti che devono guidare il giudice nazionale nell’esegesi della normativa statale.
Di qui la massima giurisprudenziale
"Deve ritenersi che in tema di filiazione e di stato di adottabilità del minore l’esegesi delle regole normative proprie anche della procedura adottiva abbreviata confermino che all’eventuale manifestazione volitiva espressa antecedentemente al suo inizio, dalla madre biologica di non rivelarsi, non possa essere attribuita anche un’efficacia irreversibilmente estintiva del suo indisponibile diritto alla genitorialità giuridica né preclusiva di un successivo ripensamento con riconoscimento del figlio, purché attuato nei termini e con le modalità espressamente previsti dall’articolo 11 della legge 184/83, involgenti anche la sua facoltà di instare per la sospensione della procedura".
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