lunedì 3 febbraio 2014

DIFFICILE SPIEGARE AGLI AMERICANI IL PROCESSO ITALIANO. PER QUESTO SI TERRANNO AMANDA


Personalmente ho già scritto la mia  ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/01/una-condanna-ad-ogni-costo-c-era-una.html ) sulla sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Firenze che ha ribaltato la sentenza di quella di Perugia che aveva assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall'accusa di aver ucciso Meredith Kerker., condannandoli rispettivamente a 28 e 25 anni di prigione.
Ho letto le varie reazioni, tra cui quelle di giornali e tv americane che hanno sempre criticato il sistema processuale italiano e che giurano che mai e poi mai lasceranno che Amanda possa essere riportata in Italia. 
Se la Cassazione confermerà definitivamente la condanna, per le diplomazie dei due paesi saranno problemi.
Che poi la questione si estende agli inglesi, che la povera Meredith era di lì. La famiglia Kerker, di cui personalmente ammiro la dignità e sobrietà assolute ( quasi incredibili le dichiarazioni della sorella Stephanie alla vigilia della sentenza - http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/01/dalla-sorella-di-meredith-kerker-una.html - ribadite nella sostanza dopo la stessa ), ha diritto che i colpevoli dell'omicidio scontino la pena della loro condotta, e se le corti italiane alla fine diranno che sono stati Amanda e Raffaele, oltre a Guede, ebbene speriamo solo che non si tratti di errore giudiziario (uno dei 4 milioni consumati dall'inizio dell'età repubblicana). Però certo quando sento quelli che esortano, da più parti e con più ruoli, all'americana di tornare,  vorrei vedere  loro, che come diceva un mio grande amico  "è facile fare i culatton con il c...degli altri ".  Poi certo, le eccezioni ci sono sempre, che per un Pietrostefani che se ne sta in Francia ( e lì è sempre rimasto, senza che gli italiani litigassero coi francesi al riguardo), Sofri si presentava in carcere per scontare la pena che pure riteneva ingiusta.
In tutto questo, pubblico l'intervento di un fiero garantista come Davide Giacalone, che ricorda come alla fine di tutta la vicenda, se come a questo punto più probabile i due ragazzi saranno condannati definitivamente, resterà comunque sempre il fatto, storico, che una Corte li aveva assolti. E per il sistema americano questo sarebbe stato sufficiente per chiuderla lì, che in nessun modo il ragionevole dubbio potrebbe più ipotizzarsi superabile.
Il nostro sistema è diverso, che il tentativo di mutarlo è stato bloccato, dalla Corte Costituzionale, che ha fatto uno strano ragionamento di parità delle parti, come se la Costituzione non privilegiasse la presunzione di non colpevolezza, lo Stato non avesse una posizione di forza maggiore e che è un sofisma quello di considerare i vari gradi di giudizio come le parti integranti un processo unico. 
Buona Lettura




Provate a spiegarlo

Provate a spiegare a uno statunitense che l’imputato può essere condannato, poi assolto, poi condannato, attendere ancora il giudizio e, nel frattempo, stare quattro anni in galera. Che sia un uomo della strada o un fine giurista, comunque vi guarderà come un selvaggio proveniente da qualche superstiziosa e isolata tribù. Va da sé che se un loro cittadino, come è il caso di Amanda Knox, si ritrova condannato da un simile meccanismo è escluso che te lo consegnino. Il che è anche paradossale, perché quando si trattò di una nostra cittadina, da loro condannata (Silvia Baraldini), non ce la volevano ridare perché convinti che l’avremmo scarcerata. Poi cedettero e il ministro della giustizia (Oliviero Diliberto) andò a riceverla all’aeroporto, manco provenisse dal Gulag. Sicché, non a torto, ci guardano non solo come una tribù inaffidabile, ma anche provocatrice.
Il bello (si fa per dire) è che a questa roba incresciosa avevamo posto rimedio, con la legge numero 46 del 20 febbraio 2006. Meglio nota come “legge Pecorella”. Stabiliva che in caso d’assoluzione l’accusa non potesse presentare ricorso altro che in cassazione. Il ragionamento era elementare: se il codice, recependo il modello accusatorio, stabilisce che la condanna si può infliggere solo ove non ci sia alcun “ragionevole dubbio” circa la colpevolezza, e se un tribunale o una corte hanno già assolto l’imputato, è del tutto ovvio che da lì in poi quanto meno è ragionevole il dubbio. Quella legge fu rimandata alle Camere, perché il presidente della Repubblica (Carlo Azelio Ciampi) aveva dei dubbi. Fu riapprovata, quindi emanata. Poi è stata la Corte costituzionale, con tre sentenze coordinate e successive, a farla a pezzi. La ragione di fondo è questa: il processo è uno solo, quindi se ti assolvono in primo o secondo grado non per questo sei innocente, giacché devi attendere che si concluda l’iter, dentro il processo le parti devono essere pari, quindi: se può ricorrere la difesa deve potere ricorrere anche l’accusa. Provate a farlo capire a uno statunitense, il quale ritiene ovvio l’ovvio: il processo è quello che si fa in aula, nel contraddittorio fra le parti, e si conclude con una sentenza, talché, se sei assolto, lo Stato perde il diritto, per sempre, di accusarti (double jeopardy), e ciò è profondamente ragionevole perché non è affatto vero che le parti hanno eguale forza, ma quello dello Stato è immensamente superiore a quella del cittadino.
A questo si aggiunga che, del tutto coerentemente, negli Usa non hanno la cassazione, che ha un senso nei sistemi di civil law, ma nessuno in quelli di common law. Nei secondi la regolarità del procedimento è garantita dal giudice, che presiede e non giudica (per questo tipo di reati). Il ricorso in cassazione, previsto dalla Pecorella, era incentrato non sul giudizio di merito, ma sulla regolarità del procedimento. Da noi, però, la cassazione fa sempre più sentenze di merito, esaminando non la correttezza del processo, ma anche la piacevolezza e ragionevolezza delle motivazioni (che negli Usa, giustamente, non esistono). Queste, a loro volta, sono divenute un fenomeno letterario, che anziché spiegare le ragioni del verdetto si addentrano nell’esame del mondo e degli animi. Roba tribale, appunto, da sciamani.
Morale: non ho la più pallida idea (come tutti) di come siano andate le cose, quella sera in cui una ragazza fu uccisa, ma so per certo che dalla giustizia, dopo sette anni, non è giunta alcuna certezza, so, però, che (un po’ come accade con la scellerata riforma del Titolo V della Costituzione) già si pose rimedio, ma poi si abrogò il rimedio, talché, ora, vale la pena rivedere l’intera baracca, perché è dissennata.

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