Sulla questione Ucraina mi è capitato in questi giorni di discutere con un amico di FB che stimo ma che ritengo abbia un grande difetto : la presunzione. Disserta su tutto, e questo ci può stare se uno è curioso di tante cose, per cui legge e s'interessa di più campi. E' viceversa più improbabile che SU TUTTO uno possa avere una conoscenza sempre così approfondita e adeguata da profferire solo sentenze assolute.
Il "nostro" ha questo limite. E' irritante, in questi casi, però da tempo ho scoperto che può essere utile resistere al primo impulso che simile irritazione suscita, e cioè "rompere" con persone di questo tipo. Perché la loro presunzione non significa che abbiano torto. Per loro non accade mai, magari per chi li ascolta non è così. Però in genere non dicono mai cose banali e il punto di vista che sostengono, con assoluta e fastidiosa assertività, contiene però stimoli spesso interessanti, a volte addirittura utili.
Certo, ogni tanto una pausa tocca prendersela che insomma, anche il fegato hai i suoi diritti.
Sull'Ucraina la tesi di NM è che l'opposizione filo europeista in realtà è manipolata dall'estrema destra di "svoboda", nazionalisti storicamente anti russi ( fin qui, non ci vedo nulla di male...), ma anche omofobi ( in questo dovrebbero andare d'accordo con Putin), anti semiti (idem come sopra) e di fondo non portati per la democrazia ( e tre...). Insomma, sarà che a questi di Svoboda non gli piace Putin perché la pensano allo stesso modo ma vogliono comandare loro invece che farsi comandare da Mosca ?
Comunque, ho provato a leggere di più ( gli stimoli di cui parlavo poc'anzi) e l'idea che mi sono fatto è che NM abbia torto non perché quello che scrive e pensa di Svoboda sia sbagliato, ma perché identifica l'opposizione ucraina all'attuale governo a questo movimento. In realtà l'estrema destra rappresenta solo uno dei tre tronconi principali della ribellione, ma essendo i più combattivi, intransigenti, anche violenti, sono quelli che si notano di più anche se magari numericamente inferiori.
Quello che a me sembra di capire in realtà è che l'Ucraina da sempre è sostanzialmente divisa tra due opzioni : la parte di popolazione che guarda alla Russia come al fratello maggiore cui restare legati ; quella che invece vuole una netta indipendenza dai Russi, come ieri dai sovietici, e per far questo guarda all'Europa e anche alla Nato per poter realizzare questo obiettivo. Se ho capito bene, nell'europeismo degli eredi della rivoluzione arancione, non è che tutti vedano l'Europa come un "sogno" - che potremmo spiegargli che di controindicazioni ce ne sono diverse - quanto che sono consapevoli che da soli non ce la farebbero ad emanciparsi veramente dall'ingombrante e prepotente vicino.
E' l'indipendentismo insomma la molla principale, lo stesso che portò gli ucraini a combattere prima contro lo Zar e poi contro l'URSS, anche per un periodo unendosi ai tedeschi nella seconda guerra mondiale. Di qui l'accusa di filo nazismo, dove a me pare evidente che la ragione unica e sola di Bandera, il leader dei nazionalisti ucraini, era la libertà del suo paese da Stalin, anche in considerazione dei MILIONI di vittime ucraine che lo stalinismo consumò.
Insomma. un paese pericolosamente spaccato in due, e i buoni e i cattivi (i più intolleranti e violenti) militano in entrambi i fronti.
L'Europa si trova in un grosso guaio come sempre quando i conflitti, invece di fare il favore di stare a debita distanza, tipo Siria per capirci, arrivano ai confini. Accadde con la Jugoslavia - sono convinto che NM si dispiacque per la dissoluzione dello stato jugoslavo - , si ripete con l'Ucraina. Non ci piace, da europei e cultori della democrazia, che si facciano dei morti nelle piazze, oltre cento pare, si arrestino i dissidenti, si mettano a tacere con le spicce i giornalisti liberi. A maggior ragione se gran parte di quella piazza all'Europa chiede aiuto. Adesso, leggo su La Stampa, pare che Yanukovich, l'attuale presidente e capo dello stato, abbia, proprio su sollecitazione dei vertici europei, indetto nuove elezioni e aperto a modifiche costituzionali.
Ma l'Ucraina, come detto, resta divisa in due, e le elezioni che si sono freneticamente susseguite in questi anni hanno riproposto puntualmente questo problema. E lì il trucco del premio di maggioranza, NON funziona, che quelli che perdono poi riempiono le piazze e non ci stanno.
Sulla questione Ucraina, ma non solo, anche sul Venezuela - un paese "modello" per NM, che vedeva in Chavez un grande leader del popolo - si sofferma nel suo articolo settimanale Alessandro Fugnoli, ed è cosa rara, che la sua materia è l'economia e la finanza. Nel finale infatti si dedica a questi aspetti, buttando lo sguardo sull'Europa, e stavolta il quadro fornito non è prudentemente ottimista, come più spesso invece ( e in controtendenza) accade da parte del brillante osservatore. E i timori adombrati riguardano soprattutto il nostro paese.
Buona Lettura
LE TERRE DEL SANGUE
Da San Pietroburgo a
Odessa, la faglia dell’Europa
Nel pensiero europeo la Russia è stata spesso percepita come estranea e
temibile e, in una parola, asiatica. Si tratta ovviamente di un errore di
prospettiva grossolano, dal momento che l’Asia vera per la Russia è stata in
certi momenti una minaccia esistenziale mentre la cultura europea è stata
l’unica fonte con cui quella russa si sia mai confrontata.
Più che estranea, dunque, la
Russia è sempre stata incommensurabile, a partire dall’immensità del suo
spazio. L’Ucraina, per contro, è sempre stata alla portata della psiche
europea, che l’ha costantemente considerata come sua, anche se posta ai confini
del mondo comprensibile. Greci, bizantini, genovesi e veneziani sono sempre
stati di casa a Odessa, città cosmopolita. Vista dalla Vienna asburgica, la
Rutenia era tanto europea quanto Trieste. L’Ucraina occidentale, dal canto suo,
fino a pochi decenni fa era in buona parte Polonia.
Terra di confine, dunque,
come dice l’etimo stesso, secondo alcune interpretazioni, della parola Ucraina.
E parte dominante delle Terre del Sangue, come ci ricorda fin dal titolo un
libro magnifico e terribile pubblicato nel 2010 dallo storico di Yale Timothy
Snyder.
Terre, quelle che si estendono
tra il Baltico e il Mar Nero, che nella prima metà del Novecento hanno vissuto
tragedie indicibili. Dai tre milioni di morti della carestia causata dalla
collettivizzazione forzata delle campagne da parte di Stalin, alle 700mila
vittime del terrore staliniano del 1936, ai 5 milioni di ebrei di questa
regione sterminati nei campi, alle feroci vendette di Stalin per gli
atteggiamenti filotedeschi (in realtà antirussi) manifestati da una parte degli
ucraini durante la guerra, sono 14 milioni le vittime del bagno di sangue nel
solo periodo che va dal 1930 al 1945. Solo l’ucraino Khrushchev restituirà un
minimo di dignità a popolazioni che il potere russo ha sempre considerato come
indegne di pieni diritti.
L’Ucraina è oggi l’ultimo
capitolo non chiuso del Novecento europeo. La Jugoslavia è stato il penultimo e
non è un buon precedente. L’Europa è stata infatti in grado di rimetterne
insieme i cocci solo perché dieci anni di feroce guerra civile avevano prodotto
lo spossamento delle forze in campo. Era, quella degli anni Novanta, un’Europa
piena di fiducia in sé stessa e ancora ricca. Quella di oggi è capace solo di
minacciare sanzioni e non è disposta a mettere nemmeno un euro in Ucraina. È
l’Europa che ha il default come unica soluzione programmatica dei problemi,
siano questi bancari o sovrani.
La piazza ucraina evoca la
Jugoslavia che si vuole dividere, non l’Egitto che si vuole liberare del
tiranno. Per fortuna gli odi e i rancori sono meno sedimentati e una soluzione
ragionevole sarebbe possibile se Europa e Russia non usassero l’Ucraina come
strumento di guerra geopolitica.
La Russia di Putin, che ha
problemi strutturali seri ma ha ancora tanti soldi, vuole comprare con i suoi
aiuti la neutralità ucraina. Non vuole russificare il paese, ma non vuole
nemmeno perderlo completamente. L’Europa agita un futuro ingresso ucraino
nell’Unione che in realtà non ci sarà mai e soffia sul fuoco con disinvoltura,
chiudendo i due occhi rispetto alla deriva estremista dell’opposizione al
governo di Kiev.
Di per sé l’economia ucraina
non ha rilevanza sistemica. Il suo Pil in dollari, ai corsi attuali della
grivna, è poco più di un quinto di quello turco. Cento anni fa, del resto,
l’economia ucraina valeva poco meno di un decimo rispetto a quella americana,
oggi vale un centesimo. Oltre all’agricoltura, i punti di forza sono l’acciaio
e l’industria aeronautica, lasciti della divisione del lavoro sovietica. Le
banche sono abbastanza in ordine, per il momento.
Preoccupano di più il disavanzo
pubblico, prodotto dalle politiche populiste degli ultimi due anni, e quello
delle partite correnti.
Il debito sovrano non è
particolarmente alto (45 per cento del Pil) e il cambio, nei momenti di crisi,
viene lasciato giustamente andare. Il paese è flessibile, come dimostra l’ampia
emigrazione. Da un punto di vista economico ha vissuto, dopo l’indipendenza,
momenti anche peggiori dell’attuale, ma l’incognita grave, ovviamente, è
politica.
La crisi ucraina sembra avere
ritmi simili a quella venezuelana. La situazione a Caracas è piuttosto caotica.
Il capo chavista del parlamento che passa in macchina davanti a un comizio e
rapisce al volo il capo dell’opposizione mettendolo agli arresti è uno segno
dell’abbandono di quel minimo di regole che Chavez non aveva mai messo in
discussione.
Come il Qatar, il Venezuela è
oscenamente ricco. Le sue riserve di fossili sono le maggiori del pianeta.
Mentre però a Doha spunta un grattacielo alla settimana, a Caracas mancano i
beni essenziali. Per il momento, tuttavia, non c’è una mancanza di dollari
nelle casse dello stato, ma piuttosto una loro pessima distribuzione attraverso
aste che vanno agli amici degli amici. Se il Venezuela svalutasse
aggressivamente, molti dei suoi problemi potrebbero essere risolti.
Il conflitto politico è il vero
problema del paese. L’opposizione è vivace, ma il governo chavista ha una sua
base popolare che non dà ancora segni di cedimento.
I mercati, che due settimane fa si erano messi
a tremare per gli emergenti, stanno ignorando l’aggravarsi della crisi in
Ucraina e in Venezuela. Stanno anche ignorando la prevalenza di dati macro
mediocri che si susseguono da quasi un mese e il petrolio ritornato forte. È la
Frozenomics, si dice, è il freddo.
Molto probabilmente è vero.
Quando però si guida in condizioni di scarsa visibilità, prudenza vuole che si
vada piano e si mantenga la distanza di sicurezza
…..
Il Fondo Monetario, dal canto
suo, lancia un monito sulla fragilità della ripresa e sui rischi di deflazione.
Il suo rapporto al G-20 (un appello accorato a mantenere politiche monetarie
accomodanti) sembra scritto, dalla prima all’ultima riga, per la signora
Merkel. Lagarde e Blanchard, che ne sono gli ispiratori, sono cittadini di
quella Francia che si sente soffocare ed è costretta a vendere ai cinesi un suo
gioiello come la Peugeot.
Il problema, per l’Europa e per
il mondo, è che la Germania è perfettamente soddisfatta per come stanno andando
le cose a casa sua. Certo, ci sono problemi strutturali come la caotica
politica sull’energia (decisa peraltro in totale autonomia), ma per il resto
tutto va per il meglio. L’inflazione è prevista tra l’1.5 e il 2 per cento da
qui al 2018, la produzione industriale va bene, così come l’export e
l’occupazione. I conti pubblici sono sotto controllo senza nessuno sforzo, il
debito scende di anno in anno, l’euro va benissimo dove sta.
La Germania non ha nessuno
stimolo a cambiare alcunché. Se l’Europa mediterranea veleggia verso
l’inflazione zero va benissimo, così recupera competitività. Se inflazione zero
e Pil reale a zero significano debito-Pil in continua salita per l’Italia, non
c’è problema. Visto che non ha voluto fare le riforme e tagliare la spesa, che
ristrutturi il debito o si tassi di più.
Se l’America cresce come
previsto, calcola la Germania, l’Italia può andare avanti a galleggiare, mentre
gli altri (Spagna, Irlanda e Portogallo), che si sono dati da fare di più,
possono continuare a curarsi e a guarire. La Francia è grande e si può
arrangiare da sola.
Quella tedesca è una scommessa,
ma non è così irrazionale. Il punto debole è che, al presentarsi di uno shock
esogeno, la fragilità dell’impianto verrebbe alla luce. Speriamo in bene.
RICCARDO CATTARINI
RispondiEliminaStefano, ho letto molte cose belle tue, ma questa grande capacità di analisi su un tema complicato come la politica estera è per me una davvero piacevole novità. Condivido tutto, in particolare, e mi fa, a tre chilometri dal confine con quella che è stata l'ex Yugoslavia, la paura che questa situazione, altrettanto potenzialmente esplosiva di quella, possa trasformarsi, ammesso che non lo sia già, in tragedia senza che nessuno sappia, o peggio voglia, intervenire ...