mercoledì 12 marzo 2014

LE SCATOLE CINESI DELLA LEGGE ELETTORALE HANNO ROTTO LE SCATOLE


Da bravo professore di Diritto Pubblico ed esperto costituzionalista. Michele Ainis si accalora per il pasticcio dell'Italicum. Trattandosi di percorso in fieri, si può solo fare un SAL (stato avanzamento lavori), per ill quale però, un committente avveduto, non verserebbe un copeco. 
Lasciamo perdere la questione delle quote, cui pure Ainis dedica una prece, ricordando come forse le deputate avessero mirato un po' troppo alto : la riserva, comunque, del 50% dei posti a disposizione...
Vabbè, su questo argomento valga quanto già espresso nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/03/quando-essere-donna-e-un-vantaggio.html ).
Resta che al momento nel derby tra Maggioritario e Proporzionale, principio di governabilità e di rappresentanza, invece di aver partorito una riforma che equilibri correttamente i due valori, ha spartito le spoglie : alla Camera il primo, al Senato il secondo. Come se Solomone alla fine il bambino conteso dalle due madri alla fine l'avesse fatto dividere in due sul serio !
Certo, Renzi ha come obiettivo quello di eliminare il carattere elettivo della Camera Alta, ma intanto quello che si ritroverà in mano è un sistema peggiore del Porcellum.
E la tregua di quelli della Ditta sembra già finita...
Ah, qualche giorno fa, credo lo stesso Ainis, aveva fatto questa triste considerazione : in Germania, la legge elettorale si mantiene inalterata dal 1953; in Francia il doppio turno risale addirittura alla monarchia orleanista; nel Regno Unito la formula (first past the post ) è ancora quella del 1832; gli Usa hanno scelto l’uninominale nel 1842, e da lì non si sono mai schiodati. In Italia, viceversa, abbiamo fin qui sperimentato 12 sistemi elettorali, e con l’Italicum ci avviamo a benedire il tredicesimo...
Buona Lettura


Le scatole cinesi di una mezza riforma
di MICHELE AINIS
 
 Mezza riforma non è ancora una riforma. Specie se l’altra metà dipende dal Senato, la fossa dei leoni. Anche la Camera, però, si è rivelata un nido di serpenti. Ne sanno qualcosa le nostre camerate, sconfitte dai camerati maschi con un voto segreto. Volevano la parità, addirittura il 50% dei seggi; hanno ottenuto lo zero tagliato. Da qui la prima lezione che ci impartisce la vicenda: non chiedere il paradiso in terra, altrimenti brucerai all’inferno. Contentati di soggiornare in purgatorio. Vale in politica come nella vita.
Ma vale altresì per la legittimità costituzionale delle quote, che rifiuta meccanismi troppo rigidi. Si possono favorire, non imporre. O semmai imporre fino a un terzo, come stabiliva la legge elettorale del 1993. Poi la Consulta ne fece carta straccia, ma allora non c’era il nuovo art. 51 della Costituzione, che per l’appunto tende a «promuovere» le pari opportunità. E promuovere significa spingere, aiutare. Perciò è incostituzionale il paradiso della parità assoluta, ma lo è pure l’inferno della prepotenza maschilista. Adesso speriamo che il Senato ci conduca in purgatorio.
E la Costituzione? Incarna la damigella d’onore nel gran galà delle riforme, però nessuno se la fila. Male, giacché il tribunale costituzionale ha appena fatto salsicce del Porcellum, e ripetere il menù ci procurerebbe un indigesto. Per scongiurarlo, serve un compromesso fra agibilità (politica) e legittimità (giuridica). D’altronde anche quest’ultima corre fra due istanze contrapposte: rappresentanza e governabilità. Puoi farne dimagrire una per ingrassare l’altra, ma non puoi permettere a nessuna di diventare il Dracula dell’altra.
Ecco, è questo il vizio dell’Italicum: alleva due Dracula che si vampirizzano a vicenda. Perché il maggioritario vale soltanto per la Camera, mentre il Senato rimane ostaggio d’un proporzionale puro. Siccome tuttavia, qui e oggi, c’è ancora un bicameralismo perfetto, questa trovata ci lascia a mani vuote. Il sistema elettorale del Senato non garantisce la maggiore rappresentatività del Parlamento, quello della Camera non garantisce un governo chiavi in mano. Dunque il risultato è irragionevole, di più: sconclusionato. Ma la ragion politica (impedire elezioni a stretto giro) ha avuto il sopravvento sulla ragion giuridica. Succede quasi sempre.
Eppure la legittimità potrebbe ottenere una rivalsa, se domani il Senato elettivo sparirà dall’orizzonte. I giuristi conoscono da tempo la categoria dell’incostituzionalità sopravvenuta; in questo caso dovranno forgiare la costituzionalità sopravvenuta della legge. Dipende, ancora una volta, dal Senato, dalla sua voglia di fare hara-kiri. Ma prima di compiere questo supremo gesto d’eroismo, gli saremmo grati d’alcuni aggiustamenti. Per esempio sulle pluricandidature (8) e sui collegi (120, quindi 6 nomi sulle liste bloccate): troppo. O sullo chemin de fer che regola le soglie di sbarramento, per le liste e per le coalizioni (4,5-8-12). Domanda: che diavolo succede se la coalizione raggiunge il numeretto, e però non lo raggiunge nessuna lista coalizzata? Urge chiarimento, anzi emendamento.
Ma un emendamento tira l’altro, come d’altronde una legge tira l’altra. È la nostra dannazione: l’Italicum reclama la riforma del Senato, che reclama la riforma del Titolo V. Un gioco di scatole cinesi, con il rischio di rompere le scatole.

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