Bello e condivisibile l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia che cerca di far luce sulla nuova divisione italica, tra renziani e anti. Un dualismo caro ai nostri istinti, che dagli orazi e curiazi, passando per i capuleti e montecchi, finendo ai derby calcistici, dividerci facinorosamente su qualcosa è quello che ci piace di più.
Stavolta la divisione però non è tra Destra e Sinistra, perché avversari e amici si trovano in entrambi gli schieramenti. E, allo stato almeno, ancora non siamo al personalismo esasperato, all'ossessione berlusconiana, che ha colpito milioni di italiani (pro e contro). No, come spiega bene Galli della Loggia, c'è l'Italia conservativa, ben decisa a difendere propri privilegi, garanzie, posizioni di favore, come se fosse Fort Alamo, e l'altra che probabilmente, se godesse dei favori della prima, si comporterebbe allo stesso identico modo, ma siccome sta fuori, reclama. Ovviamente, se si vogliono fare cose giuste, bisognerà scardinare la prima e spiegare alla seconda che non si fa quel lavoro per ESTENDERE anche a loro il bengodi, e tanto meno per SOSTITUIRE dei beneficiati con altri. Semplicemente, si deve realizzare un sistema più equo, sostenibile, compatibile con le risorse effettive, senza che queste ultime siano però depauperate da clientelismi e peggio.
Vasto(issimo) programma.
Buona Lettura
il conflitto
sotterraneo
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
L’Italia renziana è l’Italia indifferenziata dell’opinione pubblica largamente intesa. Che legge poco i giornali ma assai di più vede la televisione; che non ha troppa dimestichezza con la politica e ne ragiona in termini semplici; che è incline a credere più nelle persone che nelle idee. È, per dirla in breve, l’Italia che «non ne può più» e in generale desidera comunque un cambiamento. Un Paese in molti sensi «medio», nel quale però è dato di trovare anche parti consistenti di un Paese socialmente e culturalmente ben più sofisticato.
Ma accanto a questa c’è una non trascurabile Italia antirenziana. Un’Italia nella quale spiccano soprattutto vasti settori dell’ establishment , che pure, come si sa, è ormai da molto tempo orientato verso il centrosinistra. Dunque pezzi significativi, forse maggioritari, della Confindustria, dell’alta burocrazia e dell’economia pubblica, del sottomondo politico in particolare romano, della Rai, molti importanti commentatori e giornalisti; ma insieme anche quella parte del «popolo di sinistra» più antica o più ideologicamente coinvolta, numerosi quadri medio-alti dello stesso partito di Renzi e della Cgil. È, quella ant irenziana, un’Italia la quale si guarda bene dall’esprimere un’avversione esplicita. Più che dire, lascia capire. Con i toni sommessi, le mezze parole, spesso i silenzi, lascia capire che il presidente del Consiglio non le piace per nulla: a causa del suo modo di essere e di fare, della scorciatoia alquanto brutale presa per defenestrare il suo predecessore, a causa di quello che viene giudicato l’avventurismo del suo programma e delle sue promesse.
Questo almeno è quanto essa dice. Ma in realtà l’Italia antirenziana è sconcertata e inquieta specialmente perché non capisce dove andrà a infrangersi, e soprattutto chi e che cosa sommergerà, quali equilibri, l’ondata di novità che il presidente del Consiglio ha annunciato. Proprio ciò che conquista una parte del Paese ne preoccupa l’altra, insomma.
Il fatto è che la comparsa sulla scena di Renzi minaccia di squarciare il velo di menzogna che negli ultimi trent’anni la politica ha provveduto a stendere sulla nostra realtà sociale. Per tutto questo tempo la politica ci ha detto che c’erano una Destra e una Sinistra, divise da fondamentali differenze di valori e di programmi. Forse ciò era vero per i valori; certamente assai meno per i programmi e in specie per la volontà di realizzarli. Dietro la divisione proclamata e rappresentata dalla politica, infatti, è andata crescendo e solidificandosi una realtà ben altrimenti compatta del potere sociale italiano. All’insegna della protezione degli interessi costituiti; della moltiplicazione dei «contributi» finanziari al pubblico come al privato; della creazione continua di privilegi piccoli e grandi; della disseminazione di leggine e commi ad hoc ; della nascita di enti, agenzie, authority, società di ogni tipo; all’insegna comunque e per mille canali dell’uso disinvolto e massiccio della spesa pubblica. In tal modo favorendo non solo lo sviluppo di uno strato di decine di migliaia di occupanti — quasi sempre gli stessi, a rotazione — di tutti i gabinetti, gli uffici legislativi, gli uffici studi, di tutte le presidenze e di tutti i consigli d’amministrazione possibili e immaginabili, ma altresì il sorgere di un soffocante intreccio di relazioni, di amicizie, di legami personali. Un potere sociale solidificato, includente a pieno titolo anche il sistema bancario e l’impresa privata, che ha usato e usa disinvoltamente la politica — di cui aveva e ha un assoluto bisogno — schierandosi indifferentemente a seconda delle circostanze con la Sinistra, cercando però di non dispiacere alla Destra, e viceversa. E che sia la Destra che la Sinistra si sono sempre ben guardate dallo scalfire.
Finora tuttavia la radicale divergenza d’interessi tra questa Italia «protetta» e l’Italia «non protetta», questo reale, autentico conflitto di fondo, non è mai riuscito ad avere alcuna vera rappresentazione politica, a dar vita a un reale e vasto conflitto tra le parti politiche ufficiali. Renzi invece minaccia esattamente di rovesciare questa tendenza: di restituire realtà sociale vera alla politica, aprendo importanti terreni di scontro tra le due Italie.
Per il momento, è vero, lo ha fatto solo simbolicamente, allusivamente. Con la sua figura, grazie al suo stile personale e al suo linguaggio, identificandosi in particolare in un solo messaggio: la necessità di rompere confini e contenuti dell’universo politico finora vigente. Ma tanto è bastato perché se da un lato ricevesse immediatamente un consenso assai vasto e trasversale da parte del Paese che socialmente conta di meno, dall’altro lato, però, vedesse nascere contro di sé la diffidenza ironica, lo scetticismo, un’ostilità venata di paternalistico compatimento, da parte del Paese che conta di più e ne teme il dinamismo e i propositi, avendo capito che sarebbe esso il primo a farne le spese. «Non sarai tu, povero untorello, che spianterai le mura di Milano» sembra dirgli l’Italia antirenziana, forte della sua collaudata capacità di sopravvivenza.
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