Secondo me lo scetticismo nei confronti della Giustizia è vitale, come bene dice Ostellino, ma non solo per le ragioni che elenca il "nostro", che condivido totalmente, ma anche per corazzarsi contro una altrimenti perenne frustrazione. Non può essere tutta colpa dei giudici se i loro errori sono aumentati, se la sensazione di chi li osserva, e non da avversario - che al civile non c'è questo tipo di rapporto, il giudice è una sorta di arbitro, lì la contesa è tra due parti "private", non c'è "lo Stato contro il sig. Rossi" - , è che il livello della preparazione sia sceso. Forse ci sta anche che la società si è assai più complicata, e così la regolamentazione dei rapporti, sociali, economici, personali. Si continuano a fare leggi, normative, regolamenti, dimenticandosi magari l'esistenza di altri preesistenti e confligenti o comunque difficilmente amalgamabili. Anche la conflittualità è aumentata, in entrambi i settori, civile e penale (l'amministrativo non fischia), e certo un esercito affamato di 200.000 avvocati non è il massimo, di fatto, per favorire la conciliazione. Soffermiamoci un attimo su un campo che conosco abbastanza bene : il diritto di famiglia. I convegni sulla materia si sprecano, gli avvocati specializzati (o pseudo tali), le associazioni del settore, le scuole di mediazione familiare ( io partecipai ad una di quelle organizzate dal consiglio forense ) hanno avuto il loro momento di gloria, c'è anche un continuo fermento normativo, come la legge del 2006 che introdusse l'affidamento condiviso, adesso quella del 2013, con tutte quelle belle cose tra cui i diritti dei nonni. L'ascolto dei minori, una volta tabù, adesso è ritenuto pressoché indispensabile, che così sappiamo come la pensano, che i bambini mica sono stupidi... Ah, in queste cose s'impegnano tanto anche i giudici e soprattutto una pletora di psicologi. Bene, questo esercito tutto proteso verso il miglioramento della famiglia cosa ha prodotto ? L' aumento dei conflitti e l'inasprimento, degli stessi. Conosco colleghi, che Dio non voglia mi capitino davanti in uno di questi convegni, che si riempiono la bocca del "bene superiore del minore" e poi sono pronti a seguire per i soliti trenta denari il proprio cliente fino all'inferno (dove mi auguro prima o poi arrivino, per restarci). Non da meno i consulenti di parte, gente capace di sostenere oggi il bianco e domani il nero, secondo l'antico adagio dei falsi d'arte peritali : un milione e avrai un Giorgione, con un miliardo un Leonardo.
Ricordo ancora uno di questi incontri, dove il presidente della commissione famiglia del CNF, ricordava come fosse proibito per noi avvocati avere contatti coi minori, predisporre con loro (ma anche col genitore cliente) una anticipata ricostruzione dell'audizione del figlio in Tribunale per "prepararlo", e colleghi che si davano di gomito a dire "seeeee, buonasera....".
Ma al di là degli sciacalli, che ci sono ovunque e quindi anche nel nostro mondo, è un fatto che leggi, convegni, tavole rotonde, specializzazione di giudici avvocati e consulenti non ha prodotto nulla di buono. Laddove i genitori sono persone per bene e di buon senso, tutto questo apparato NON Serve, che quelli sapranno sempre MEGLIO di qualunque estraneo cosa è meglio per i loro figli. Quando così non è, ci vorrebbe onestà, che è già cosa difficile, ma almeno VELOCITA' nell'istruire i processi, capire le situazioni, intervenire tempestivamente.
Tutto questo non avviene, che questo campo, che pure è obiettivamente più veloce del resto dei processi civili, è comunque troppo lento. Dopo due-tre anni, in una materia del genere, tutti i danni che si potevano fare sono stati fatti.
Dopodiché magari ti capita di criticare in appello la sentenza dei Giudici del Tribunale e sentire il Presidente della Corte che "non ti permette" di esprimere giudizi così aspri nei confronti dei suoi colleghi del primo grado.
E lì il pensiero che farsi arrestare ma togliersi finalmente la soddisfazione di far tacere con un sonoro ceffone tanta stolida arroganza, ti viene.
E chissà che un giorno prevalga.
Non credo sarà un brutto giorno.
Ecco il cahier de doleances di Ostellino
Quel pizzico di scetticismo che serve
nei confronti dell’idea di giustizia
nei confronti dell’idea di giustizia
di PIERO OSTELLINO
A fondamento etico-politico dei processi staliniani nell’Unione Sovietica degli anni Trenta del secolo scorso c’era la presunzione che il Partito (comunista) incarnasse la volontà generale. Chi criticava anche solo un aspetto secondario delle politiche del Pcus era un «nemico del popolo» e, in quanto tale, veniva processato e condannato come «avverso al Progresso». Era un’interpretazione tutta ideologica del Diritto, e della funzione della Giustizia, rappresentandone una palese distorsione. Tale interpretazione ha rifatto capolino, da noi, negli ultimi tempi, sulla scorta di una concezione della Giustizia che si vorrebbe (iper)democratica ed è, invece, solo molto approssimativa e ben poco garantista. L’origine del totalitarismo sovietico era stata la cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre; in realtà, il golpe col quale la minoranza bolscevica aveva chiuso il Parlamento (la Duma), uscito dalla rivoluzione del 1905, che stava elaborando una Costituzione di tipo borghese e che aveva instaurato la dittatura del proletariato. Con la Rivoluzione d’Ottobre, secondo la vulgata propagandistica sovietica, lo Spirito del tempo aveva realizzato, nel solco dello sviluppo storico hegeliano dell’Idea di libertà e di eguaglianza, la deterministica profezia di Karl Marx circa l’inevitabile collasso del capitalismo sotto il peso delle sue contraddizioni e l’instaurazione di una libertà mai conosciuta prima e superiore. La Rivoluzione d’Ottobre aveva, inoltre, la pretesa di aver stipulato una sorta di rousseauiano «Contratto sociale» fra la totalità della popolazione e l’«avanguardia del proletariato», il Partito comunista; che, della Volontà generale, era il solo, e più corretto, interprete. Della stessa pasta è, ora, da noi, la diffusa convinzione che «le sentenze non si discutono». Anche qui c’è la doppia mistificazione, filosofica e storica, che, a suo tempo, aveva giustificato il totalitarismo sovietico. La mistificazione filosofica presume che fra Etica e Diritto ci sia identità, che si concreta in una sorta di moralismo popolare e grossolano del quale Croce si era fatto, a suo tempo, censore ironico e severo in un Frammento dell’Etica. La mistificazione storica — grazie alla quale un’opinione pubblica, giustamente scandalizzata dalla diffusa corruzione politica, ma anche, culturalmente e politicamente, sbrigativa e rozza — ha interpretato Mani pulite come lo Spirito del tempo, responsabile di aver finalmente instaurato il Regno dell’Etica e della Giustizia (!) ,anche grazie al permanente rapporto col popolo, mobilitato a guardia-trasparenza della moralità pubblica. È questa una sorta di stralunato neoassemblearismo giacobino che inverte addirittura la «legge di Hume». Mentre questa ammonisce che non si passa da una proposizione descrittiva (il mondo come è) a una prescrittiva (il mondo come dovrebbe essere), la sua inversione trasferisce nell’Essere (il mondo come è) il Dover essere (il mondo come si vorrebbe che fosse), col risultato che la Realtà effettuale non è più la Realtà sociale, bensì quella che emerge dalle sentenze dei tribunali, se non addirittura dagli avvisi di garanzia… Personalmente ritengo, e non ho alcuna remora a dirlo, che avvisi di garanzia e sentenze possano e debbano essere discussi con vigore, anche se civilmente, accettati. La contrapposizione fra una magistratura presentata come serena e «ideologicamente neutra», in quanto mutuata sia dalla definizione teorica del magistrato, sia, per autocertificazione da parte della stessa magistratura, e chi ne critichi le sentenze, è la sindrome totalitaria che cancella il diritto di opinione, discutibile o no che esso sia, prefigurando l’esproprio dell’autonomia e della libertà civile da parte di un potere pubblico. In parole povere: pericolosa per la democrazia. Che piaccia o no, i magistrati non sono «inviati di Dio in Terra» per realizzare una forma di Giustizia esente, per definizione, da errore e/o da critica. I magistrati sono esposti e, a volte, soggetti, all’errore, come ogni uomo. Le eventuali critiche alle loro sentenze sono, nel contesto di una democrazia liberale, unicamente delle opinioni, confutabili quanto ogni altra da opinioni divergenti. Rappresentare la magistratura come un’istituzione mistica, immune dall’errore, e pretendere che ogni critica ad essa sia perseguibile è, che piaccia o no, la negazione non solo del diritto di opinione, ma anche dello stesso concetto di Giustizia. Incidentalmente, se le critiche giornalistiche al processo Tortora fossero state interpretate dalla magistratura d’allora come un oltraggio e come tale fossero state perseguite, sarebbe mai stato possibile pervenire a un giudizio di innocenza per Tortora?
Se tutti insieme, cittadini comuni, giornalisti, magistrati, non si prende atto dei molti casi passati di «malagiustizia»
e non ci si mette in testa il semplice postulato che dubitare della giustezza di una sentenza è simbolo di civiltà, la credibilità del nostro sistema giudiziario sarà sempre debole e l’Italia non sarà mai un Paese civile.
Come pervenirvi, allora? La cultura liberale offre una risposta sul piano metodologico. Ci si perviene con un’ombra di scetticismo, se non di sano relativismo, nei confronti della stessa idea di Giustizia, che è sempre un’idea relativa, umana, e non è mai assoluta.
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