sabato 1 marzo 2014

SULLA LEGGE DI BANKITALIA SI ACCENDONO I RIFLETTORI DELLA UE. E NATURALMENTE SCATTANO I "IO L'AVEVO DETTO"


E' ancora recente la querelle sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia e il decreto legge convertito a colpi di "ghigliottina" parlamentare che scatenò la rabbia dei grillini e il caos in aula contro la Boldrini, gli insulti tra parlamentari, anche qualche manata fuori posto da troppo solerti difensori dello scranno presidenziale. 
Il Movimento5Stelle contestava il regalo alle banche, e non erano i soli a denunciare l'opacità di questa operazione. In Parlamento anche la Meloni di Fratelli d'Italia usò parole durissime e il resto dell'opposizione, senza salire sulle barricate, votò contro. Fuori del Parlamento, criticarono fortemente il decreto, poi divenuto legge, uomini non certo animati da spirito anti istituzionale o   anti governativo, come Boldrin, Giannino e Giacalone. Di quest'ultimo il Camerlengo ha pubblicato molti post in cui spiegava il perché la cosa non andava fatta. En passant, Giacalone accennava anche al fatto che le istituzioni europee non avrebbero apprezzato, e la BCE, che era stata consultata ma non ascoltata, aveva già espresso le sue critiche.GRAZIE alla bagarre grillina, si è aperto un dibattito retroattivo - forse meglio sarebbe stato discutere prima - e molti spiegarono in modo articolato le tesi favorevoli alla scelta del governo.
Per tutti, riporto due post che raccolgono questo confronto.http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/01/il-tentativo-di-spiegare-semplicemente.html 
e http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/01/la-difesa-del-decreto-bankitalia-almeno.html
 
Tutte le opinioni sono rispettabili, si sa, e questa poi non è materia semplice. Però poi ci sono i fatti e intanto si può dare conto di questi. Tra le cose che la Banca Europea aveva adombrato c'era che questa operazione di rivalutazione intanto non poteva essere calcolata ai fini dei bilanci 2013 (e nemmeno 2014), e che vi erano poi dei dubbi che la stessa non potesse essere vista come una illegittima - secondo le norme dei trattati europei sulla concorrenza - operazione di aiuto di Stato (alle proprie banche).
Ecco, ora l'Unione Europea ribadisce lo stesso concetto e chiede spiegazioni all'Italia. Al momento siamo solo ad una fase informativa ma i quesiti sono gli stessi sollevati dai contestatori della norma. Come funzionerà la vendità delle quote in sopravanzo ? La legge, si sa, stabilisce che nessun azionista detenga più del 3% del capitale complessivo,  e coloro che si torvano in stato di surplus devono venderlo entro un determinato tempo. Allo stato, in queste condizioni sarebbero solo sei soggetti, ma due di questi in due rappresentano oltre il 60% dell'intero : Intesa SanPaolo con il 42,5% e Unicredit con il 22%. 
Vi sono anche altri dubbi, come il divieto di vendere a soggetti non italiani.
Certo, si tratta al momento di meri quesiti, ma c'è chi dubita che il governo potrà rendere risposte soddisfacenti. Così come è vero che il parere della BCE non fosse vincolante, però è anche vero che nessuno obbliga Draghi a sostenere i titoli di stato italiani. Insomma, sappiamo tutti bene quanto in realtà siamo esposti anche agli umori delle istituzioni europee.
Giacalone, comprensibilmente, ritiene che le questioni proposte diano ragione a lui e torto ai difensori del provvedimento, e  ovviamente ci torna su.
Ecco come

Orgia Bankitalia

Il minestrone Banca d’Italia passa da acido a velenoso. L’avevamo detto e scritto, ma è ben magra consolazione. Gli aspetti orridi diventano evidenti anche a chi non ha voluto sentire e vedere. Qui troverete anche quelli comici, in omaggio al motto: castigat ridendo mores (posto a corredo, del resto, di un italico busto arlecchinesco, portato in Francia per volontà di Mazzarino). Cerchiamo anche di capire come se ne può uscire.
Partiamo dalle cose divertenti, si fa per dire. Com’è finito l’iter legislativo si sa: a schiaffoni, ghigliottine, fiducia e conversione del decreto. Terminati i ludi parlamentari, però, non è chiaro cosa debbano fare le banche, ovvero come devono trattare, a bilancio, quelle che (come scrivemmo per settimane) erano quote loro intestate fiduciariamente e sono divenute partecipazioni azionarie. L’Associazione bancaria italiana, quindi, ha deciso di chiedere il parere di due professori assai quotati, sia per competenza che per influenza: Piergaetano Marchetti e Angelo Provasoli. Il primo, secondo quanto riferisce il Sole 24 Ore, sostiene chiaramente che non si tratta della rivalutazione delle quote, attribuite nel 1936, ma di un asset, di un bene del tutto nuovo. Ha ragione, letteralmente da vendere. Proprio perché il risultato è un asset nuovo si dimostra quanto fossero fondate le nostre obiezioni e sbagliate le risposte del governo (di allora, ma a votare il decreto è stata la medesima maggioranza che sostiene l’odierno). Il secondo aggiunge: se è corretto che sono asset nuovi, allora possono essere considerati available for sale, in conto vendita. Morale: le banche possono mettere la posta in bilancio già per il 2013, anno in cui fu emanato il decreto, salvo dovere vendere ciò che eccede il 3%. Due professoroni per arrivare dove noi avevamo lasciato i nostri lettori, al modico prezzo di 1,20 euro.
Gliecché, però, la Banca centrale europea s’era già indispettita e offesa, per essere stata consultata all’ultimo minuto e perché il decreto era stato emanato prima della risposta. E scrisse che se non si chiarisce in che modo, e a che prezzo, la Banca d’Italia avrebbe dovuto procedere al riacquisto delle proprie quote, quelle non avrebbero avuto alcun valore nei bilanci delle banche. Della serie: tu dici che casa tua vale un milione, ma se non trovi qualcuno disposto a dartelo io non ci credo, e se scrivi che tanto se la riprende il costruttore, devi dirmi come, quando e quanto pagherà. Altrimenti è fuffa. Ora arriva di rincalzo la Commissione Ue, allertata da un’interrogazione di Niccolò Rinaldi (parlamentare europeo dell’Alde, di antica scuola repubblicana), talché il vicepresidente preposto alla concorrenza, Joacquin Almunia, si limita a porre delle domande. Scomode, però.
I punti sono due: a. se i soggetti che possono comprare sono solo italiani, come recita il decreto, state violando il Trattato di Roma? b. se pagate con i soldi della banca centrale, quindi della collettività, ciò che prima avevate messo in alcune vostre banche (manco tutte, ma una minoranza), questo turba la concorrenza e concreta un aiuto indebito? Sono solo domande. Ma ti voglio vedere a rispondere, perché sono esattamente i punti per i quali scrivemmo che il decreto era un obbrobrio. La cosa paradossale è che tedeschi e francesi mettono carrettate di soldi pubblici nelle loro banche e nessuno ne chiede loro conto, perché lo Stato è azionista delle stesse, mentre noi finiamo nei guai a causa di quattro presuntuosi arroganti, di cui due presunti banchieri e due presunti governanti.
Come se ne esce? Difficile, perché il decreto è legge. Malauguratamente. Ci sono due strade. La prima consiste nel farne oggetto di scontro con la Commissione prima e con la Bce dopo (scordiamoci che la Bundesbank molli l’osso, tanto più che ha ragione). Renzi si carica il cadavere di Letta. Si può spuntarla, ma con notevoli danni, visto anche che, al momento, per metterci una pezza, si stanno coinvolgendo la vigilanza, la Consob e Assirevi, in una scomposta orgia fra consulenti e autorità controllanti e indipendenti, che di tale natura perdono anche la finzione. La seconda strada è dolorosa, ma onesta: se le banche azioniste (sia stramaledetto il decreto) riescono a vendere le loro azioni eccedenti ad altre banche o assicurazioni radicate in Italia, buon per loro, iscrivendo a bilancio il valore di mercato; se non ci riescono, entro due anni, quelle azioni tornano alla banca centrale, ma al valore storico. Come dire che s’è fatto un gran casotto per niente. Ma meglio per niente che per perdere soldi, distruggere patrimonio e prendersi anche dei ceffoni.

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