Acuta, come di consueto, l'analisi di Antonio Polito che torna sul gap sempre più notevole tra annunci e realizzazioni del giverno Renzi. Non è nemmeno colpa di nessuno, in fondo, che non c'è obiettivamente il tempo di "fare" tutte le cose che il Premier va promettendo.
Polito fa giustamente osservare che questo tipo di politica non l'ha certo inventata l'ex sindaco fiorentino, e cita due esempi nobili proprio della sinistra migliore, quella liberal e/o socialdemocratica, rappresentata in Europa da Blair e Schroeder. In entrambi i casi, quando si passò ai fatti, le cose andarono meno bene per entrambi perché spesso accade che : 1) non si riesca poi a fare esattamente cio' che si è promesso, la realizzazione esce sempre un po' deludente; miglioramenti magari ce ne sono ma si paga lo scotto di aver generato aspettative troppo alte 2) si fa esattamente quello che ci si riprometteva, ritenendolo un bene per il Paese, e magari LO E', obiettivamente, ma con un prezzo che alla gente dispiace pagare, e quindi il politico coraggioso paga il suo senso dello Stato. E' successo a Schroeder che riformò lavoro e welfare tedeschi - quelle riforma che proprio NON riusciamo a fare, e mezza Europa insieme a noi - gettando le fondamenta della ritorvata solidità tedesca dopo il salasso dell'unificazione e lo choc della globalizzazione, e per premio ha avuto la sconfitta elettorale (onorevole, va detto, che infatti la Merkel dovette esordire alla Cancelleria con la prima delle sue Grosse Koalition ).
L'adagio politico per il quale gli uomini di governo saprebbero cosa fare, ma non hanno scoperto il modo di farsi rieleggere DOPO averlo fatto, ha purtroppo un suo fondamento, e di questo noi cittadini portiamo una responsabilità non piccola.
Tornando a Renzino, già dalla sorte del decreto legge sul lavoro si avrà una prima controprova se, arrivato a Rodi, il nostro è in grado di fare i balzi annunciati.
Dai sondaggi emerge che le speranze suscitate sono grandi, anche più del primo Berlusconi, quello del 1994 (ricordiamo che 20 anni fa Forza Italia fu decisiva per la vittoria del centro destra, ma prese il 21% dei voti, ben lontano da quel quasi 30% ottenuto sette anni dopo, nel 2001. Il PD renziano viene dato almeno al 30% alle prossime europee e c'è chi sogna in grande e di superare il record Veltroniano (33%).
Quindi l'operazione seduzione, come sagacemente la chiama Polito, è riuscita. Però, osserva giustamente il giornalista, alla seduzione deve seguire l'"atto".
Ed è lì che si vedono i veri "amatori".
Buona Lettura
il castello
degli annunci
Tony Blair visse per l’intera prima legislatura sull’onda degli annunci: si chiamavano white paper , riforme annunciate, date in pasto alla stampa, digerite dal pubblico come cambiamenti epocali, e poi dimenticate. Ma tirarono su il morale di una nazione depressa dal post-thatcherismo. Mentre fu solo quando dagli annunci passò ai provvedimenti che Gerhard Schröder perse le elezioni, per aver davvero rifatto il welfare tedesco e salvato la Germania dal declino economico. Ma il problema di Renzi, come ha notato ieri il Financial Times , è che i suoi giorni non ricordano neanche pallidamente gli anni ruggenti di Blair e Schröder. I quali danzarono su un’era di espansione e di crescita. Mentre Renzi si deve calare nella peggiore recessione del dopoguerra.
La politica dell’annuncio di Renzi è l’opposto di quella praticata dal suo predecessore. Quando Letta voleva fare una cosa, prima cercava il consenso dei tecnici e della sua maggioranza, e poi procedeva col minimo comun denominatore. Quando Renzi vuole fare una cosa, prima l’annuncia e poi chiede ai tecnici e alla sua maggioranza di realizzarla. In questo modo Letta produsse uno sconto fiscale di 18 euro al mese per i redditi bassi e Renzi ne produrrà uno da 80 euro al mese. Si direbbe dunque che funziona.
Non c’è però bisogno di essere un gufo, un rosicone, un disfattista (o come altro si chiama oggi chi si permetta di coltivare l’arte liberale del dubbio) per capire che tutto ciò comporta dei rischi. Questa tattica, che nel ciclismo si chiama «dell’elastico» (uno in testa scatta a ripetizione, e il gruppo deve accelerare per stargli dietro) ha i suoi limiti: se l’elastico si allunga troppo, si spezza. Fuor di metafora: Renzi ottiene ciò che vuole minacciando ogni volta di andarsene. Siccome oggi a nessuno conviene che se ne vada, la spunta. Ma prima o poi a qualcuno converrà, e i termini dell’equazione cambieranno. Per questo l’esperimento Renzi dipende così tanto dal risultato delle Europee.
In secondo luogo bisogna considerare l’effetto boomerang che potrebbe derivare da una inflazione degli annunci. In Europa, dove è essenziale essere creduti quando offriamo riforme in cambio di flessibilità. Ma anche in Italia, dove si vive in uno stato di sospesa incertezza, come in un castello delle fiabe, e tutti attendono di capire, prima di agire, se Renzi riuscirà a fare tutto ciò che dice, o solo una parte, e come.
Facciamo l’esempio del lavoro. Se un imprenditore può assumere, oggi sta sicuramente aspettando l’esito del braccio di ferro tra governo e sinistra parlamentare sull’unico decreto fin qui varato, che rende più facili i contratti a tempo determinato. E poi aspetterà di vedere se il disegno di legge seguente, il Jobs Act propriamente detto, lo contraddirà, restaurando un contratto unico a tempo indeterminato. Del resto è già successo che aspettative generate da Renzi siano cadute: quella di ricavare maggiori risorse dalle pensioni, per esempio, o dalla lotta all’evasione.
Il governo è quindi giunto a un momento cruciale. A metà mese ci saranno le tabelle del Def, numeri vincolanti. Gli annunci sono stati tutti fatti, e da qui alle Europee bastano e avanzano. Ora serve che diventino leggi e provvedimenti. Come in ogni storia d’amore, alla seduzione deve seguire l’atto.
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