lunedì 9 giugno 2014

AL SISI PRESIDENTE. L'EGITTO DOPO TRE ANNI, HA IL SUO NUOVO FARAONE


Chissà cosa staranno pensando gli intellettuali capalbiesi e  dintorni dell'estate araba... Quelli che avevano applaudito entusiasti alle manifestazioni di Piazza Tharir, che portarono alla deposizione del Faraone Mubarak, padrone dell'Egitto per 30 anni e ora gravemente malato e processato per vari reati.
Quelli che poi erano rimasti male, quando alla prova della democrazia elettorale i loro beniamini - le donne, i giovani, i laici, gli intellettuali come loro - si erano rivelati netta minoranza, con le elezioni stravinte da quei barbudos di troppo Dio dei Fratelli Musulmani.
Quelli che erano tornati a sperare quando Morsi era stato destituito e dopo di lui sciolto il parlamento eletto, con i Fratelli espulsi dal potere, e pazienza se per farlo c'era stato bisogno di un golpe militare. 
Alla fine, in fondo, ci sono golpe e golpe...
Adesso che nuove elezioni si sono tenute, e al potere è tornato un generale, con il 97% dei voti ( di quelli che sono andati a votare, il 30%...), che detiene sostanzialmente ogni potere sul Paese, cosa pensano ?
Magari che ha ragione Al Sisi quando fa capire  "per la democrazia ripassate tra 25 anni". 
Neanche Tomaso da Lampedusa, che pure fece profeticamente dire al suo Principe di Salina "bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è",   sarebbe rimasto indifferente alla velocità del cerchio perfetto disegnato dalla società egiziana, tornata, in appena tre anni, al suo punto di partenza.



Carriera, ricchezze (e segreti) del generale che si prende l’Egitto
Il colpo contro Mubarak preparato dal 2010 
 
 

In abito blu di buon taglio e con la consueta aria austera, Abdel Fattah Al Sisi ieri ha giurato al Cairo da sesto presidente dell’Egitto, il quinto militare. Dopo la cerimonia nella sede in stile egizio della Corte costituzionale, poco lontano dalle celle dei suoi predecessori (Mubarak sconta tre anni per furto di fondi pubblici, Morsi attende il giudizio e forse la pena di morte), Al Sisi ha incontrato i suoi ospiti al palazzo presidenziale di Heliopolis. Tra loro i reali di Abu Dhabi, Kuwait, Bahrain e Giordania, oltre al numero 2 dei sauditi in rappresentanza dell’anziano re Abdullah, primo sponsor (anche con miliardi di dollari) dell’«eroe» che ha eliminato dalla scena i Fratelli musulmani. Solo a livello di ambasciatori le diplomazie occidentali: il pugno di ferro del nuovo raìs — centinaia di islamici uccisi, decine di migliaia arrestati, la dichiarazione che «la democrazia arriverà tra 25 anni» — non suscita entusiasmo, come le elezioni di maggio vinte con il 97% dei voti senza veri rivali. Ma anche l’Occidente ha preso atto che Al Sisi è saldamente al comando. Per quanto è difficile dire, ma ora ha ogni potere: esecutivo, legislativo (il parlamento è sciolto), di fatto giudiziario, militare.
Eppure fino al 3 luglio 2013 nessuno lo conosceva, in Egitto era noto da poco come ministro della Difesa scelto dal presidente Morsi. Molti pensavano ci fosse un’alleanza tra i due, entrambi molto religiosi. Ma quel 3 luglio fu Al Sisi a deporre il raìs islamico. Un improvviso voltafaccia? Non pare: nonostante fino a tre mesi fa lui abbia negato di volere il potere, molti elementi indicano il contrario. Già da ragazzo, dice chi lo conosceva, «era serio e puntava in alto». Nato nel 1954 a Gamaliya, il quartiere raccontato da Mahfuz nel cuore della Cairo islamica, era il secondo di otto figli di un mobiliere. Durante la campagna elettorale lo staff di Al Sisi, scarno come lui nelle informazioni, lo ha definito «figlio del popolo» se non povero. Ma in realtà, ricordano i vicini, la famiglia era ricca, il padre «era il solo ad avere una Mercedes e possedeva varie botteghe» nel bazar Khan Khalili. Ricchezza cresciuta negli anni tanto che l’eredità del neoraìs sarebbe stata di 3 milioni di euro, aveva scritto in febbraio il quotidiano Al Watan (notizia mai pubblicata: il governo aveva fatto cambiare all’ultimo la prima pagina). In quanto al giovane Abdel Fattah, chi lo conosceva lo descrive «introverso e devoto: non giocava con gli altri, al massimo a scacchi, invece studiava, sollevava pesi, andava a letto presto e a volte si autopuniva. Una volta si rasò i capelli a zero dopo che il padre l’aveva sgridato per una camicia scollata». Nessuna ragazza, pare, fino al fidanzamento a 21 anni con una cugina diventata poi sua moglie (velata) e madre dei suoi quattro figli.
Anche la carriera di Al Sisi, che non ha mai combattuto pur essendo chiamato il «leone»», pare senza sorprese: studi in un liceo militare, poi nell’esercito, nel 1992 è a un collegio militare nel Surrey (nessuno lo ricorda, secondo i media britannici). Quindi è addetto militare a Riad e nel 2005 all’accademia in Pennsylvania. Negli ultimi anni di Mubarak è capo dell’intelligence dell’esercito. Su questo ultimo periodo, però, qualche sorpresa è emersa. Secondo vari testimoni Al Sisi già dal 2010 aveva convinto molti generali ad abbandonare Mubarak, in procinto di passare il potere al figlio Gamal. E quando esplose la rivoluzione l’esercito si schierò con la piazza. Altre fonti hanno poi dichiarato che Al Sisi riteneva da tempo che la Fratellanza fosse un pericolo. E che l’alleanza con Morsi fosse di facciata. Super riservato per carattere e per il passato da 007, convinto che le parole non vadano sprecate e il potere vada esercitato dall’alto (non ha fatto comizi elettorali né presentato un programma), Al Sisi è ancora un mistero per molti, egiziani compresi. Ma i fatti che ora sarà più difficile celare, le sue azioni da presidente, saranno presto sotto gli occhi di tutti.

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