lunedì 9 giugno 2014

LE RICETTE GARANTISTE CONTRO LA CORRUZIONE


Sintetica, lucida e chiarissima l'analisi che Pierluigi Battista propone dalla sua rubrica settimanale sul Corsera - Particelle elementari - ancorché, facile e triste profezia, inascoltata
Chi volete che infatti, con questo succedersi di scandali, voglia ancora sentire parlare di presunzione di innocenza ? In prigione ! come cantava  nella sua bella canzone degli anni '70 Edoardo Bennato
Eppure, prova a spiegare il direttore, se si riuscisse a celebrare dei processi in tempi ragionevoli, prevedibili nella loro durata, con sentenze definitive, magari si otterrebbero più risultati che aumentando il numero e i poteri dei controllori (non è che mancassero fino a questo momento, salvo magari accertare alla fine  che erano in combutta coi controllati...). Non parliamo poi della rivisitazione delle regole, aggiungendone di nuove e diverse come se la foresta non fosse ormai inestricabile.
Lo scrive Battista ma non è il solo : anche Davide Giacalone mette insistentemente l'accento sul fatto che è il malfunzonamento della giustizia, con indagini lentissime, processi non meno lenti, a favorire la convinzione che delinquere "se puede".  Magari si corre il rischio di un limitato periodo di gogna mediatica, ma poi l'informazione e il pubblico si stancano e passano ad altro. Conseguenza : l'innocente accusato resterà infamato tutta la vita, anche qualora venga assolto, e il colpevole potrà contare su un interminabile processo per vedere se riesce a scamparla in qualche modo (magari per prescrizione) e poi godersi il bottino. Entrambe le nefaste conseguenze sono il frutto della stortura denunciata da Battista nel suo Post.
Peraltro non sfugge al giornalista il pericolo di questa sacrosanta invocazione per un processo da celebrarsi in tempi umani e ristretti : la tentazione forcaiola di abbattere le garanzie contro gli errori di giudizio, e quindi via l'appello, tanto per dirne una. 
Proprio il Procuratore Nordio, titolare dell'inchiesta Mose, metteva in guardia dalla tentazione di inseguire facili consensi con la vellicazione degli istinti "sanguinari" (proprio questa parola ha usato) di troppa gente. Quella che canta "In Galera ! "
E pensare che dal 18 giugno quel matto di Sansonetti esce in edicola con un quotidiano denominato Il Garantista.  Un suicidio, poco meno.
Ma meno male che ci siano ancora folli così.

Processi in tempi certi ricetta anticorruzione



Certo, può sembrare banale sostenere che l’unica ri- sposta efficace alla corruzione è una giustizia che rispetti tempi civili e stabilisca rapidamente chi è colpevole e chi è innocente. Ma comunque non più banale della rituale rivendicazione di nuove «regole» per un Paese che annega nelle regole cervellotiche in cui le richieste di permessi, autorizzazioni, nulla osta, commesse, subappalti, concessioni, certificazioni moltiplicano le occasioni di ingrassare l’apparato della famelica intermediazione politica. E non più banale della liturgica riesumazione della «questione morale», secondo la quale invece di fare leggi efficaci per neutralizzare il malaffare, il compito della politica è quello di aspettare che gli esseri umani si facciano santi. Campa cavallo. Nel frattempo, resta la prosaica soluzione: rendere i tempi della giustizia decentemente umani, secondo gli standard degli altri Paesi civili.
Anche perché, occultando la questione dei tempi certi e brevi della giustizia o relegandola ipocritamente nella sfera delle cose impossibili, si finisce per generare mostri culturali.
Come la proterva aggressività forcaiola verso il principio civile e costituzionale della presunzione di innocenza, che diventa la bandiera dei nuovi Bracardi dell’opinionismo nostrano («in galeeeraaa»), mentre tacciono i Zagrebelsky e le Spinelli, vestali a giorni alterni della Costituzione violata. O come la richiesta di abbassare bruscamente le garanzie dello Stato di diritto per indagati e imputati, a cominciare dal desiderio morboso e autoritario di abolire la prova d’appello. O come la risibile ricerca di forme anticipate di sanzione politica; anticipate rispetto a una sentenza che si sa non arrivare mai e che dunque dobbiamo eludere. E dunque la grottesca sequenza di proposte per fissare il momento esatto in cui mandare via «a calci nel sedere» persone ancora tutelate in linea teorica dalla presunzione di innocenza: dopo l’avviso di garanzia, dopo il rinvio a giudizio, dopo la condanna di primo grado, o addirittura, quando un nome dovesse uscire in una delle migliaia di intercettazioni telefoniche di cui, come ha confermato di recente un rapporto Vodafone, l’Italia detiene il triste primato? No, meglio una vecchia ma solida banalità liberale: i tempi della giustizia devono essere certi e brevi. Solo così, dopo una sentenza giusta e ottenuta in tempi civili, si saprà con certezza intransigente quali politici estromettere dalle istituzioni, e quali imprese non potranno partecipare ad altri appalti. Solo così sarà salvaguardata la reputazione degli innocenti eventualmente coinvolti e si potrà appurare se chi indaga ha lavorato bene, cercando le prove, oppure si è accontentato di teoremi destinati a sbriciolarsi al vaglio giudiziario. Quindi, subito processi nei tempi giusti: una riforma da fare subito. Altrimenti, per fare più in fretta, copiare a scelta da uno qualunque dei Paesi civili: la giustizia italiana ne avrebbe da guadagnare.

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