IL fatto di godere di una vittoria, in qualunque campo essa si registri, è fatto naturale e positivo, e quindi bene hanno fatto gli amici del PD a felicitarsi dell'indubbio successo riportato alle Europee. Il fatto che lo stesso sia stato aiutato da una serie di fattori esterni quali un'astensione del 43%, il declino di Berlusconi, la paura di Grillo e dei suoi per i loro toni apocalittici, tutte cose che sono andate a corroborare il valore aggiunto della novità di Renzi e la genialata degli 80 euro in busta paga, non cambiano la sostanza. Il 41% dei voti espressi, 11.200.000 in totale sono cifre che restano. Dopodiché Claudio Cerasa avrà tirato un sospiro di sollievo, che aveva appena visto uscire il suo libro - Le Catene della Sinistra - nel quale, numeri alla mano, faceva notare che in Italia il partito maggiore della sinistra, comunque coniugatosi (PCI, Ulivo, PD) mai supera l'asta dei 12 milioni di elettori, e così è stato anche stavolta.
Però, mentre prima a quella massa forte ancorché minoritaria si contrapponeva una più forte (la DC l'altro ieri, Berlusconi e il centro destra ieri), adesso non è più così, e si vince anche perché s'indeboliscono gli altri.
Ciò posto, poi passano i giorni e ti accorgi che, a differenza dell'ottimismo di chi si sveglia la mattina e ha la sensazione di essere in un paese migliore, i problemi stanno ancora tutti lì.
Non che si possa pretendere che il Mago Matteo potesse risolverli in tre mesi, però le soluzioni avviate non sembrano essere così brillanti e convincenti.
E così quelli di Standard & Poor's, dopo tre mesi di entusiasti "FATTO !", ci lasciano in serie B, dove siamo nonostante due anni e mezzo di cure cavalline, di tecnici e di onesti che si sono succeduti al governo della Repubblica. E non ce la menate con la storia dello Spread che anche mio figlio di 8 anni ormai sa che quella è roba che ci ha rimesso a posto Draghi, ed è ancora lui, sia benedetto nei secoli, a tenerla a bada.
Tolto quindi lo spread, che peraltro è peggiore di quello spagnolo, il che è una pessima cosa, gli altri indici, dopo Monti, Letta e 100 giorni di Renzino, sono tutti negativi : Debito (135 miliardi), Spesa Pubblica (che nonostante tutte le spending review e i commissari alternati non scende, anzi aumenta), Disoccupazione ( 14%, 46% quella giovanile) e Pressione Fiscale (mai così alta ).
Ora, quelli di Standard & Poor's sono senz'altro antipatici, e con colpe passate grandi (vedi la tripla A assegnata a Lehman's Brothers ancora alla vigilia del fallimento ), però non hanno responsabilità di quei numeri nefasti. Dopodiché ce ne sarebbero anche di buoni, come l'avanzo primario, una decente tenuta dell'export nel settore manifatturiero, un debito privato meno grave di altri paesi più in salute (Germania) o meno adocchiati (Francia). Ma non risultiamo convincenti, dopo lustri passati a promettere riforme che non vengono realizzate mai, ma quando qualcosa viene fatta, per lo più va in una direzione non commendevole .
Tutto questo viene meglio rappresentato da Davide Giacalone, uno dei "renziani" della prima Leopolda, ora piuttosto perplessi dal FARE del giovane Premier.
L’autoinganno
L’arte dell’inganno si sublima quando l’ingannatore finisce con l’ingannare sé stesso. Vedo un certo sconcerto per il giudizio di Standard & Poor’s, sulla base di due presupposti: a. le altre agenzie di rating avevano promosso l’Italia; b. i cambiamenti fatti sono rilevanti. E poi, di grazia, lo spread non è forse sceso?No. Non prendiamoci in giro da soli. Quindi, nell’ordine: 1. nessuna agenzia di rating ha segnalato miglioramenti relativi all’Italia, semmai Moody’ e Fitch hanno trasformato la loro previsione da negativa a stabile, che significa: resterete messi male; 2. i cambiamenti sono immaginifici, al momento, visto che il debito cresce, la spesa pubblica cresce e la pressione fiscale li segue, per servirli, il che depotenzia le speranze di ripresa; 3. lo spread scende perché mamma-Bce s’è arrabbiata con i discoli che ci menavano, ma quello spagnolo resta inferiore all’italiano, segno che la gang dei pestatori ci punta prima e più di altri, in attesa che mamma si distragga.
La verità è che un filo lega i giudizi delle agenzie alla vicenda del Mose, ed è lo stesso filo che ci passa attorno al collo: non cambia mai nulla; diciamo sempre le stesse cose; facciamo sempre lo stesso dibattito; presentiamo sempre le stesse ricette. Ma non facciamo un accidente. Dalla corruzione alla giustizia, dal debito alla spesa, sono anni e anni che ripetiamo quel che si dovrebbe fare, ma non lo facciamo. E’ questo che scatena le previsioni cupe, non altro.
Se guardassimo con più attenzione dentro la nostra economia potremmo far pernacchie alle agenzie, ricordando loro quanto sono sguerce e in conflitto d’interessi. Ma se guardiamo l’insieme, e non solo chi lavora e continua a essere competitivo, lo spettacolo è desolante.
Dicono: ora c’è una nuova classe dirigente, sono giovani, hanno voglia, ce la possono fare. Magari! Mi preoccupano le somiglianze, però. Dire che la corruzione dipende dagli uomini e non dalle regole è un modo per pigliare l’applauso facile, ma il governo è lì non per la redenzione dell’umanità, bensì per dare regole e rispettarle. Annunciare commissari sempre più ultra-stra-megagalattici, dotati di poteri magici contro la corruzione, è illusorio. E autoillusorio. La sfida non è quella dell’eccezione, ma della normalità. La corruzione è prima di tutto inefficienza e impunità, non si va da nessuna parte se la giustizia non funziona. E’ vero che l’Italia non è stata condannata da Strasburgo e che sulle carceri l’abbiamo sfangata. Ma avete presente come? Liberando i condannati. Pensano che da questo derivi maggiore timore della pena?
Dicono: i giovani ora al governo sono innocenti. No, questo lo nego. Questo è l’inganno più pericoloso, perché tutto basato sul lato penale. I governanti di oggi si sbracciano nel dire che la riforma del titolo quinto della Costituzione è stata una schifezza, che s’è scassato lo Stato e si sono moltiplicate le spese. Bravi, è vero. Ma io lo scrivevo prima che il loro partito la facesse, quella riforma, mentre loro se ne stavano zitti e si facevano eleggere sindaci e assessori. No, non ci sono innocenti. Qui si tratta di spezzare il filo dell’immobilismo, e se vogliono riuscirci non possono farlo sperando di autonominarsi quali unici rappresentanti del bene. Perché quando un vento di follia consente di queste incarnazioni, segue un uragano di pazzia che spazza via tutto.
Quindi: lasciate perdere S&P, smettetela di trastullarvi con le rottamazioni, qui si deve far scendere il debito, la spesa e il fisco. Liberalizzare, rimpicciolire lo Stato, scrivere norme chiare e brevi, far sì che la giustizia sia amministrata dai tribunali e non dalle procure. E’ quello il terreno del cambiamento. Il resto è intrattenimento.
CATERINA SIMON
RispondiEliminaL'unica perplessità che mi sorge leggendo questo articolo, é l'idea che "si sappia benissimo ciò che va fatto ma nonostante questo non lo si faccia". Se questo é vero per la maggior parte dell'etile culturale ed economica, e sicuramente per la destra, ho invece la sensazione che una larga parte del popolo di sinistra, della dirigenza e sopratutto dei quadri intermedi e degli amministratori locali, non abbiano affatto assimilato la ratio di fondo dei provvedimenti da prendere e che intimamente non le condividano affatto. Noto, sentendo tanti amici di sinistra, come queste ricette siano percepite "di destra" o comunque troppo estreme. Di qui, per esempio, l'autentico accoramento nel perorare una modifica del decreto Poletti..Mi pare che la dirigenza PD e i giornali d'area, impegnati com'erano a contrastare Berlusconi con ogni mezzo, abbiano mancato di spiegare e aprire un dibattito con il proprio elettorato su quali fossero i problemi dell'Italia sia strutturali che in relazione al nuovo mondo globalizzato.Non solo, ma anzi abbiano continuato ad illuderlo irridendo le riforme proposte dalla destra salvo poi doverle attuare loro a spizzichi e bocconi ( vedi gli scioperi scatenati contro la riforma delle pensioni nel 94 attuata poi da loro in più tornate). Quello che vedo mancare ancora nell'elettorato di sinistra, è un approccio pragmatico alla risoluzione dei problemi a favore di un ragionamento di tipo ideologico. Questo provvedimento è o non è di sinistra? Renzi è di sinistra? Blair in un bellissimo discorso aveva affermato che " non esiste una politica economica di destra o di sinistra ma solo una Buona Politica Economica", ecco, questa consapevolezza mi pare che sfugga alla gran parte dell'elettorato della sinistra e sia essenzialmente per questo, non solo per le varie lobby, che non si riesca a fare le riforme.