Ieri avevi pubblicato l'editoriale di Pierluigi Battista che esortava i magistrati a non sfruttare eccessivamente - e fuori luogo - il solito scudo dell'indipendenza.
Puntuale arriva la replica piccata di Sabelli, presidente del sindacato (loro non vogliono che si chiami così, ma questo è ) dei magistrati denominato ANM, che seccato fa una serie di domande retoriche e negando, come sempre, l'evidenza : che i magistrati sono una corporazione, ormai gonfia di privilegi, e per questo difendono strenuamente lo status quo, perché qualsiasi riforma vera e seria NON può prescindere dal loro ridimensionamento, che non significa vessarli, ma riportarli nei loro confini, da tempo travalicati.
L' Editoriale contestato da Sabelli lo trovate qui http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/06/linvocazione-continua-dellindipendenza.html
mentre di seguito sia l'intervento della Camusso in veste togata che la succinta, ma efficace replica di Battista
Anm: magistrati e responsabilità civile
«Soltanto
lo Stato, ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere
l’accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso
un’azione innanzi ad un tribunale». Non è una dichiarazione dell’Anm ma è
quanto si legge nella Raccomandazione n. 12/2010 del Comitato dei
Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa. Purtroppo, mi accorgo
che si fatica a trascinare la discussione relativa ai temi della
giustizia fuori da quel clima da «derby ideologico» (l’espressione è del
presidente del Consiglio), che si alimenta di una deprimente
superficialità e di pregiudizi diffusi, che trasmettono, della
magistratura, l’immagine di una casta conservatrice, di una corporazione
privilegiata e autoprotettiva. Dunque, è mai possibile che Pierluigi
Battista, nel suo articolo «Ora Vostro Onore pagate per l’errore»
(Corriere, 16 giugno), possa ignorare la differenza fra azione diretta
(della cui illegittimità, in realtà, pochi dubitano) e disciplina della
responsabilità civile? Possibile che non colga le conseguenze
paralizzanti e distorsive di un’azione civile diretta contro il
magistrato, per le incompatibilità che genera e per il condizionamento
che produce? Possibile che la discussione su temi così delicati e così
seri – responsabilità, indipendenza, giurisdizione – tanto spesso
degradi a un tifo di parte che trasforma il confronto in una rissa
confusa delle idee? In questi giorni, il tema della responsabilità si
intreccia con quello della riduzione dell’età pensionabile dei
magistrati. Sono questioni diverse, che vanno tenute distinte. Non
voglio approfondire qui l’argomento della responsabilità civile; basti
ricordare che esso tocca la nostra indipendenza e attinge il cuore della
giurisdizione. La riforma dell’età, invece, incide sulla buona
organizzazione e sull’efficienza e dunque sulla qualità della giustizia
che rendiamo ai cittadini. Qui l’indipendenza non c’entra. In realtà,
l’Anm non si oppone affatto alla riduzione dell’età massima di servizio,
tanto più che, nel 1992 e nel 2002, la magistratura non richiese e anzi
ne criticò l’aumento. Non può, però, non mettere in guardia dai rischi
di un eventuale intervento effettuato in via di urgenza, senza
un’adeguata gradualità; senza considerare attentamente gli effetti che
il pensionamento contemporaneo di oltre 300 o 400 magistrati produrrebbe
sulla Cassazione e sui vertici degli altri uffici giudiziari; senza
tenere conto, in concreto, dei tempi necessari per coprire le vacanze e
ripianare gli organici; senza valutare quali sarebbero gli effetti sui
processi; senza agevolare ai giovani laureati l’accesso al concorso in
magistratura. Dunque, è fuori luogo ridurre tale invito alla
ponderazione a una difesa corporativa, come Battista suggerisce
nell’articolo del 14 giugno «Se tagliare gli stipendi e anticipare la
pensione per i giudici è un attacco all’indipendenza» e come ripete
nell’altro del 19 giugno «La mescolanza dei princìpi». Caro Battista, i
magistrati hanno troppo rispetto del principio di indipendenza per farne
lo scudo pretestuoso di un privilegio e ancor meno possono accettare
insinuazioni sulla loro fibra morale allorché si affronti il tema delle
retribuzioni. E’ così difficile comprendere che la riduzione unilaterale
degli stipendi è un’arma con cui si può condizionare una (qualsiasi)
categoria e che se ciò riguarda la magistratura si mettono in pericolo
almeno un paio di principi costituzionali? Possibile che io debba
ripetere ancora una volta che, invece, la magistratura associata non ha
mai, dico mai, affermato che un tetto massimo alle retribuzioni, imposto
per ragioni di equità sociale, sia un attentato all’indipendenza? Una
magistratura che non sapesse ragionare di se stessa e cogliere le
necessità di cambiamento espresse dalla società in cui opera sarebbe
destinata a perdere di autorevolezza e di ruolo. Dunque, la magistratura
è aperta alle riforme ma queste non possono che svolgersi nel rispetto
dell’attuale assetto costituzionale della giurisdizione. La magistratura
associata è meno corporativa di quanto si creda e di quanto la si
voglia fare apparire e intende contribuire alle buone riforme, ma in un
confronto senza pregiudizi, fuori da quella notte in cui tutte le idee,
come le vacche, diventano bigie .
Rodolfo Sabelli, presidente Anm
Possibile che il presidente dell’Anm tenga in così palese disprezzo i
princìpi della democrazia da ignorare la volontà dell’80 per cento degli
italiani che si è espresso a favore della responsabilità civile dei
giudici? Possibile che continui a non deplorare chi, affiliato alla sua
organizzazione sindacale, ha commesso un’ingiustizia per «dolo» e
«colpa grave»? Possibile che non capisca che la parola «indipendenza»
andrebbe bandita quando si parla di retribuzione ed età pensionabile?
schifosi al cubo
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