Strano che anche Scalfari, che in passato è stato un grande fautore delle riforme istituzionali,ora ricordi che, in fondo, alla maggioranza degli italiani, specie di questi tempi di scarsa pecunia, gli importa poco del Senato e della Legge elettorale, già semmai di più norme che riguardino il lavoro.
Eppure i maggiori sforzi e fatiche il geverno Renzi le sta spendendo proprio su di esse, mentre per il resto è la solita solfa : faticare come muli in Europa per ottenere di sforare i conti e indebitarci un altro pò, che di dimagrire lo Stato e le sue spese non ci sono santi o madonne, e nel frattempo tassare per tenere in assetto la barca : Imu ripristinata e più salata, ugualmente Tasi e Tare, le solite accise, i bolli, adesso le rendite finanziarie (e si parla sempre di patrimoniale, come se l'IMU non lo fosse). Veramente NULLA ma NULLA di nuovo. Cambiare Verso ? Indove di grazia ?
Ma magari è questione di tempo - strano, anche Letta lo diceva... - che 5 mesi sono pochi, obiettivamente. Il problema, come continuiamo a ripetere, non è tanto che le riforme ancora non ci siano, ma come stiano procedendo i lavori nei cantieri delle stesse.
In particolare, quello che mostra il governo è la mancanza di una sua idea CHIARA, da proporre al Parlamento, accettando osservazioni e anche correzioni, ma non snaturamenti, arrivando poi a partorire ibridi assoluti e inefficaci o, peggio, dannosi.
QUando tanti giornalisti e politici ripetono a pappagallo che lo stesso Calderoli definì la sua legge una porcata, non dicono la verità. Il Ministro Leghista definì tale NON La sua proposta di legge, ma quella che poi fu votata a seguito degli interventi anche del Quirinale ! (fu Ciampi, per fare un favore alla sinistra, che pretese su base regionale l'attribuzione del premio di maggioranza al Senato, col risultato di azzoppare sia Prodi che Bersani...E' notorio, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi...).
In ordine a questa mancanza di una "ricetta" chiara, magistrale il commento odierno di Ainis, che suggerisco a tutti di leggere, ma a certi miei - cari - amici del PD ancor di più.
C’è un Cuoco
un po’ Miope
nella
Cucina
delle Riforme
di MICHELE AINIS
La legge elettorale? A bagnomaria, cucinata a fuoco lento. E il Senato? Al forno, ma attenti alle ustioni. Intanto, mentre le pietanze cuociono, c’è già chi accusa un mal di pancia. Colpa degli ingredienti,
anche se nessuno li ha ancora assaggiati. Oppure colpa delle pance. D’altronde non ce n’è una uguale all’altra: per saziarle, servirebbero mille menu per i nostri mille parlamentari.
Le soglie di sbarramento, per esempio: Bersani le trova troppo basse, Berlusconi troppo alte. O le immunità: sì da Alfano, sì da Forza Italia in coro, no da Grillo e Vendola, Pd non pervenuto. L’elezione diretta del Senato: a favore la minoranza della maggioranza (da Chiti a Minzolini), però stavolta la maggioranza rischia d’andare in minoranza. E le preferenze? Bersani le vuole, Berlusconi le disvuole, Renzi forse le rivuole, Grillo preferisce le spreferenze (un voto per promuovere, un voto per bocciare).
Troppi cuochi, verrebbe da obiettare. E troppa carne al fuoco. Ma per ottenere un piatto commestibile, bisogna anzitutto scegliere un’unica ricetta. È questo il nostro problema culinario: pencoliamo dalla nouvelle cuisine (il doppio turno in salsa francese) ai crauti (un Senato che scimmiotta il Bundesrat tedesco). Senza un’idea precisa, senza un progetto consapevole. Eppure in questi casi gli ingredienti sono solo due: rappresentanza e governabilità. Si tratta perciò di miscelarli per cavarne un buon sapore. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Specie in Italia, dove manca persino la bilancia. Come d’altronde testimonia la nostra stessa storia.
Durante la Prima Repubblica c’era una legge elettorale superproporzionale. Risultato: il massimo di rappresentatività del Parlamento (aperto a tutti, dai radicali ai neofascisti), il minimo di stabilità (i governi duravano in media 10 mesi). Ma anche il massimo di garanzie costituzionali, nella scelta dei custodi così come delle regole; difatti in 45 anni furono appena 6 le revisioni della Carta, peraltro su aspetti marginali. Dopo di che l’avvento del maggioritario battezza la Seconda Repubblica, e qui i pesi s’invertono. Diventa fin troppo facile emendare la Costituzione (10 interventi in vent’anni, senza contare la maxiriforma del 2005, bocciata poi da un referendum). I presidenti delle Camere perdono il loro abito neutrale, perché la maggioranza se li accaparra entrambi. Fino alla tragedia nazionale andata in scena l’anno scorso, durante i 5 voti nulli per eleggere il capo dello Stato. Perché ormai ci eravamo abituati a scelte rapide, sonore, muscolari. Eppure Scalfaro e Pertini vennero eletti al 16º scrutinio, Saragat al 21º, Leone dopo 23 votazioni.
Morale della favola: urge trovare un equilibrio fra rappresentanza e governabilità. Per esempio: il combinato disposto fra l’Italicum e il nuovo Senato permette al vincitore di mettere il cappello sul Quirinale. Non va bene, ma basta diminuire i deputati. E magari aumentare i collegi, per consentire all’elettore di conoscere il faccione dell’eletto. Abbassare le soglie di sbarramento, perché l’8% è una montagna. Innalzare il 37% con cui scatta la tombola elettorale: siccome un italiano su 2 marina ormai le urne, quella maggioranza è fin troppo presunta, e dunque presuntuosa. Ecco, la presunzione. È il nemico più temibile, perché nessuno può cucinare le riforme in solitudine. Mentre i 5 Stelle aprono al Pd, mentre Berlusconi offre collaborazione, sarebbe un delitto se il governo vedesse solo il proprio ombelico. Ma dopotutto, basta regalare al cuoco un paio d’occhiali.
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