I poveri cristi che lavorano oggi in Alitalia - mi riferisco a Steward e Hostess - che nulla hanno a che fare coi privilegiati colleghi che li hanno preceduti nella quasi ex compagnia di bandiera nei felici anni 80 e 90, c'entrano poco con la scandalosa conduzione di Alitalia nei decenni, ma se non sono colpa loro gli sprechi infiniti realizzati in quel pozzo senza fondo, resta vero che questo resta un caso paradigmatico di tutto il peggio che l'Italia riesce a realizzare nella gestione di un'impresa importante.
A tutti i livelli : pubblico e privato, sindacati e personale.
Io ho conosciuto da vicino quel mondo, fidanzato per due anni con la figlia di un pilota e di una capocabina, e sentivo i loro discorsi, quelli dei loro amici e colleghi. Loro due erano (sono) bravissime persone, i loro amici anche, i colleghi e conoscenti forse meno. Ma al di là dei singoli, come insieme erano TUTTI dei privilegiati ASSOLUTI : hotel a cinque stelle, indennizzi e trasferte dorati, riposi (retribuiti) di giorni tra un volo e l'altro, e retribuzioni che tra stipendio e voci complementari erano principesche per i piloti e alte per gli assistenti di volo. Tutto questo è finito, lo so bene, ma è stato così per lustri !
A parte questa età dello sperpero, quando il ripianamento a piè di lista delle passività è cessato, non si è mai riusciti a rimettere in sesto le cose, pur operando (perché obbligati) dei cambiamenti significativi.
Ricordo, nelle cene di 20 anni fa, piloti che dicevano di sapere ben loro come si sarebbe dovuta condurre Alitalia per farla funzionare. So che alcuni di loro, andati in pensione con liquidazioni miliardarie (Allora c'era la lira), hanno poi in effetti messo su una compagnia aerea, che è regolarmente fallita.
Bè, almeno in questo caso i soldi li hanno persi loro.
Adesso, questa storia degli esuberi rispetto all'assorbimento che è disposta a fare Etihad, sembra riproporre, per l'atteggiamento dei sindacati, segnatamente CGIL (sempre loro !!!) , i vizi eterni, con la solita tutela degli occupati vari gradini sopra e avanti quelli che un lavoro non riescono ad averlo, anche per questo tipo di politiche del lavoro.
Illuminante l'articolo di Paolo Baroni, de La Stampa
Gli esuberi e i privilegi dei “soliti”
Il caso Alitalia è un vero e proprio test. Molto importante. Ricco di novità. Ma c’è anche il rischio che in parte possa tradursi in un nuovo pasticcio all’italiana.
Non solo c’è la possibilità di far risorgere una società importante per il Paese, ma oggi praticamente fallita, ma questa può diventare anche la palestra per sperimentare importanti innovazioni nella gestione degli esuberi. La nuova Alitalia grazie a Etihad potrà certamente svoltare, ma il salto vero viene chiesto oltre che ai sindacati soprattutto allo Stato, in tutte le sue articolazioni, dai ministeri alle Regioni e giù giù sino alle agenzie del lavoro. Perché ci sono da gestire altri 1000-2000 esuberi e certamente non si può continuare a pagare a piè di lista, in pratica all’infinito, ancora anni ed anni di ammortizzatori sociali come ci ha insegnato anche la misera storia della nostra compagnia di bandiera. Per questo l’esperimento dei «contratti di ricollocazione» va visto con grande interesse. Perché finalmente si passa dallo Stato che si fa carico di ogni costo a quelle che vengono definite le «nuove politiche attive del lavoro». Entrano in campo le agenzie pubbliche e private del lavoro, si studiano i curriculum delle persone da ricollocare, si allestiscono corsi di formazione ad hoc e si cercano nuovi sbocchi. Poi però chi rifiuta per due volte il nuovo impiego perde ogni sussidio. Una svolta vera. Nulla a che vedere coi 7 anni di cassa integrazione, non a mille euro al mese – si badi bene - ma all’80% del vecchio stipendio, assicurati ai quasi 6mila dipendenti lasciati a casa nel 2008 dalla vecchia Alitalia statale messa in liquidazione.
Detto questo, proprio perché non ci sono precedenti, c’è il rischio fondato che si prendano strade pericolose. Come quella che suggeriva ieri dalle colonne di “Repubblica” il presidente dell’Enac (l’Ente nazionale per l’aviazione civile), Vito Riggio. Fosse per lui bisognerebbe «obbligare» tutte le compagnie aeree e gli aeroporti a pescare dalla «lista Alitalia» per le loro assunzioni future. Ma in questo modo si passerebbe da un eccesso di assistenzialismo ad una vera e propria distorsione del mercato del lavoro. Perché se è vero che i «mille di Alitalia» che resteranno davvero senza occupazione hanno diritto di lavorare, identico diritto andrebbe garantito a quanti nel mondo del lavoro non sono mai nemmeno entrati. Parliamo delle migliaia di giovani che negli ultimi tempi hanno ingrossato a dismisura le file dei disoccupati e che purtroppo non godono di analoghe tutele da parte dei sindacati. Sono loro la nostra «grande crisi», non certo i mille di Alitalia. A questo punto è chiaro che una soluzione «alla Riggio» non farebbe altro che rendere ancora più palese e stridente la spaccatura che ormai da troppo tempo caratterizza il mondo del lavoro (e quindi anche la rappresentanza sindacale): su una sponda ci sono quelli che lavorano e che perciò sono «protetti» dai sindacati, quelli fino ad oggi hanno avuto sempre il posto sicuro ed hanno beneficiato di tutti i sussidi e gli ammortizzatori immaginabili e che ancora li pretendono all’infinito. E sull’altra sponda ci sono i non tutelati. Quelli che oltre a non aver mai trovato un lavoro ora dovrebbero pure cedere il passo in virtù di un non meglio precisato diritto di precedenza. Usiamo un termine alla moda: non è arrivata l’ora di cambiare verso?
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