martedì 15 luglio 2014

HA RAGIONE GRAMELLINI : SONO GLI ALTRI CHE RENDONO MESSI ANTIPATICO


Non è colpa di Messi se fanno di tutto per farlo diventare antipatico. Lui di suo non lo è, (nemmeno simpatico, perché troppo introverso). Certo non si è attribuito lui il pallone d'oro nell'anno che lo avrebbero meritato Xavi o Iniesta, neo campioni del Mondo (2010), o Snajider, finalista ai mondiali in Sud Africa  e vincitore con l'Inter del triplete. Non è colpa sua se, tra lo stupore e l'imbarazzo generale, anche il suo, al mondiale è stato premiato come il miglior giocatore del torneo (???). Addirittura l'ineffabile Blatter ha dichiarato che in effetti qualcosa nei criteri di assegnazione di quel premio va rivisto. Per ammetterlo un personaggio con tanto pelo sullo stomaco come lui, vuol dire che la toppa è stata grossa.
In realtà ha ragione Gramellini quando dice, nella sua quotidiana rubrica su La Stampa, che Messi non si è mai proposto come demiurgo, come leader conducator delle sue squadre per portarle al successo. Lui fa il suo, e per anni lo ha fatto straordinariamente bene. Quest'anno, dove non ha vinto nulla e probabilmente è la prima volta che gli succede, è sembrato in flessione, pur segnando sempre molti gol (stavolta non decisivi per la vittoria finale). C'è chi dice che è stanco, soprattutto di testa, che soffre la partenza di Guardiola e l'arrivo di Neymar (adesso ci sarà anche Suarez...). Io penso che anche il declino di Xavi (che ha chiuso con il Barcellona e va a prendersi barcate di dollari in Arabia) abbia pesato, che Messi, grandissimo giocatore dotato di fantasia e giocate geniali, è soprattutto un finalizzatore, non un creatore di gioco (ancorché bravo negli assist sotto porta) e ha bisogno di centrocampisti all'altezza. Per anni ha avuto i due più grandi del mondo, che infatti hanno fatto la grandezza della Spagna oltre che del Barcellona : Xavi, appunto, e Iniesta. 
La sentenza del giornalista - Messi ha più talento che carattere -   mi sembra azzeccatissima.
Non condivido invece le altre riflessioni di Gramellini ( in genere mi stupisco del contrario...) , che approfitta del caso Messi per contestare la figura del Leader, immaginandola SEMPRE come una creazione di noialtri bisognosi della figura carismatica del capo.
Fa l'esempio di Obama, e lì può aver ragione, ma non è affatto vero che i leader non esistano, che non ci siano persone che sappiano mettersi alla testa del gruppo ( che può essere una squadra, una impresa, un comune o una nazione) e guidarlo. 
Restando al mondo facile del calcio, Messi non lo è, come giustamente ricorda Gramellini, aggiungendo che manco chiede di esserlo, mentre Maradona, Platini, Crujiff, Bekembauer lo erano (ma ne cito solo alcuni : gli esempi sono tantissimi). 
Accade anche, come stavolta con la Germania, che a volte emerga il collettivo, senza stelle particolari, oppure invece che un leader singolo si crei un "direttorio", tre-quattro giocatori che per carisma ed esperienza prendono la guida.  Ma "l'uomo solo al comando" che da bravo uomo di bon ton di certa sinistra Gramellini mostra di non apprezzare, esiste, e spesso è prezioso (certo, a volte si è mostrato tragicamente dannoso, ma li parliamo di dittatori). 
Sicuramenteci sono anche molti bluff in giro, dolosi (perché si vendono per quello che non sono), e il timore che ce ne sia uno in corso proprio nel nostro paese è forte.
Non è il caso della "Pulce", come detto incolpevole  di non realizzare un sogno che non è il suo.
 


MANOMESSI


 
Agli albori del nuovo Reich, mezzo mondo accusa il piccolo grande sconfitto Lionel Messi di non essere colui che in fondo non è mai stato. Follie moderne, da anime deboli che elemosinano leadership forti. Messi ha sempre avuto più talento che carattere. Del fuoriclasse ha i piedi, non la personalità. Ma bisognava trovare un eroe a cui intestare i Mondiali e gli sponsor e gli appassionati hanno caricato Messi di significati maradonici che non si è mai sognato di possedere. Adesso lo si processa per non avere mantenuto le promesse, dimenticando che erano promesse fondate su un’illusione non suggerita da uno straccio di fatto. Lo stesso cortocircuito dell’assurdo si era consumato anni fa intorno a Obama, un brillante intellettuale di Chicago casualmente di colore che il desiderio collettivo trasformò nel messia destinato a condurre l’Occidente oltre le sabbie della crisi, con i bei risultati che si sono visti.  
Questo bisogno disperato di uomini soli al comando su cui scaricare aspettative e responsabilità ricorda il meccanismo di certi innamoramenti, quando l’amante impresta all’amato o all’amata una serie di qualità inesistenti e poi rimane deluso dallo scoprire che in effetti non esistono. I leader sono marchi di riconoscimento che per comodità comunicativa appiccichiamo a un evento o a un’epoca. Con buona pace di politologi e giornalisti attratti dal mito del Capo taumaturgo, ci vuole lo sforzo comune di tante persone per cambiare davvero la realtà. Al Maracanà non ha vinto un leader, ma una squadra. 

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