La reprimenda dura dell'ex ambasciatore, e ormai noto politologo, del sistema correntizio dei magistrati, del carrierismo politico per via giudiziaria, sicuramente susciteranno la risposta piccata di Sabelli dell'ANM, e/o qualche suo sodale.
In attesa, leggiamo con piacere
GIUDICI TOGATI E GIUDICI LAICI
IL PROBLEMA DELLE CORRENTI
Sono stati appena eletti i componenti togati del Consiglio
superiore della magistratura sull’onda delle critiche per le
interferenze delle «correnti». Pur condividendo le osservazioni secondo
cui gli incarichi direttivi o semi-direttivi dovrebbero essere conferiti
sulla base di meriti e non semplicemente di appartenenze, rimango
abbastanza stupito che le critiche contro il «correntismo» siano
formulate da soggetti che stanno per nominare i componenti «laici» del
Csm, ripartendoli tra maggioranza e minoranza parlamentare e quindi su
indicazione dei partiti, che sono i modelli che le «correnti» della
magistratura sono accusate di imitare. Che ne pensa della possibilità
di nominare tutti i componenti elettivi del Csm, anche quelli «laici», a
mezzo di un sorteggio, tenuto conto che le modalità potrebbero essere
agevolmente individuate con legge? Guido Bufardeci
guido.bufardeci@
Caro Bufardeci,
F ra l’elezione dei laici e quella dei togati vi è una differenza. Se la legge prescrive che un terzo del Consiglio superiore della magistratura venga eletto dal Parlamento in seduta comune (art. 104 della Costituzione), è inevitabile che la scelta divenga politica e che i partiti, piaccia o no, abbiano un ruolo determinante. Accade anche negli Stati Uniti dove ogni presidente nomina i giudici della Corte suprema, quando vi sono vacanze, scegliendo fra quelli che sono in maggiore sintonia con i suoi programmi; e deve successivamente sottoporre la sua scelta all’approvazione di senatori che hanno un evidente profilo politico.
Nel caso dei togati invece il ruolo assunto dalle correnti nella prassi repubblicana è, a mio avviso, incompatibile con la natura del Csm. I costituenti hanno creato il Consiglio per consentire ai magistrati di autogovernarsi e di essere così «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Ma la Repubblica ha tollerato la nascita di un’associazione che è, come certi animali mitologici, per metà sindacato e per metà una costellazione di correnti, ciascuna delle quali ha una connotazione politico-ideologica. È stato deciso che un magistrato non potesse iscriversi a un partito per evitare che fosse condizionato, nella sua attività professionale, da interessi di parte e lealtà di gruppo. Ma gli è stato permesso di aderire a famiglie ideologico-sindacali che presentano lo stesso rischio. Il caso del sottosegretario Cosimo Ferri è esemplare. Quando gli è stato rimproverato di avere fatto campagna per l’elezione di persone a lui gradite, ha rivendicato il diritto di partecipare alla vita organizzativa della magistratura dicendo «sono tuttora un magistrato». Ci ha detto quindi, in realtà, che si può essere contemporaneamente magistrato e membro del governo, che una identità non esclude l’altra. Non è questo che i costituenti volevano quando cercarono di creare le condizioni perché la magistratura fosse un «ordine autonomo e indipendente». Temo che l’associazione e le sue correnti siano responsabili in ultima analisi di un fenomeno che è andato progressivamente crescendo col tempo: quello dei magistrati che cedono alle lusinghe della politica e usano la popolarità conquistata nelle aule dei tribunali per entrare in un mondo da cui dovrebbero restare separati e distinti.
I sorteggi, caro Bufardeci, sono il metodo preferito dai sistemi che non sanno fare scelte responsabili e trasparenti. Ma in questo caso potrebbero contribuire, almeno per il momento, a rompere l’oligopolio politico-ideologico con cui la giustizia italiana ha deciso di governare se stessa.
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