lunedì 14 luglio 2014

DOPO PANEBIANCO, ANCHE GALLI DELLA LOGGIA MOSTRA QUALCHE DUBBIO SULLA VERITA' DI RENZI

 
Ieri avevo citato Galli della Loggia come uno, insieme (subito dopo va) ad Angelo Panebianco, degli editorialisti del Corrierone più speranzosi (fiduciosi forse sarebbe dire troppo) nella leadership renziana.
Ma esattamente come il bravo professore, il cui post abbiamo pubblicato ieri ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/07/anche-panebianco-si-arrende-renzi-non.html ) , oggi è il turno dell'altro opinionista liberale del Corsera esprimere crescenti dubbi e perplessità. E come Panebianco, anche Galli della Loggia ammonisce Renzino a non sopravvalutare il pur sorprendente successo alle Europee, che potrebbe rivelarsi piuttosto effimero (in un anno, il Movimento 5 Stelle è passato dal 25 al 21%, e il numero di voti persi è ancora maggiore : ben 3 milioni !)  tenuto anche conto che nel 2013 avevano votato quasi il 70% degli aventi diritto, e quest'anno il 57%.
Il famoso 40,8% di Renzi, significano 11.200.000 voti, ben superiori agli 8.650.000 di Bersani ma ancora inferiori ai 12.100.000 presi da Veltroni nel 2008 ( con l'eredità pesantissima del governo Prodi durato solo due anni di suk arabo permanente nel pollaio dell'"Unione"). Insomma, alla fine della fiera, non è che aumenti il bacino di voti del centrosinistra, ma si riduce quello del centro destra dove gli elettori, delusi, non votano (oppure votano Grillo. Non sono tanti quelli alla fine sedotti dalla sirena renziana, anche se ce ne sono).
Queste cose sono vere, così come il lungo cahiers de doleances che ormai ciclicamente Galli della Loggia propone lanciando un severo J'accuse alla intera società italiana, alle sue inossidabili ed egoiste corporazioni, tra cui include magistrati e sindacati (per citare due categorie con le quali fare i conti è difficile per tutti, e Renzi non pare faccia eccezione, al di là dell'apparenza).
Come ho scritto ieri commentando l'editoriale di Panebianco, io ho il timore che i due grandi opinionisti dimentichino la natura e formazione profondamente democristiana che Renzi ha avuto e dimostra
Io non ce lo vedo dire quelle parole di verità agli italiani, quali l'aver vissuto al di sopra dei nostri mezzi, aver realizzato una crescita anche impetuosa, in certe epoche, ma STORTA, basata anche su vizi quali l'evasione fiscale da un lato, l'assistenzialismo dall'altro, con fiumi di denaro pubblico spesi per ingrassare e mantenere le varie clientele e il consenso. Non ce lo vedo Renzi tagliare con le cesoie questi rami storti, affrontando i guardiani feroci degli stessi. Troverà tutta gente che gli dirà : "questo NO !, taglia l'altro ! ".
No, lo vedo ammiccante e ruffiano col "popolo" .
E così, quel declino che è già iniziato (altro che orlo Professore !!), continuerà inesorabilmente, temo fortemente.






Dirsi in faccia un po’ di verità
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA



Sono molte, forse anche troppe, le cose che il governo attuale si è impegnato a fare. Ma mano a mano che qualcuna di queste viene sia pur faticosamente compiendosi, ci si accorge che esse non bastano a far ripartire il Paese.
La parola d’ordine della «rottamazione» con la quale Matteo Renzi ha costruito il suo successo quando era un outsider serve poco a Matteo Renzi presidente del Consiglio. Oggi, quel messaggio di rottura chiede non solo di essere riempito di contenuti specifici. Chiede soprattutto una visione più alta, una voce più matura e più convincente, capace di mobilitare le menti e i cuori: e in questo modo di spingerli al rinnovamento e all’azione. Voglio fare un esempio solo apparentemente minore: quello del rilancio del servizio civile messo in cantiere dal governo pochi giorni fa.
Ebbene, invece di farne un’occasione per una sorta di grande chiamata all’impegno civico per l’Italia, rivolta a una gioventù oggi sfiduciata e abbandonata a se stessa; invece di immaginare obiettivi concreti per un tale impegno (chessò, pulire le coste e le rive dei corsi d’acqua, tenere lezione d’italiano e di cultura elementare per gli immigrati, presidiare di notte le periferie urbane garantendone la sicurezza); invece di cercare di colpire l’immaginazione come avrebbe fatto un Roosevelt, evocando una Giovane Italia che riprende in mano le sorti del suo Paese, invece di qualcosa del genere ci si è limitati alle solite trattative con la solita burocrazia della solidarietà, con le decine e decine di associazioni, cooperative, Ong (in genere accuratamente lottizzate), che non si capisce bene che cosa faranno ma si capisce solo che avranno un po’ di soldi pubblici in più.
È in questo modo che il carisma che certamente Renzi possiede rischia — ripercorrendo le orme fatali di Craxi e di Berlusconi — di restare un carisma vuoto. Vuoto di quella capacità essenziale per un uomo di governo che è la capacità di leadership (cioè di guidare e di fare, convincendo e creando consenso). Non a caso, se non mi sbaglio, già comincia a serpeggiare tra molti uno scetticismo larvato, un senso di disillusione.
Non inganni il premier la pletora di quelli che mossi dalla speranza di conservare le proprie posizioni ora vogliono salire sul suo carro di vincitore. Sono proprio questi che ogni giorno di più appesantiscono e impacciano i suoi movimenti, alla lunga rendono imbolsita la sua immagine e, lungi dal costituire un seguito, semmai gli impediscono di consolidarne uno. Il vero seguito, infatti, quello che gli serve per riuscire, Renzi deve cercarlo nell’opinione pubblica, e a me pare che egli debba ancora costruirselo. La vittoria elettorale nelle elezioni europee (i cui risultati, lo ricordi, si sono spesso dimostrati quanto mai volatili) è soprattutto un preannuncio di consenso, ma guai a considerarlo equivalente a un consenso già acquisito e consolidato.
L’Italia, non bisogna stancarsi di dirlo, è sull’orlo di un vero e proprio declino storico. Arretriamo in tutto. In tutto stiamo uscendo dal gruppo di testa nelle classifiche mondiali; sempre più perdiamo la proprietà di pezzi importanti del nostro apparato produttivo; peggiorano le nostre condizioni materiali di vita; si accrescono le differenze sociali; aumenta la distanza tra le diverse parti della Penisola; i giovani, presenti in numero sempre minore, ci abbandonano in misura sempre maggiore.

Dove sia il punto di non ritorno non lo sappiamo. Ma sentiamo che esso, ormai, non è forse troppo lontano. Che senza un mutamento rapido e radicale, qui ed ora, siamo destinati a vedere cominciare a sgretolarsi l’edificio di conquiste storiche costruito pur tra alti e bassi lungo un secolo e mezzo. Perché è questo e non altro ciò che oggi è in gioco.
Matteo Renzi se ne rende conto? A tanti è sembrato di sì. E che proprio perciò egli fosse la persona giusta per guidare il Paese. Molti hanno sperato che forte della sua giovane età e del suo temperamento egli potesse essere il protagonista del mutamento radicale che serve all’Italia. Renzi lo sa. Finora, però, non ha compiuto il passo davvero decisivo per avviare la svolta che il Paese attende: il passo senza il quale tutto il resto è impossibile. E cioè dire a questo stesso Paese la verità.
Per risalire la china abbiamo bisogno innanzi tutto di verità. Che si dica come stanno le cose, che si parli dei molti errori che abbiamo commesso e delle vie senza uscita in cui ci siamo cacciati. Che si smascherino le bugie di vario genere che le mille corporazioni italiane, dai magistrati ai giornalisti, ai tassisti, raccontano e si raccontano per mantenere i propri privilegi ai danni dell’interesse generale.
Dobbiamo sapere che da troppo tempo crediamo di poter vivere al di sopra dei nostri mezzi. Bisogna che l’Italia ascolti raccontare per filo e per segno degli sprechi pazzeschi e delle disfunzioni (dal numero degli addetti alle spese vere e proprie) che quasi sempre con la complicità dei sindacati sono divenute la regola nelle amministrazioni pubbliche. Che si dica a voce alta che fare le Regioni come le abbiamo fatte, con i poteri che abbiamo loro dato, è stato una scempiaggine assoluta. Che dalle elementari all’università abbiamo scaricato sul nostro sistema d’istruzione tutto lo sciocchezzaio ideologico e tutte le fumisterie parademocratiche che ci hanno attraversato la mente negli Anni 60-70, in tal modo mandandolo in pezzi. Che le privatizzazioni sono state un’autentica truffa ai danni della collettività. Che troppo spesso il livello professionale del management alla guida del nostro apparato produttivo e bancario è infimo mentre la sua sete di soldi è enorme. Che da noi il merito è messo al bando dovunque ma specie dalla classe dirigente, continuamente a caccia di posti tramite raccomandazione a pro di mogli, mariti, figli e amanti vari.
Che le cose stanno così (e quelle ora elencate costituiscono solo un modesto campionario) lo sanno, lo sappiamo tutti.
Ma sarebbe una vera rivoluzione se a dirlo fosse il Potere, per bocca del presidente del Consiglio: perché solo a quel punto la verità da tutti conosciuta diverrebbe innegabile. Sarebbe un macigno ineludibile nel nostro discorso pubblico con cui tutti dovremmo fare i conti. Mettendo così a rischio i nostri vizi più inveterati: a cominciare per esempio dalle bugie pietose delle corporazioni di cui dicevo sopra, come quella dei magistrati, con i loro motivi di aria fritta accampati per conservare il privilegio di restare in servizio fino a 75 anni.
Certo, dire la verità è quasi sempre scomodo e difficile. Ma se vuol mantenere fede alle speranze da lui stesso suscitate, se vuole cambiare verso al Paese, Matteo Renzi è atteso a questa prova di lucidità e di coraggio. Per cui serve una cultura politica, una conoscenza della società italiana e della sua storia, un’ispirazione anche morale (sì, quando la politica va oltre la routine, essa s’incontra inevitabilmente con l’etica), che non so se egli abbia. Ma qui è Rodi, e qui egli deve saltare. Senza una grande operazione di verità, di tutta la verità, sul proprio passato e sul proprio presente, l’Italia non potrà mai cambiare strada. E quindi non potrà mai salvarsi. 

Nessun commento:

Posta un commento