martedì 22 luglio 2014

DISARMATE HAMAS


Come sempre acuta e a mio avviso equilibrata la riflessione di Giacalone sull'ultima crisi di Gaza.L'uccisione dei tre ragazzi israeliani non è la causa, e alla fine nemmeno i 10.000 razzi lanciati in 10 anni su Israele lo sono. Il problema sono i tunnel che quelli di Hamas scavano da tempo per riuscire a riportare il terrore delle stragi di civili nella terra del nemico.  Da quando è stato realizzato il muro (orrido, vero, ma funziona) sul confine, le missioni suicide sono cessate, perché sostanzialmente prive di possibilità di successo. E allora si cerca di passare altrove. Per provare a distruggere i tunnel con bombardamenti e missili Israele avrebbe dovuto spianare Gaza, e volantini e telefonate avrebbero salvate ben poche vite tra i palestinesi che, volenti o costretti (esistono entrambi), restano nelle loro case nonostante l'invito ad abbandonarle e trovare rifugio altrove. 
Così si è deciso per l'unica opzione residua.
Certo, ricorda Giacalone, si potrebbe tentare la ripresa della via diplomatica, ma Hamas da quell'orecchio non sembra sentirci e del resto è logico, visto quali sono gli obiettivi, da sempre, di questa formazione terroristica, e la debolezza di tutto l'Occidente, che ribadisce sempre il diritto di Israele ad esistere e quindi a difendersi, ma poi non spiega come altrimenti potrebbe fare.
L'Italia, come da tradizione, è la più imbelle di tutti i paesi della filiera europea, che pure non brillano per iniziative efficaci, ma non è certo da noi che possono comunque venire soluzioni anche temporanee. 
E' l'Occidente a latitare, e Israele, con tutta la sua forza militare, è solo.




La solitudine di David



Chiedere a Israele di fermare l’azione militare, chiedere che ci sia una tregua, significa ignorare del tutto le condizioni in cui la reazione è stata scatenata. E significa far finta di non sapere che una tregua umanitaria c’è già stata la settimana scorsa, con cinque ore di cessate il fuoco, nel corso delle quali la popolazione poteva provare a procurarsi viveri e medicine (da qui le lunghe code ai bankomat). Dopo la prima ora quella tregua è stata violata da Hamas, che ha sparato due missili contro Israele. Barack Obama e Angela Merkel hanno detto che Israele ha diritto di difendersi. Non basta, è scontato, ma non è quello il punto. Anche se lo osservo con il dovuto rispetto, posto che il governo italiano s’è coperto con la vergogna del silenzio. Un lungo e deprecabile silenzio. Chiedevano la guida della diplomazia europea, che non esiste. Sono andati a rimpiattarsi quando s’è trattato di far valere la posizione italiana, che pure esisteva. Sul fronte ucraino e su quello israeliano. Tale fuga contribuisce ad allungare la guerra, con la relativa lista dei morti.
La causa principale di quella guerra, al confine della striscia di Gaza, è l’isolamento di Israele. Da Gaza gli israeliani sono andati via meno di dieci anni fa. Il governo israeliano fece sloggiare i coloni e abbatté le loro case con le ruspe. Non è certo per stare a Gaza, che è stato aperto il fuoco. I sistemi di protezione anti missile funzionano, la sicurezza della popolazione civile israeliana non è totale, ma il 90% di successi, nell’intercettare attacchi aerei, è un ottimo e rassicurante risultato. Quell’arma difensiva ha reso asimmetrica la guerra: i colpi israeliani arrivano, quelli di Hamas si consumano prevalentemente per aria. Ciò nonostante sono dovuti intervenire anche via terra, esponendosi a un rischio per cui dovrebbero essere ringraziati: Hamas non solo annunciava, ma già praticava la guerra portando l’attacco mediante tunnel sotterranei, se Israele non voleva essere protetto dal cielo e vulnerabile dal suolo, se si volevano prevenire gli attacchi terroristici, che avrebbero fatto strage di civili, e se non si voleva farlo solo con i missili, il che avrebbe comportato una carneficina di civili palestinesi, all’imbocco di quei tunnel si doveva andare a piedi. Era quello che Hamas voleva, per ricattare il resto dei palestinesi, ma lo si sarebbe potuto evitare solo se ci fosse stato un vasto fronte internazionale, noi compresi, capace di chiarire che la fine del terrorismo fondamentalista, la fine di Hamas come esercito armato, è da considerarsi la condizione della pace. Non c’è stato. Per questo c’è la guerra. Chiedere tregue è da stolti, anche un po’ vili e imbroglioni.
Ciò non di meno Israele guarda con orrore l’ipotesi di dovere tornare a occupare Gaza. E’ un film già visto, senza lieto fine. Come è un film già visto l’iniziale solidarietà occidentale a Israele, salvo consumarla velocemente quando le armi portano alle loro inevitabili conseguenze. Ma se si vogliono far tacere le armi si deve far parlare la diplomazia.
Gli Stati Uniti hanno lasciato che il loro segretario di Stato andasse al massacro, facendo proporre a Kerry quel che gli Usa stessi non erano disposti, o capaci di garantire. Non è che se si conduce un negoziato con l’Iran, finanziatore e fornitore di Hamas, destinato al controllo dell’energia atomica, si può supporre che Israele entri automaticamente in modalità inerte e serena. Specie se nel corso del negoziato emerge il Qatar come nuova piattaforma logistica di Hamas. E specie se questo sostegno consente ad Hamas di condurre l’attacco che più le interessa, quello per cui è foraggiata: combattere contro i palestinesi che alla pace ci credono, impadronirsi di quella causa non per giungere alla pace, ma per garantire la perpetuità della guerra, in questo modo lanciando l’attacco contro l’Egitto, reo d’avere rinculato quando s’è visto finire nelle mani della fratellanza islamica.
Israele spara perché è isolato. Non può fare diversamente, pur non vedendo sbocco politico al conflitto. Ma Israele è isolato, e non c’è sbocco, perché l’occidente ha sbagliato. Stati Uniti in testa. Ci sarebbe spazio e utilità per l’Europa, se esistesse. Ma a guidarne la politica estera si candida chi non è riuscito manco a dire che sarebbe sensata e prudente una commissione internazionale d’inchiesta, circa l’abbattimento di un volo civile. Non che oggi si sia messi meglio, ma certo non una ragione per augurarsi o rassegnarsi al peggio.

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