martedì 22 luglio 2014

QUANDO E PERCHE' IL SINDACATO SI SCOPRE PATRIOTA


Ha ragione Giuseppe Turani nell'obiettare a tutti coloro che si stracciano le vesti per la vendita dell'"Italia" agli stranieri, che  il mondo è cambiato, da tempo, e che non è fondamentale che l'imprenditore sia di nazionalità italiana quanto che esista, e voglia fare impresa in Italia.
Però capisco anche le ragioni dei "dolenti", in testa sindacati e sinistra radicale, che giustamente osservano che è tutt'altra cosa poter trattare, e alla bisogna, ricattare gli imprenditori italici, anche con l'aiuto del governo, rispetto ad avere a che fare con gli stranieri.  Guardate il caso Alitalia- Quelli di Etihad la loro posizione l'hanno chiarita abbastanza presto, una volta fattasi un'idea sufficiente precisa dello stato della società aerea che intendono acquistare. E sul personale hanno fatto sapere quanto ne sono disposti ad assorbire. Duemila persone, per loro, resteranno escluse dal vettore aereo nascente.
Figuriamoci i sindacati ! Ma gli arabi non si sono commossi e quindi smossi. E' il governo - e non è il mestiere suo - che si è affannato a trovare soluzioni di vario tipo per ricollocare gran parte di queste persone, e oggi quelli scoperti sarebbero circa la metà : un migliaio. La CGIL ancora dice di no, ma il rischio che il compratore se ne vada, e al contempo Alitalia finisca davanti al giudice fallimentare, è grosso !
Ecco, è questo che proprio non piace al nostro modo di intendere il mercato ed il lavoro. Il fatto che quegli "avvoltoi" dei "padroni" prendano cappello e se ne vadano, invece di collaborare a trovare un bell'accordo che alla fine veda lo Stato, e quindi i contribuenti in generale, mettersi le mani in tasca per far quadrare cerchi infernali. 
Nessun patriottismo, mera convenienza.
Buona Lettura 


L'Italia in vendita

Gli ultimi due casi sono Indesit e Alitalia. Aziende nelle quali entra il capitale straniero, che ne assume anche il controllo (anche formale nella prima, di fatto nella seconda). Ogni volta che questo accade, ogni volta che un’azienda passa di mano, la reazione dei media (e di parte dell’opinione pubblica) è grosso modo la stessa: “traditori” quelli che vendono le aziende e “sparvieri” quelli che le comprano, l’Italia viene svenduta.
Un simile atteggiamento è ottocentesco, ma forse bisogna risalire ancora più indietro nel tempo. Oggi siamo in un’economia globalizzata, che ci piaccia o no. E la “nazionalità” dei proprietari di una società per azioni non ha molta importanza. Spesso l’arrivo degli stranieri è inevitabile o anche utile.
Pochi esempi. Quando alla signora Thatcher proposero di intervenire per salvare l’industria automobilistica inglese, la risposta fu: per quelli non tiro fuori nemmeno un penny. E non sbagliò. Comprarono tutto i tedeschi e oggi in Inghilterra si fanno più automobili che in Italia e decine di migliaia di persone ricevono buoni stipendi.
Stessa cosa in Spagna, altro luogo in cui si fanno un sacco di automobili, ma con le aziende sotto controllo straniero (i soliti tedeschi). Ma anche in Spagna ci sono decine di migliaia di persone che prendono un buon stipendio. Senza l’arrivo degli stranieri, non ci sarebbe niente. Tanto l’Inghilterra quanto la Spagna non avevano i soldi per salvare le loro fabbriche di auto.
Ma la globalizzazione ha effetti ancora più macroscopici. Sono anni, ad esempio, che in tutto il mondo occidentale non si fabbrica più un solo computer (si fanno i chips, questo sì) o una macchina fotografica (a parte la Leica). E credo anche che siano sparite tutte le fabbriche di impianti hi-fi.
Eppure tutti usiamo i computer, le macchine fotografiche e ascoltiamo la musica su impianti stereo. Tutta questa roba viene fatta in Oriente. Non per questo il mondo occidentale è andato a fondo (un po’ ci è andato, ma per colpe sue). Anzi, gli americani della Apple hanno inventato iPhone e iPad, grandi successi mondiali, ma si sono ben guardati dal fabbricarne anche solo un esemplare. Non fanno nemmeno le scatole che contengono questi oggetti. Eppure sono una delle aziende più ricche del pianeta.
La globalizzazione, il nuovo mondo nel quale siamo comunque entrati, comporta esattamente questo: le cose si fabbricano dove conviene. A parità di qualità, vince chi riesce a fare le cose anche solo a un euro in meno.
Torniamo alle nostre due aziende. Indesit: l’industria degli elettrodomestici bianchi (che era stata un grande “miracolo” italiano) era già passata tutta di mano. La Indesit ha lottato fino alla fine, ma poi ha dovuto arrendersi: ormai i mercati di vendita sono anch’essi globali e ci vogliono soldi e strutture per essere presenti.
L’Alitalia è un vecchio carrozzone che nessuno è mai riuscito a rimettere in piedi. Da solo, senza alleanze, aveva un unico destino: la sezione fallimentare del tribunale di Roma.
Così, con i soldi degli sceicchi, può sperare di farcela.
Quello che sta accadendo, insomma, è che la storia sta spingendo l’Italia nel mondo globalizzato un po’ a calci. Non vogliamo adeguarci a quelli che sono gli standard internazionali (di lavoro, finanza, regole, ecc.) e allora le nostre aziende finiscono sull’orlo del baratro. Qualche volta arriva lo straniero che le salva, altre volte non arriva nessuno. E’ così che abbiamo fatto più di tre milioni di disoccupati.

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