Ieri ho seguito su La 7 le interviste di Alan Friedman a Massimo D'Alema - datata, ché l'ex lider maximo ancora diceva che se Renzi voleva diventare segretario del partito, doveva poi rinunciare a Palazzo Chigi, o viceversa - e poi quella all'attuale Premier.
Interessanti entrambe ma forse un po' più la prima che D'Alema è uno cha parla fuori dai denti (anche Matteo lo fa, però è pià ruffiano) e con molta lucidità politica (che nel toscano vedo più ridotta).
Riporto tre cose tra le molte dette :
1) La crisi dell'Italia coincide con la crisi dei partiti, il cui inizio D'Alema colloca alla morte di Moro, quindi dagli inizi deglli anni 80, per poi deflagrare nei primi anni 90, con tangentopoli
2) quando era presidente della Bicamerale notò una cosa curiosa. Tutti i rappresentanti della maggiori categorie del paese vennero invitati a dire la loro - magistrati, avvocati, sindacati, imprenditori e così via - e tutti a gran voce si dissero entusiasti delle riforme, che andavano assolutamente fatte. Con un inciso importante : la riforme PER gli altri. Il proprio orto poteva e doveva rimanere com'era.
3) si parla spesso della carica dei 101 che ha affossato Prodi candidato al Quirinale, e non si ricorda mai che il giorno prima metà del PD aveva smentito il voto della direzione per Marini. Dunque ?
Ecco, quando nell'intervista a Renzi si tocca questo punto, mi sarebbe piaciuto che Friedman la facesse questa domanda al Premier. Nei partiti ci si confronta, si discute e poi si vota e quello che decide la maggioranza poi in parlamento si fa. Renzi lo ripete come un mantra. Bene, come mai questa cosa non è valsa per il primo nome espresso dalla direzione del PD ? Come mai i 101 contro Prodi sono traditori e quelli che hanno votato contro Marini, tra cui i renziani, sono partigiani ?
Friedman mi pare uomo ambiguo, che nelle interviste appare succube dell'intervistato, e poi, a latere, lontano, nel commento critica e obietta. La Fallaci lo faceva DAVANTI alla persona che intervistava.
Altre schiene mi pare di capire.
Comunque, quella di Renzino la ritrovate riportata dal Corsera.
No alla dittatura della minoranza, dice, e in astratto ha ragione da vendere. Però poi ci sta anche la sostanza del lavoro del governo, e quello che finora si è visto non entusiasma. E allora è bene ricordare che l'avvertimento di MOntesquieu era un altro : attenti alla dittatura della maggioranza.
Renzi: noi andiamo fino in fondo
no alla dittatura della minoranza
Intervista al premier: avanti anche per sanare la ferita dei centouno
Il Pil? Molto difficile arrivare alla stima dello 0,8 contenuta nel Def
ROMA — Mentre a Palazzo Madama l’ostruzionismo sulla riforma del Senato fa sì che i lavori vengano sospesi e si contempli la tagliola, a poca distanza, a Palazzo Chigi, Matteo Renzi si mostra molto determinato, molto sicuro di sé.
«In Italia», sostiene il presidente del Consiglio, «c’è un gruppo di persone che dice “no!” da sempre. E noi, senza urlare, diciamo “sì!”». Poi, con la risolutezza del toscano di razza, sentenzia in modo laconico: «Piaccia o non piaccia, le riforme le faremo!».
In un lungo colloquio, il premier commenta tutti i temi caldi del momento. Sulla piaga della disoccupazione, si mostra cauto: «La nostra priorità è il lavoro. Ma le statistiche, credo, inizieranno a migliorare solo dal 2015».
Anche sulla crescita del Pil quest’anno, il realismo è d’obbligo, specialmente in un giorno in cui il Fondo monetario internazionale taglia le sue previsioni per l’Italia a un misero 0,3 per cento. Il premier, che parla prima dell’annuncio del Fmi, dichiara che sarà «molto difficile» arrivare alla stima dello 0,8% contenuta nel Def. E con onestà ammette che non è sufficiente per abbattere il livello della disoccupazione: «Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone».
Quello che conta, sostiene Renzi, è garantire agli imprenditori l’accesso ai fondi e sbloccare quei 43 miliardi di investimenti annunciati per le infrastrutture, «che non violano nessun vincolo europeo perché sono già conteggiati».
Poi, a metà intervista, promette di accelerare il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione: «Entro il 21 settembre dovremmo riuscire a pagarli tutti» dice, ma aggiunge che la somma totale sarà «molto meno» di 60 miliardi. La cifra esatta, spiega, sarà calcolata entro 10 giorni.
Dedichiamo ampio spazio nella nostra conversazione alla crisi in Ucraina e alla guerra a Gaza. Sul bombardamento della scuola Onu da parte dell’esercito israeliano, che ha causato almeno 15 morti, Renzi si mostra colpito: «Sono angosciato, sono molto preoccupato per il processo di pace in Medio Oriente».
Riguardo alla crisi in Ucraina e l’ipotesi di nuove e più dure sanzioni nei confronti della Russia, Renzi dice che l’Italia «sarà in linea con la Gran Bretagna, la Germania e la Francia». Ma avverte: «Siamo allineati alle posizioni del G7, ma attenzione a non usare toni da Guerra fredda».
Quando ci incontriamo, pochi minuti dopo mezzogiorno, Renzi è già reduce da una visita a Ciampino per accogliere Meriam, la giovane cristiana sudanese condannata a morte per apostasia, ora al sicuro in Italia. Si siede, con la sua solita camicia bianca e cravatta ma niente giacca, si fa microfonare (stiamo anche registrando questa intervista per l’ultima puntata della mia trasmissione su La7 , Ammazziamo il Gattopardo ), e sulla questione delle riforme si mostra irremovibile.
Non è preoccupato dalle insidie che potrebbero nascondersi dietro le numerose richieste di voto segreto presentate: «La maggioranza terrà ma se nel voto segreto andasse sotto su uno, due, tre, dieci emendamenti, poi si va alla Camera e per ogni voto segreto che non è andato bene al Senato, recupereremo alla Camera».
Il presidente del Consiglio è un fiume in piena.
«Loro pensano di farci innervosire, di farci diventare polemici, di farci mollare… Io non mollo, Friedman. Non mollo. Vado avanti dritto. Gli italiani hanno detto con il voto di maggio “Renzi, cambia il Paese”. E secondo lei mi basta una qualche “minaccina” o una forma di ostruzionismo? Io devo cambiare la giustizia, il Fisco, le infrastrutture, la riorganizzazione del Paese e secondo lei mi faccio impaurire da un senatore che minaccia come Scilipoti? Le sembro uno che si preoccupa della minaccia di Scilipoti?».
Ma io insisto, e chiedo se non teme che tra gli oppositori ci siano anche elementi del suo partito, fra cui i famosi 101 che nel segreto dell’urna hanno affossato la candidatura di Romano Prodi per il Quirinale nel 2013.
Renzi annuisce: «Noi andremo avanti anche per sanare quella ferita».
Il presidente del Consiglio sottolinea come il governo sia già venuto incontro a diverse richieste di modifica del testo sul Senato, ma non intende essere ostaggio di quella che definisce una «dittatura della minoranza».
«La riforma del Senato che è arrivata in votazione», dice Renzi, «non è quella che avevo pensato io. È stata cambiata, in aspetti non fondamentali ma è stata cambiata. Io preferivo avere i sindaci, ora ci sono soprattutto consiglieri regionali, per fare un esempio. Si sono fatte delle modifiche perché bisognava ascoltare tutti, ed è giusto così con le riforme costituzionali. Non è che arriva un Mandrake e dice “adesso facciamo come voglio io”. Questo non è serio. Noi abbiamo ascoltato i costituzionalisti, abbiamo visto i documenti degli esperti, abbiamo impiegato mesi su carte e scartoffie e anche su documenti seri fatti molto bene. Ora che siamo alla fine, però, non si pensi che ci sia una dittatura della minoranza, perché io sono contro la dittatura della maggioranza ma a maggior ragione siamo contro la dittatura della minoranza. C’è in Italia un gruppo di persone che dice no da sempre, e noi senza urlare, diciamo sì, stavolta sì».
Poi, con poche parole, riassume il succo del suo messaggio: «Piaccia o non piaccia, le riforme noi le faremo!».
E se l’ostruzionismo continuasse, non solo sulla riforma del Senato ma anche sul Jobs Act in autunno, sulla riforma della burocrazia e del Fisco? Renzi sposerebbe la minaccia del presidente del Pd Matteo Orfini, che ha avvertito: «o riforme o elezioni»?
«No, io ho detto una cosa diversa. Io ho detto che ci arriviamo. Capisco che molti non ne possono più, tra i miei amici, tra i miei parlamentari, sono in tanti che dicono: “Ma basta, non è giusto star qui a farsi prendere in giro!”. Però io a tutti loro voglio dire: calma, perché noi arriviamo. Noi questo risultato lo portiamo a casa. Sono trent’anni che vengono presi in giro, gli italiani, e noi stavolta andiamo fino in fondo».
Chiedo a Renzi se può confermare che il Jobs Act sarà una vera e propria riforma radicale del mercato del lavoro, e quanta polemica ci potrebbe essere in Parlamento su questa legge, visto il trambusto sul decreto legge Poletti che affrontava soltanto l’apprendistato e i contratti a tempo determinato.
«Lei ha ragione nel dire che il decreto Poletti ha creato tanta discussione, però è passato. Sessanta giorni ed è passato. È fatta», spara Renzi.
Poi sul Jobs Act: «Ci sarà molta confusione? Non lo so. Penso di sì, che ci sarà discussione, ma anche che sia arrivato il momento, perché l’Italia ha bisogno di cambiare tutta. La riforma del Senato serve per dire che allora bisogna fare diverso il lavoro, diversa la giustizia, diverso il Fisco e diversa la burocrazia».
Sulla tempistica assicura che il Jobs Act ci sarà in Aula quest’autunno e spera di approvarlo entro Natale.
Poi in questo tour d’horizon di un giovedì mattina a Palazzo Chigi, c’è la questione del debito pubblico. Qualche settimana fa il sottosegretario Graziano Delrio, in un’intervista su questo quotidiano, ha fatto riferimento a una «soluzione radicale» per ridurre il debito.
Renzi ha escluso qualsiasi consolidamento o ristrutturazione del debito pubblico ma ha voluto notare che il debito italiano è molto alto, a oltre 2 mila miliardi, e quindi un problema, ma il totale del patrimonio pubblico e privato degli italiani è quattro volte più grande. Alla fine, ha detto Renzi, «l’Italia ha più soldi che debiti, non tutti Paesi sono messi così».
Nella parte della nostra conversazione dedicata alla politica estera, Renzi sottolinea che l’Italia è perfettamente allineata sulla questione delle sanzioni con altri membri del G7. Ma avverte che bisogna evitare l’uso di «toni di Guerra fredda». Poi affronta il rapporto tra Roma e Mosca e respinge le accuse di essere troppo tenero con la Russia, notando che l’Italia sta diversificando le fonti di approvvigionamento energetico, anche in Mozambico, che ha visitato pochi giorni fa.
Cambio argomento e chiedo a Renzi di commentare il breve incontro a Bruxelles di mercoledì tra Massimo D’Alema e il neopresidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. C’è qualche significato per la candidatura di Federica Mogherini come l’Alto rappresentante per la politica estera?
Renzi qui sembra cauto, forse perché c’è un valzer delicato in corso nella diplomazia europea. Lui ci spiega che mentre è sicuro che l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue verrà dalla famiglia socialista (Pse) lui preferisce aspettare prima un invito da Juncker a proporre un nome italiano.
«L’Italia non ha ancora presentato il proprio commissario», spiega Renzi. «Ora aspettiamo che Juncker ufficializzi la richiesta. Se Juncker ufficializza la richiesta noi arriveremo a portare la candidatura il 29 o 30 agosto. La posizione italiana è molto semplice. Noi non mettiamo un nome ufficialmente sul tavolo finché non c’è la certezza che tocchi all’Italia».
Chiedo infine a Renzi un commento sull’assoluzione di Silvio Berlusconi, e se questa sia rilevante o irrilevante nel percorso delle riforme.
«È assolutamente irrilevante», risponde Renzi. «Le riforme non dipendono dai processi penali di Silvio Berlusconi. Il primo a dirlo è stato Silvio Berlusconi».
E se Berlusconi, dopo i servizi sociali, decidesse di candidarsi?
Renzi non batte ciglio. «È chiaro che se Berlusconi si candidasse contro di me farei di tutto per sconfiggerlo».
D' Alema meglio di Renzi come il padre e' meglio del figlio, tutto qui
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