Ne ho veramente piene le palle di Alitalia. Sono 20 anni (Ulisse fece in tempo a concludere la guerra di Troia e a tornare ad Itaca ! ) che ci si straccia le vesti attorno alla questione della compagnia di bandiera. Prima, il problema non si poneva unicamente perché Alitalia era una delle tante aziende parastatali dove il Ministro del Tesoro interveniva a fine anno a pareggiare il deficit - che si presentava regolarmente - ricorrendo alle casse pubbliche.
Finito negli anni '90 questo giochetto non certo perché eravamo diventati virtuosi ma unicamente perché l'Europa non ci consentiva più di aiutare in questo modo una nostra azienda alterando il mercato dei vettori continentali, ecco che la magagna farsa Alitalia è esplosa in tutto il suo "splendore". In 20 anni è stato calcolato che sono stati bruciati 20 miliardi per tenere in piedi questo baraccone. Nel frattempo, c'è da dirlo, certi scandalosi privilegi che beneficiavano tutto il personale Alitalia sono andati attenuandosi, ancorchè forse mai sparendo del tutto. Ma evidentemente non basta. Adesso, ad un passo dal fallimento, c'è questa proposta di Etihad. Certo, da quello che si legge non sono rose e fiori. Oltre 2000 dipendenti saranno licenziati - ma almeno la metà si è già trovato il modo di tutelarli in qualche modo - , e le retribuzioni avranno delle decurtazioni significative. Leggo che gli arabi abbiano detto "what's tredicesima ?", e anche su questo la Uil si sarebbe impuntata.
Allora signori, o non è vero che c'è la crisi, che in 3 anni abbiamo perso qualche milione di posti di lavoro, che al posto dei 10.000 lavoratori alitalia che verrebbero rilevati da Etihad e non vogliono perdere la tredicesima, ce ne sono 1.000.000 che vorrebbero prendere il loro posto, oppure è arrivato il momento di augurarsi che Alitalia conosca il destino che l'aspetta da lustri e finalmente FALLISCA.
Del resto i dipendenti che manifestano esibiscono cartelli con su scritto : meglio falliti che in mano a dei banditi.
Che siano accontentati !
Etihad
ora minaccia:
noi lunedì
ce ne andiamo
di SERGIO RIZZO
«Siamo in dirittura d’arrivo», diceva il ministro Maurizio Lupi lo scorso 15 luglio. Un arrivo in salita così ripida, che il Tourmalet al confronto fa ridere. Figuriamoci poi se si hanno le gambe molli. Così per l’Alitalia il traguardo sembra non arrivare mai, mentre la tensione ha ripreso a salire. Al punto da indurre l’amministratore delegato di Etihad, James Hogan, a lanciare un ultimatum: per chiudere c’è tempo fino a lunedì 28. Non oltre.
Se la minaccia di Hogan sia soltanto un tatticismo per piegare le ultime resistenze, o il rischio che gli Emirati arabi fuggano a gambe levate facendo scivolare di nuovo l’Alitalia verso il crac sia invece concreto, si vedrà presto. Di sicuro la piega che ha preso la faccenda ricorda i migliori pasticci italiani, di cui la compagnia porta segni molto evidenti.
Tanto per cambiare, il fronte sindacale è diviso. La Uil non partecipa al referendum fra i lavoratori indetto dalla Cgil e dalla Cisl. Bolla come «farsesca» la consultazione, chiede ai dipendenti della compagnia di boicottarlo e ne organizza un altro per la prossima settimana. Quindi ben oltre il tempo massimo. Gli altri ribattono: «La Uil gioca al fallimento». Non bastasse, la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso continua a spedire all’indirizzo del governo segnali minacciosi. L’ultimo ieri mattina: «Con la mobilità dei lavoratori Alitalia il governo apre un precedente pericolosissimo».
E poi gli azionisti. Le Poste, soprattutto. Ricordate com’era cominciata l’avventura postale nell’Alitalia? La compagnia era in debito d’ossigeno e il governo di Enrico Letta non trovava nessuno disposto a metterci dei quattrini. L’ex amministratore delegato delle Poste Massimo Sarmi, in lizza per la riconferma al vertice del gruppo, accettò di investire 75 milioni. Con il risultato che adesso, con il 19,5 per cento del capitale, il gestore pubblico della corrispondenza è il principale socio della nostra compagnia di bandiera davanti a Intesa San Paolo. L’investimento venne sorprendentemente definito «strategico», chissà se in relazione al fatto che le Poste controllano a loro volta un piccolo vettore aereo, la Mistral air, creata negli anni Ottanta dall’attore Bud Spencer e acquistata una decina d’anni fa, quando l’azienda pubblica era guidata dal futuro capo di Intesa Corrado Passera.
Ma a Palazzo Chigi non c’è più Letta: al suo posto è arrivato Matteo Renzi. E anche Sarmi ha dovuto lasciare le Poste: lo ha rilevato Francesco Caio. Il quale a quanto pare la vede in modo decisamente diverso. Ha detto chiaro e tondo che siccome la sua società deve quotarsi in Borsa, ogni investimento deve avere «un forte orientamento al futuro». O si rompe con la vecchia logica, magari costituendo una società nuova di zecca ripulita dalle scorie del passato recente, o non se ne fa niente. Un problemino non indifferente, insomma.
Quasi quanto quello che riguarda un altro azionista: Carlo Toto, già proprietario di Air One, la compagnia privata confluita nell’Alitalia con l’operazione «patrioti» sponsorizzata politicamente da Silvio Berlusconi. La sua quota si è ridotta ormai a un livello insignificante (0,41 per cento). Ma ci sono sempre quei maledetti contratti. Parliamo dei contratti per una novantina di aerei che Air One, attraverso una società di leasing collegata (AP Fleet) aveva portato in dote al momento dell’integrazione con l’Alitalia. Una faccenda che era considerata spinosa già sei anni fa, all’inizio dell’avventura «patriottica», tanto che già la precedente gestione non faceva mistero di volerla in qualche modo affrontare. Immaginiamo quali dimensioni possa raggiungere ora per una compagnia straniera che decida di rilevare l’Alitalia il problema di dover onorare una quantità rilevante di contratti di leasing per aeromobili che non necessariamente sono coerenti con la propria strategia. E non è l’unico scoglio. Ce n’è anche uno, anche se decisamente meno ingombrante, relativo a una vecchia questione fiscale: 30 milioni che l’Alitalia Cai ha dovuto pagare all’Erario per il fatto che i contratti passavano (come fanno del resto le compagnie europee) attraverso una società di diritto lussemburghese, senza che sia mai stato deciso come ripartirne il peso fra Air One e i restanti azionisti.
In tutto questo resta il dubbio di un contesto politico non così concentrato sulla soluzione delle difficoltà del dossier, come invece si aspetterebbe Etihad. Di fronte ai problemi sollevati dalle Poste, il ministro delle Infrastrutture Lupi ha dichiarato: «Si tratta di scelte di azionisti privati che devono trovare la sintesi».
Il rischio di prendere sottogamba l’evoluzione della vicenda Alitalia potrebbe avere implicazioni non trascurabili, come quella di risvegliarsi a settembre dovendo fronteggiare una situazione imprevedibile. La benzina (cioè le risorse per far marciare l’azienda) potrebbe esaurirsi in un paio di mesi.
Sergio Rizzo
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