Non sono un appassionato di ciclismo. Un tempo però ero ammirato dalla strenua resistenza alla fatica di questi atleti ed ascoltavo con una certa fascinazione mio padre che mi raccontava del duello mitico tra Bartali e Coppi, la rivalità tra i due e gli italiani che si dividevano, come se i due fossero Ettore ( Gino) e Achille (Fausto) . Così come rimanevo basito ed incredulo al racconto che nel 1948 la vittoria di Bartali al Tour avesse contribuito a distrarre con un momento di gioia collettiva la nazione dopo il tentato assassinio di Palmiro Togliatti.
Dei campioni meno antichi, ricordo che quando ero ragazzino avevo simpatia per Gimondi, eterno secondo dietro Eddy Merckx, che però un tour lo vinse anche lui. Poi mi era simpatico Moser, che però non aveva la gamba per le salite per vincere le grandi gare a tappe. Credo che per fargli vincere un giro d'Italia, dovettero un po' "spianargliele".
Poi ci fu Pantani, e del pirata mi piacevano le cronache di Gianni Mura, grande giornalista sportivo di Repubblica, ed autentico innamorato del pentadattilo. Grande fu la delusione quando si seppe del doping . Ecco, da allora il ciclismo smisi anche di orecchiarlo, non credendo più che esistessero campioni (ma anche gli altri) non dopati. QuandoArmstrong vinceva i tout a raffica, alimentando la leggenda anche e soprattutto per essere stato malato di cancro, rimasi sempre dubbioso, temendo che prima o poi uscisse la sorpresa.
Come poi tristemente è avvenuto.
Credo che siano questi i motivi che la prestigiosa vittoria di Nibali non mi scaldi.
Non ci credo più al ciclismo.
Però sarebbe bello che mi sbagliassi.
Nibali si prende il Tour de France
“Ora non è più un sogno, ho vinto”
Il siciliano chiude al 4° posto la cronometro. Domani passerella a Parigi
AP
Vincenzo Nibali all’arrivo della cronometro
NELLA STORIA
Nibali entra nella “Hall of fame” del ciclismo, la cinquina di corridori che hanno vinto le tre grandi corse a tappe: Giro, Tour e Vuelta. Non una cinquina qualunque, ma vere e proprie leggende: Eddy Merckx, Bernard Hinault, Jacques Anquetil, Alberto Contador, Felice Gimondi. Stili diversi, epoche diverse. «Sono contento, a parigi sarà il momento più bello della corsa, con l’Arco di Trionfo e la premiazione - confessa il corridore messinese dell’Astana -. L’emozione di arrivare a Parigi è da pelle d’oca, inspiegabile. Quando sono venuto qui per disputare il primo Tour della mia carriera sono rimasto stregato dall’atmosfera dell’ultima giornata, dal giro d’onore, dal tifo della gente... È un po’ tutto irreale, devo abituarmi lentamente. Il pensiero di aver vestito la maglia gialla dalla seconda giornata fino alla fine è stato logorante, non è stato facile per niente. Ora voglio godermi questi momenti con la mia famiglia e con i miei amici».
LA MAGLIA DI PANTANI
Un pensiero, però, lo riserva a Marco Pantani, l’ultimo trionfatore italiano nella corsa a tappe più prestigiosa del Mondo: «Quando lui vinceva ero ragazzino. Sua mamma mi ha regalato la sua maglia gialla e quando tornerò, come promesso, le porterò la mia». Una maglia che Nibali ha difeso con intelligenza, attaccando nei momenti giusti, sul pave’ e nella crono, su Alpi e Pirenei. Nulla hanno potuto gli avversari rimasti in gara (dopo i ritiri di peso di Froome e Contador). Lo spagnolo Alejandro Valverde non riuscirà a salire nemmeno sul podio, scalzato dai francesi Jean-Christophe Peraud e Thibaut Pinot entrambi più veloci nella cronometro di 54km da Bergerac a Perigueux vinta dallo specialista tedesco Tony Martin (al secondo successo personale dopo quello centrato nella 9/a frazione). «Il quarto posto nella crono è un risultato che mi soddisfa, è stata una buona prestazione. C’era un po’ di tensione perché non era una prova semplice visto che c’erano molti rettilinei, falsi piani, e poca salita - sottolinea Nibali dopo aver tagliato il traguardo -. Non vedevo l’ora di arrivare. Era una crono in cui volevo dimostrare di poter far bene, e sono contento del quarto tempo, ora il mio pensiero è per domani».
TATTICA E STRATEGIA
Oggi “Enzino” da Messina ce l’ha fatta e adesso che la storia è riscritta si prepara a riabbracciare la moglie Rachele e la piccola Emma, ai piedi dell’Arco di Trionfo, che lo aspettano per la passerella finale. Poco più di un anno fa, sul podio di Brescia, alla fine della trionfale cavalcata nel Giro d’Italia, era talmente emozionato che non riuscì a cantare l’inno di Mameli. Guardava sua madre Giovanna Romano e suo padre Turi, ma pensava a suo nonno Vincenzo, dal quale ha preso il nome. Fu lui a regalargli il primo triciclo. Chi lo avrebbe detto che sarebbe diventato una leggenda del ciclismo? Nibali ha costruito la propria vittoria giorno dopo giorno, preparandosi bene, mettendosi dietro alla moto del fido Paolo Slongo, sul Passo San Pellegrino. «Io faccio Froome e tu mi corri dietro...», gli diceva, e Nibali a pedalare in apnea, a 1.900 metri d’altezza. Come sono lontane le Eolie. Nibali è un mostro di tattica, di strategia: studia gli avversari, carpisce le loro debolezze e le trasforma in energia produttiva per la propria bici. Voleva diventare invincibile, inattaccabile, c’è riuscito, acquisendo la sicurezza degli audaci e ricalcando le orme di Felice Gimondi. Non ha il fuoco dentro di Pantani, ma la capacità di trasformare le corse impossibili - fra Alpi e Pirenei - quasi in una kermesse cicloturistica. Un campione vero, misurato, come il bergamasco Gimondi. Mai una parola fuori posto, una frase di troppo. Ha stravinto il Giro d’Italia 2013, ha dominato il Tour de France, convincendo anche i francesi. Nessuno avrà più il coraggio di dirgli che ha vinto, perché erano assenti Froome e Contador, entrambi ritirati per cadute, ma già staccati dallo “Squalo dello Stretto”.
I MOMENTI CHIAVE DEL TOUR DI NIBALI
UNA CORSA PERFETTA
Il Tour di Nibali è stato strategicamente perfetto, la sua condotta di gara intelligente, sicura, aggressiva e, allo stesso tempo, misurata. La sua vittoria rappresenta qualcosa di prezioso per un ciclismo in cerca di nuovi protagonisti. Non eroi per caso, ma uomini veri, onesti. A casa Nibali, in quel di Messina, c’è la foto di Enzino su un triciclo e suo nonno la mostra con orgoglio, vantandosi di averglielo regalato lui. La sua più grande vittoria si chiama Emma, nata alla fine di febbraio, Nibali la tiene come una pietra preziosa. È uno dei pochi svaghi di una vita serena, senza eccessi, da campione autentico, senza tatuaggi né creste. Nibali ha il volto dell’Italia che resiste e spera. A Messina, intanto, lo aspettano con la «maillot jaune». Assieme ai familiari ci saranno anche due amici speciali: uno si occuperà della produzione di granite al caffè con panna, un altro degli arancini “Nibali”. Dopo quello rosa, in occasione della vittoria al Giro d’Italia dell’anno scorso, quest’anno ne ha preparato uno rigorosamente di giallo. E non poteva essere altrimenti.
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