Il problema della litigiosità alla base della lentezza dei processi in Italia è un fatto indiscutibile.
Che questo dato sia aggravato dalla crescita esponenziale degli avvocati, passati, in circa 20 anni, da 50.000 a cinque volte tanti, è un altro fatto. Così, quando si presentano clienti assurdi, con pretese strane, oppure con una animosità che porta ogni contrasto a finire davanti ad un giudice invece di essere risolto col buon senso (che a volte significa anche lasciar perdere), c'è sempre un dotato di laurea in giurisprudenza, abilitato magari con transumanze calabresi (quando erano possibili), o con temporanee emigrazioni in Spagna, che invece di esortare a conciliare o anche tralasciare, asseconda i guerrafondai da cortile.
Basta vedere la guerra santa fatta dagli avvocati contro la mediazione. Ora, che da noi sia strumento che molto faticosamente si farà strada, è un dato di fatto, e che il concetto di tentativo di accordo venga abbinato all'obbligatorietà, anche lascia concettualmente perplessi (infatti altrove non è così).
Però i limiti obiettivi della normazione di questo istituto per molti colleghi sono stati la foglia di fico per "nobilitare" le vere ragioni dell'avversione e che era : ci toglie lavoro !!.
Per accontentarli hanno stabilito che senza avvocati comunque la mediazione non si può fare, la loro presenza è obbligatoria, e allora molti si sono calmati.
In penale non è che le cose vadano meglio, con l' avvento del panpenalismo, cioè la traduzione ai sensi del codice penale di tutti gli aspetti della vita quotidiana. Basta vedere l'enorme numero di querele, certamente non arginate da avvocati seri che tentino di far desistere l'incazzoso cliente.
Insomma, anche qui, come in tutti i guai di questa nazione, gli italiani hanno quote di responsabilità molto ampie, come cittadini, in primis, e come professionisti, quando questi sono chiamati in causa.
L'articolo di Gian Antonio Stella che segue riporta esempi non particolarmente paradossali : capita anche di peggio.
Buona Lettura
P.S.
Ovviamente tanti colleghi, specie poi di generazioni più datate, non si riconosceranno, e a ragione, nel prototipo di avvocato affamato di clienti che viene descritto. SI potrebbe insinuare che loro hanno avuto la ventura di operare in tempi meno ardui, sia perché la professione era meno difficile ( meno norme e non cervellotiche come spesso le attuali, con l'aggiunta delle leggi sovranazionali), sia perché l'Italia era più prospera e , last but not least, non c'era la concorrenza spietata odierna, e quindi hanno avuto modo e tempo di consolidare una posizione professionale che gli consente di mantenere un più alto profilo. Ma è discorso sterile , perché non c'è possibilità di controprova.
Sicuramente, quelli che si sentiranno punti sul vivo da questo post, sono coloro che inconfessatamente si rivedono nel modello descritto.
E' una legge psicologica certa : ci si offende solo per le critiche che si temono vere (l'esatto opposto della comoda vulgata popolare che sostiene il contrario...).
I ricorsi inutili che affondano la giustizia
«Vogliamo e ordiniamo che al fine di limitare le spese ai sudditi ed ai litiganti», stabilì alla fine del Trecento Eleonora d’Arborea, «circa vertenze o liti che non superano i 100 soldi sia vietato appellarsi a Noi o ad altri funzionari regi...». E se qualche cocciuto litigante voleva andare a tutti i costi in appello? «L’appello inoltrato non deve essere accettato, e la sentenza pronunciata dai nostri funzionari deve considerarsi definitiva...». Un solo processo, per le bagatelle, bastava e avanzava.
Era chiarissimo, quel codice di leggi noto come la «Carta de Logu», sulla necessità che uno Stato serio non perda tempo e soldi nelle dispute piccole piccole incoraggiando alle risse tribunalizie i cittadini più rissosi. Tanto più in un Paese come il nostro che, come avrebbe notato molto tempo dopo Montesquieu, è da sempre esposto alla tentazione di andare per vie legali: «Non c’è palazzo di giustizia in cui il chiasso dei litiganti e i loro accoliti superi quello dei tribunali di Napoli: lì si vede la Lite calzata e vestita».
Sono passati secoli, da quell’antico codice. E la giustizia italiana è ancora alle prese, nonostante l’incoraggiante ma modesta riduzione negli ultimi anni, con arretrati da spavento: quasi otto milioni di processi pendenti, per circa due terzi nel civile. Anche per colpa di una massa spropositata di cause assurde o ridicole.
C’è la signora che denuncia la vicina per un irridente sms: «Perepe qua qua qua qua perepe». L’anziana contadina trascinata in sei anni di dibattimenti (assolta) per «furto di una zappa con un dente mancante». Il suocero che querela la nuora per un piatto di agnolotti. E via così. Centinaia di migliaia di baruffe da ballatoio che rischiano di finire in Cassazione. Chiamata in questi anni a decidere per due volte se esista una «servitù di stillicidio» per le camicie sgocciolanti sul pianerottolo di sotto e per due volte sulla brucatina sul campo altrui di un’asina, che benché solitaria va per legge considerata mandria. C’è da stupirsi se la Cassazione, tirata in ballo da una quantità di ricorsi immensamente superiore a quella dei colleghi britannici o francesi, impieghi da 42 a 43 mesi per sbrigare una causa civile e non riesca a smaltire un arretrato di 98 mila appelli che si rivelano poi inammissibili nel 64% dei casi?
Quanto costa, in soldi e tempo e decoro della Giustizia che potrebbe concentrarsi sulle cose serie, una causa per i panni stesi? Quanto pesò sui bilanci il tormentone giudiziario per una mosca che partita da un letamaio punzecchiò malvagia un’anziana signora trevigiana? Per la prima volta, par di capire, stanno facendo i conti.
Ne parleranno giovedì il ministro Andrea Orlando e i vertici della Cassazione. Auguri, perché il tema scotta.
Guai a sfiorarlo: giù le mani dalla Costituzione! Non dice forse all’articolo 111 che «contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale (...) è sempre ammesso ricorso in Cassazione»? E ti domandi: quanto peserà, nell’arroccamento su questo tabù, la presenza in Italia di 56 mila avvocati cassazionisti che nella sola provincia di Rieti, come rivelò due anni fa il presidente della Suprema corte, sono 125 contro i 103 dell’intera Francia? E noi qui, a rileggere con un sospiro la «Carta de Logu»...
PAOLO CATTANEO
RispondiEliminaBell'articolo speriamo che finalmente la giustizia cambi in meglio.........
CATALDO INTRIERI
RispondiEliminaStefano Turchetti sulla condizione attuale degli avvocati : situazione tragica ma non seria