Continua il suo canto fuori dal coro Piero Ostellino, che ormai ogni sabato lo dedica ad una reprimenda contro Renzi.
Neanche contro Monti si era scatenato così tanto. Alcuni dicono che è l'età, che come Scalfari questi patriarchi del giornalismo diventano intolleranti e catastrofisti.
Può darsi, ma al di là dei toni che in effetti anche a me a volte paiono esasperati, molta sostanza corrisponde a verità, almeno per quanto si vede finora. Sicuramente è presto, ché 5 mesi sono pochi per giudicare un governo, ma anche 10 lo erano, e bastarono a Renzino per accoltellare alle spalle Letta, con l'aiuto di traditori che ora occupano poltrone ministeriali (leggi Alfano e soprattutto Franceschini, un vero Giuda).
Buona Lettura
Gli annunci continui
e i rischi per il Paese
di Piero Ostellino
Chi abbia avuto la pazienza, io l’ho avuta, di ascoltare il discorso che Matteo Renzi ha pronunciato davanti all’assemblea del Pd non ha, probabilmente, capito dove il capo del governo volesse andare a parare. Il Paese — subissato di tasse e soffocato da una Pubblica amministrazione invasiva e oppressiva — è alla deriva. Molti giovani imprenditori, che avevano intrapreso una qualche iniziativa produttiva, chiudono bottega perché — sono parole di mia figlia che, a latere della professione di architetto dalla quale non guadagnerebbe di che vivere perché nessuno più si rivolge a un qualsiasi professionista per mancanza di soldi, svolge un’attività di catering per avvenimenti sociali — «non conviene lavorare per pagare tasse personali che, sommate a quelle già pagate dalla società, si portano via ogni parvenza di guadagno»; gli stranieri non vengono ad investire in Italia per le stesse ragioni; gli investimenti e il Pil sono in calo; non c’è sintomo di credibile ripresa. Ma il capo del governo parla, parla, parla, spacciando per una Riforma l’inutile e dannosa eliminazione del Senato, cioè un pezzo di democrazia rappresentativa, e la sua sostituzione con una pasticciata Camera di rappresentanti delle autonomie locali. Una Riforma che perpetua un errore, già commesso dalla sinistra con la modifica del Titolo Quinto; esautora il Parlamento e giova solo ai partiti, fornendo loro una nuova sede per illecite e rovinose scorribande nel mercato.
Renzi si rivela ogni giorno un leader spregiudicato, cinico e privo di cultura politica. Ha scalato il Pd presentandosi come «rottamatore» della vecchia e logora dirigenza postcomunista; è arrivato alla presidenza del Consiglio, arrampicandosi sul Quirinale. Con lui al governo, è cambiato qualcosa affinché nulla cambi. La vecchia cultura politica statalista e dirigista del Pci, condannata altrove dalle «dure repliche della storia» e tradottasi, da noi, con Renzi, in una sorta di neoberlusconismo ad uso dei moderati delusi dal Cavaliere, è la politica di governo dell’Italia che dovrebbe competere sul mercato internazionale con l’Occidente democratico e liberale. Siamo, però, dopo che il comunismo si è dissolto in Urss e nell’Est Europa, il solo Paese di «socialismo reale» dell’Occidente democratico.
Della riduzione delle tasse — che dovrebbe precedere la riduzione della spesa pubblica e quella di uno Stato sovradimensionato, spendaccione e costoso — Renzi parla solo come «annuncio» sul che fare. I suoi discorsi sono gli stessi dei politici della Prima Repubblica, una elencazione di problemi, come se la loro soluzione non dipendesse da lui. Siamo in attesa di una possibile involuzione autoritaria del governo, già adombrata nella legge sull’abolizione del Senato, e del sistema politico. Con una copia, fortunatamente minore, del tragico «Uomo della Provvidenza», cui una folla esultante dà il suo consenso, non avendo ancora capito di cha pasta sia fatto. Che Dio ce la mandi buona.
Il compito di Renzi non e' governare, non siamo passati neanche dalle urne, ma,col pericolo dei Tartari, leggi Grillo,e' quello di certificare che il ventennio appena trascorso e' stato garante di benessere e democrazia. Quello che stupisce e' la scelta improvvida di un generale cosi' inetto, mentre l' avanzata dei Tartari e' reale ed e' la globalizzazione di un mercato sempre piu' competitivo che non tollera piu' privilegi acquisiti, non di casta, ma di una gran parte di elettorato che si e' tutta identificata nel PD garante di tuuti quelli che traggono vantaggio dal sistema, per primi dipendenti pubblici a vario titolo e pensionati risparmiati dalla riforma Fornero.
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