venerdì 5 settembre 2014

DRAGHI HA FATTO IL SUO. ADESSO VEDIAMO GLI ALTRI (CHI VUOLE INTENDERE, INTENDA)


Per Danilo Taino i governanti di paesi come Italia e Francia si devono mettere il cuore in pace e da adesso pensare a come fare la parte propria, ché la BCE di Mario Draghi ha fatto tutto quello che poteva per aiutare monetariamente la barca europea, con un costo del denaro che così' basso non si era mai visto - nè si vedrà più - e con altre misure di sostegno importante alle banche ma finalizzate a far sì che le stesse abbiano poi risorse da destinare al finanziamento di famiglie e imprese. 
Tutto questo, affrontando l'ostilità esplicita del principale azionista della BCE, cioè la Bundesbank tedesca e i suoi alleati austriaci ed olandesi. 
Da quanto si legge nelle cronache, i tedeschi non contestano gli interventi in sé ma la tempistica. Concedere ora il massimo concedibile quando ancora i paesi in difficoltà, Roma e Parigi in testa, non si decidono a fare le riforme e i sacrifici necessari per risanare i loro conti e raddrizzare le loro economie, significa togliere ogni strumento di pressione da parte degli organi istituzionali europei per cotringere i riottosi a fare ciò che devono
Draghi avrebbe risposto che l'Eurozona è messa troppo male e la Banca era tenuta a fare la sua parte e a farla ORA, anche per non far perdere credibilità all'Eurotower, che nei mesi scorsi delle aspettative le aveva suscitate (nei  mercati, nelle banche e nei governi, se non anche nelle imprese).
Ho detto altre volte che reputo Mario Draghi uno di pochissimi uomini di vero spessore in Europa e l'UNICO italiano. 
Se un giorno si mettesse alla guida della destra liberale sarei felice, ma allo stesso tempo confido che resti dov'è, convinto che in Italia impaluderemmo anche lui, mentre lì quello che di buono può fare lo fa. 




Ma più di così sarà difficile
di DANILO TAINO 
 
 
 
Ieri sera, un importante banchiere svizzero diceva che Matteo Renzi è un ragazzo fortunato. Le misure di politica monetaria annunciate da Mario Draghi, in effetti, sono il massimo che ci si potesse aspettare: anzi, vanno al di là delle aspettative della gran parte degli economisti. Attraverso misure convenzionali e non convenzionali — cioè ordinarie e straordinarie — e anche dividendosi al proprio interno, la Banca centrale europea ha ridotto al minimo possibile i tassi d’interesse; si prepara a comprare debiti degli operatori economici (raccolti in pacchetti) per liberarne i bilanci e spingerli a chiedere credito; fornirà denaro alle banche a costi che più bassi non potranno mai essere in modo che li prestino a imprese e famiglie. È lo stimolo monetario più poderoso che i Paesi dell’Eurozona abbiano mai avuto: quel Quantitative Easing (allentamento monetario) teso a spingere la crescita, a creare inflazione e a indebolire il cambio dell’euro.
Renzi è un ragazzo fortunato nel senso che nessun presidente del Consiglio ha mai avuto un aiuto del genere dalla Bce.  

Questo però significa che non potrà chiedere più nulla a Draghi: il governatore è arrivato al limite estremo (salvo un difficile, eventuale programma di acquisto di titoli di Stato) a cui poteva arrivare. D’ora in poi, tutto è nelle mani dei governi. E, anche da questo punto di vista, Draghi è stato esplicito nel chiarire il suo pensiero su cosa occorre fare, pensiero in una certa misura distorto dalle letture che del suo discorso al seminario dei banchieri di Jackson Hole (Wyoming), a fine agosto, avevano dato alcuni media (ad esempio il Financial Times ) e alcuni leader europei (ad esempio il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble).
Il governatore ieri ha chiarito ancora una volta che dei tre strumenti per rafforzare la crescita — politica monetaria, politica di bilancio, riforme strutturali finalizzate a liberare l’offerta — «il primo e prioritario» è quello delle riforme strutturali. Senza un’economia efficiente, ogni stimolo finisce nella sabbia. In più, ha precisato di non avere mai messo in discussione il Patto di stabilità europeo, che anzi ritiene «l’àncora per la fiducia» economica. Le flessibilità di cui ha parlato — ha detto — sono interne al Patto, non ne devono «danneggiare l’essenza» e, affermazione non secondaria, ha spiegato che nella politica di bilancio il taglio delle tasse stimola (sempre mantenendo i conti in ordine) l’economia più di quanto non faccia l’aumento della spesa pubblica. «Il punto chiave — ha ribadito — sono le riforme strutturali», che devono essere «ambiziose, importanti e forti». Inoltre, ha voluto fare un’aggiunta che va inevitabilmente letta come indirizzata all’Italia: dal momento che le basse aspettative sul futuro e sulle prospettive dell’economia limitano le possibilità di ripresa, sarebbe bene recuperare la fiducia con «prima una discussione molto seria sulle riforme strutturali e dopo sulla flessibilità».
Draghi e la Bce hanno dunque preso tutte le decisioni di politica monetaria possibili. Ora, le scelte cadono sui governi nazionali. In Italia, significa che Renzi e il governo devono realizzare riforme economiche vere e serie; almeno una, ad esempio quella del mercato del lavoro, in fretta, prima del vertice europeo sulla crescita del 7 ottobre. Non può essere come nella canzone di Jovanotti, dove al «ragazzo fortunato» di dieci cose fatte (o dette) ne è «riuscita mezza».

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