I giudici fanno troppe ferie e lavorano poco. Sicuramente per molti di loro è vero, ché qui è come per i professori che lavorano a casa oltre le 18 ore di lezione settimanale a scuola....(poi ci sono i compiti, i consigli di classe, il ricevimento dei genitori..., mentre i giudici scrivono le sentenze e le ordinanze a casa...da compiangerli no ? ).
Però è anche vero che l'impegno dei politici in Parlamento è risibile, con i giorni di vera attività a Roma che vanno dal martedì al giovedì sera, poi inizia il lungo we...
E così l'ennesima fumata nera sulla nomina dei membri della Consulta e del CSM in quota Parlamento non vedrà una nuova votazione prima di martedì...
Il Colle s'indigna, e si può capire, ma lo fa in modo sbagliato, e Davide Giacalone, nel suo articolo odierno, spiega bene perché.
Del resto, il Presidente della Repubblica ha 90 anni, età dove o sei Giobbe oppure la pazienza non ce l'hai più, non ha più bisogno di essere diplomatico e flessibile nelle sue convinzioni.
E così, da tempo, al Quirinale abbiamo una sorta di monarca costituzionale, che però la Costituzione la stiracchia a volte un po' troppo. Tra le cose che mi hanno sempre colpito di Napolitano, ma non solo in lui, è la palese disaffezione per lo strumento elettorale, vissuto come uno strumento inutile quando non dannoso.
Evidentemente, nel loro intimo i nostri ultimi presidenti sono tra coloro convinti che gli italiani non sanno votare, e che è bene lo facciano meno possibile. Potrebbero anche avere ragione, ma il fulcro delle democrazie è questo e allora ?
Scriveva bene oggi Baccini sul Corriere di come le elezioni del 2013, nonostante il Porcellum e l'incostituzionale premio alla lista più votata , non abbiano stabilito una maggioranza certa e coesa, che doveva essere formarsi al Premier candidato, Bersani. Sappiamo com'è andata. A quel punto però Napolitano pretese, per accettare la sua ricandidatura, visto che quel Parlamento nemmeno un successore al Colle riusciva ad eleggere, che si formasse un governo di larghe intese e che questo facesse le riforme. Ottenuto tale impegno, nominò Letta, e così abbiamo avuto il secondo premier scelto dal Colle e non dagli elettori, com'era invece accaduto per lo più negli ultimi 20 anni (eccezione fu D'Alema). Dopo 9 mesi, in cui peraltro c'era stato lo scossone dell'uscita dalla maggioranza di Berlusconi e la stampella garantita a Letta da Alfano, arriva Renzino che, novello Jago, congiura e defenestra il compagno di partito Enrico e ne prende il posto, con la benedizione del Quirinale e sempre senza voto.
Il risultato non è dei migliori, perché la maggioranza piddina del Premier non è la più omogenea possibile, in quanto eletta sotto l'egida del precedente segretario e non immaginava di dover votare cose come la riforma del lavoro in senso anti CGIL, per fare un esempio caldo di questi giorni. E quindi le famose riforme, quelle che ormai sono invocate anche nei discorsi al bar e nei taxi, sono difficili da fare perché non c'è una maggioranza convinta ed omogenea su COME farle. Renzi sconta il peccato originale, quello di non essere stato eletto, e non sono le europee, altra competizione, altre regole, altra posta in palio, a poterlo redimere.
Per questo le elezioni anticipate sarebbero giuste. Ma il Colle ha già fatto sapere che, vivo il padrone di casa, non si faranno.
Ecco, c'è da dire che a quell'età...
Ma non sono pensieri da fare. Sempre lunga vita al Re !
Disfacimento a Corte
Altra cilecca. La Corte costituzionale dovrebbe essere guardiana della costituzionalità delle leggi. A guardarla, invece, si ha la misura del disfacimento costituzionale. Sarebbe potuta e dovuta andare diversamente, se solo la classe dirigente nel suo insieme, non solo la politica, non fosse divenuta l’incarnazione dell’Italia furbacchiona e demente, galleggiante e affondante.
Ieri le Camere riunite in seduta congiunta, non riuscendo a eleggere i due giudici costituzionali mancanti, hanno votato sotto la pressione di un comunicato quirinalizio. No, non era un “monito”. Questa volta ci sarebbe potuto stare, perché una delle cause che può indurre, e anche costringere, il presidente della Repubblica a sciogliere il Parlamento e convocare le elezioni anticipate, consiste proprio nell’incapacità di adempiere agli obblighi costituzionali, inibendo o menomando il lavoro di altri organi dello Stato. Avesse monitato, Napolitano ne avrebbe avuto ragione. Ma ha fatto una cosa diversa: ha mosso il Colle e con quello ha sfondato il Monte (Citorio). E’ partito in tema, considerando gravi i ritardi nell’elezione di due giudici costituzionali. Poi ne è uscito, parlando di “immotivate preclusioni”, il che non solo sponsorizza eccessivamente due candidati che non dovrebbero riguardarlo (e che un giorno potrebbero giudicarlo), ma introduce la distinzione fra preclusioni immotivate e motivate. Chi decide quali sono le une e quali le altre? Non poteva farlo il re, quando risiedeva in quello stesso palazzo. Forse poteva farlo il papa, altro inquilino, che anche per quello fu sfrattato.
Non basta. Perché Napolitano ha anche sostenuto che sarà maggioritario il sistema elettorale che questo Parlamento è chiamato ad approvare. E chi lo ha detto? Non è maggioritario quello frutto di una sentenza costituzionale. Non lo era quello abrogato (che prevedeva un premio di maggioranza, cosa assai diversa). In ogni caso non tocca al Colle dirlo. Tifo per un maggioritario, ma dispongo di rudimenti costituzionali a sufficienza per sapere che i sistemi elettorali devono essere coerenti con gli assetti istituzionali, altrimenti non funzionano. Nel nostro non è previsto che il Quirinale legiferi, né indirizzi il legislatore. Non basta ancora, perché Napolitano è entrato nel vivo del dibattito sulla riforma costituzionale che modifica il bicameralismo, avvertendo che alzare i quorum per le nomine è un errore, se poi non si sanno fare gli accordi. Presenterà un emendamento? Quelle parole saranno usate nel corso della discussione, per indebolire chi vorrebbe rafforzare le garanzie costituzionali. Possiamo, nel frattempo, buttare il testo della Costituzione (non) vigente.
I candidati alla Corte, del resto, sono essi stessi, con tutto il rispetto per le persone, dimostrazione di un decadimento. Tutte le nomine fatte dal Parlamento sono, per loro natura, politiche. Ma qui si nominano due politici. L’incarico di giudice costituzionale porta con sé la rappresentanza di una scuola di pensiero, ma qui si delegano i rappresentanti delle scuole di partito. Non è affatto la stessa cosa e non sono i primi.
Luciano Violante, uomo di grande e raffinata preparazione, è raffigurato, dagli antipatizzanti, come l’ex capo del partito delle toghe. Dissento. Egli ha incarnato la supremazia del partito sulle toghe. Tanto che lasciò la seconda per guidare il primo. Non fu mai giustizialista o garantista, fu ed è teorizzatore e praticante della convenienza politica. Poco rileva se ciò porta all’incoerenza scolastica, perché si regge sulla più nitida coerenza pratica: la supremazia del partito. Succo di leninismo. Portarlo alla Corte significa portarci non la politicizzazione, ma la subordinazione del resto alla politica. Il centro destra, dal canto suo, cambiava i candidati senza potere cambiare impostazione politica, perché non c’era.
La stazione di destinazione, il palazzo della Consulta, del resto, è già il tempio del diroccamento costituzionale. Abitata da soggetti incapaci di quel minimo d’orrore verso se stessi, di quel minimo di pudore che impedisca e tronchi lo scempio costituzionale consistente nell’eleggere presidenti barzelletta, Fregoli della boria, praticanti della sveltina costituzionale, tutti complici del solare stupro della Costituzione. Tale putrefazione dura da tanti, troppi anni. E per tanti, troppi, siamo anche stati gli unici a dirlo. Il che segna un fallimento che non si limita a pochi palazzi, ma coinvolge le cattedre e le redazioni.
Per metterci una pezza s’è convocato il Nazareno. Inteso come patto. Avverso il quale non si mossero solo avversari politici, ma anche nominati tremuli e incapaci di farsi valere nella sede propria. Questo è il dramma: oppositori che non valgono nulla e patto che non produce nulla di quel che serve. Con il tempo che corre inutilmente e l’economia che arranca disperatamente.
Nessun commento:
Posta un commento