Fondamentalmente sono un conservatore, e i cambiamenti mi turbano un po'. Razionalmente però sono consapevole che cambiare è ad un certo punto necessario, e l'evoluzione è parte indispensabile del percorso umano.
Si tratta di vedere che impronta dare al cambiamento. Nel caso della Scozia, gli indipendentisti, che hanno perso alla fine in maniera abbastanza netta, con 10 punti di scarto (55 a 45 circa), e con un'affluenza molto alta (85%), otterranno comunque il risultato di una maggiore autonomia, promessa a più riprese da tutte le forze politiche presenti nel Parlamento britannico, nonché dall'attuale Premier. Non è il tutto a cui miravano, ma potrà essere molto.
Piacerebbe molto ai nostri "padani", i lombardo-veneti (mi sembra che il Nord Ovest non faccia più parte della partita), ottenere una vera e vasta autonomia dallo Stato centrale, con il potere fiscale nelle loro mani e destinazione solo di una modesta parte delle entrate erariali alle residue competenze del governo nazionale, tra cui il sostegno alle regioni più deboli. Io la trovo una cosa giusta, ma mi sembra che ci si stia allontanando da una ipotesi seriamente federale (che certamente non era quella pasticciata messa su in questi lustri).
Tornando alla Scozia, quello a cui abbiamo assistito mi sembra un bell'esempio di democrazia, il cui esito non era per nulla scontato, che i soliti sondaggi descrivevano un sostanziale testa a testa.
La partecipazione massiccia, la passione - senza però incidenti o violenze - della gente dimostra ai nostri intellettuali del piffero che l'astensione NON è un segno di maturità democratica, ma di stanchezza e delusione. Se le persone pensano che il loro voto potrà veramente contare, incidere, non ci pensano proprio ad astenersi.
Che poi faccia comodo, che votando in pochi ci si accorge che si vince, è un altro discorso. Ma è un po' nauseante vedere ogni volta il tentativo di cambiare il nero in bianco, addirittura nobilitando un fenomeno negativo.
Referendum, la Scozia dice no all’indipendenza
Gli unionisti al 55.3% contro il 44.7%. Cameron tira un sospiro di sollievo. Affluenza record
REUTERS
Alcuni sostenitori del fronte del “no” festeggiano
edimburgo
La Scozia ha detto no all’indipendenza, e lo ha fatto in maniera decisa, al termine di uno storico referendum che ha spaccato la nazione e tenuto la Gran Bretagna e l’Europa con il fiato sospeso: 55.3% agli unionisti contro il 44.7% degli indipendentisti.
Il risultato, certificato dalla commissione elettorale nella capitale Edimburgo, ha infranto il sogno di Alex Salmond, leader indipendentista che ha trascinato la Scozia alle soglie di una decisione storica. “Accetto il verdetto del popolo e invito tutti gli scozzesi a fare altrettanto”, ha detto. David Cameron ha tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo: Il Regno Unito resta tale, l’unione tra Scozia e Inghilterra sancita tre secoli fa continua. “La questione è risolta per una generazione,” ha detto il Primo Ministro britannico in una dichiarazione a Downing Street. “Non ci sono discussioni, non ci sono ripetizioni”, ha aggiunto Cameron, che ha comunque salutato l’esercizio democratico degli scozzesi e ribadito la promessa di maggiori poteri non solo alla Scozia ma alle altre nazioni che compongono il Regno Unito: Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord.
A scrutinio concluso il no ha preso oltre due milioni di voti contro un milione e seicentomila preferenze per il sì. Il voto ha anche fatto registrare record di affluenza per la Scozia: circa l’85% dei 4.2 milioni che si erano registrati per votare si sono recati alle urne. Mentre gli indipendentisti piangono per aver fallito un’occasione storica, gli unionisti riuniti nella sede di Glasgow esultano. Il leader del no Alistair Darling ha parlato di “notte straordinaria” e ha invitato gli scozzesi all’unità dopo una campagna elettorale che ha infuocato gli animi.
Il drammatico spoglio, durato tutta la notte, è stato seguito con un misto di apprensione e speranza da tutto il Paese, con centinaia di scozzesi riuniti nei pub rimasti aperti per l’occasione.
I primi dati sono arrivati dalle più piccole e remote contee della Scozia, e il trend è apparso subito favorevole agli indipendentisti. La prima vittoria per il sì è arrivata dopo sette aree scrutinate nel collegio di Dundee, roccaforte indipendentista nota come ’Yes City’, dove il sì ha registrato il 57,35% contro il 42,65% del no. Anche Glasgow vota per l’indipendenza, 53.5% contro 46.5%. Ma non basta. In mattinata arriva anche il dato di Edimburgo, che vota convintamente per gli unionisti, 61% al no contro il 39% del no.
Gli indipendentisti, che promettevano un Paese sovrano, prospero e ancorato alla sterlina e alla casa reale, avevano compiuto una clamorosa rimonta e sembravano ad un passo dal successo. La loro è stata una campagna più aggressiva e intraprendente, ma alla fine ha prevalso la “maggioranza silenziosa” preoccupata per i rischi economici e l’incertezza politica che l’indipendenza avrebbe potuto comportare.
In Europa tutti i Paesi in cui esistono rivendicazioni separatiste avevano gli occhi puntati sulla Scozia. Più di tutti la Spagna, dove la Catalogna ha già convocato, nonostante l’ostilità di Madrid e l’irrilevanza giuridica, un suo referendum indipendentista per il 9 novembre. Faceva il tifo per il sì anche la Lega in Italia, con il segretario Matteo Salvini arrivato in Scozia.
Il quesito sulla scheda chiedeva semplicemente: “Dovrebbe la Scozia essere un Paese indipendente?” Ma il voto ha costretto gli elettori a confrontarsi con la fondamentale questione della loro identità e senso di appartenenza: Sono più le cose che ci dividono dalla Gran Bretagna o quelle che ci uniscono? Una studentessa di 18 anni al suo primo voto, Shonagh Munro, racconta: “Mia madre è inglese, mio padre scozzese, sono nata a Glasgow, studio a Edimburgo. Mi definisco scozzese ma sono orgogliosa di far parte del Regno Unito e non ci rinuncerei per nulla al mondo”.
Giovedì le urne sono state aperte della 7 alle 22 ora locale, quindici ore per decidere se separarsi per sempre dalla Gran Bretagna o mantenere intatto un legame che dura dal 1707. A Edimburgo e in molte altre città le file erano cominciate ancor prima dell’apertura dei seggi, mentre volontari distribuivano bandierine e spillette agli angoli delle strade cercando di convincere gli indecisi.
Per alcuni votare per l’indipendenza è stato il sogno di una vita, adesso spezzato. “Sono nazionalista da quando ho 13 anni,” aveva detto Tommy Moore, 59 anni, spilletta “YES” appuntata sulla maglietta. “Gli unionisti dicono di amare la Scozia ma sono dei traditori”.
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