Costretto dagli eventi, Obama inizia a dire cose giuste. Se poi farà seguire i fatti alle parole, è da vedere, che la figuraccia della "red line" in Siria, con la reazione promessa - e non attuata - nel caso di uso da parte di Assad di armi chimiche nella guerra civile, nessuno se l'è scordata. Mi riferisco alla rassicurazione data ai paesi Baltici, i piccoli Estonia, Lettonia e Lituania, preoccupati dal brontolio crescente dell'Orso russo. "La Nato non verrà meno al patto di difesa, per cui, se sarete aggrediti, interverremo". E per dare un minimo di concretezza a quanto detto, pare che in quelle regioni stiano arrivando rinforzi.
Putin non è affatto contento e annuncia adeguate reazioni, ma, come ricorda Obama, non è che finora le sue azioni siano state improntate a mantenere la pace in quella regione del nord est del continente europeo.
"Non si disegnano i confini con la pistola" è un'altra frase da comandante in capo, mentre la ribadita fiducia nelle sanzioni economiche che nel lungo termine costringeranno Mosca a ragionare e ad abbandonare le rivendicazioni nazionalistiche che la stanno animando, mi pare eccessiva. In un conflitto a colpi di punizioni reciproche in campo economico, in genere hanno più fiato le autarchie (e la Russia di Putin sostanzialmente lo è) che non le democrazie.
Certo, nessuno vuole una guerra con Putin, e sicuramente in Ucraina è necessario che le colombe , come il presidente Peroshenko, prevalgano sui falchi, tipo il premier in carica. Però con questa storia dei russofoni il Cremlino ci ha già marciato in vari altri paesi, mangiandosi pezzi della Georgia, inventandosi finti stati (che altro non sono che regioni soggette a Mosca), confermando quel progetto di un ritorno alla grande Russia zarista, più ancora che all'URSS, che sembra il vero sogno del presidente russo. E quando l'indipendenza è invocato da qualcuno degli stati facenti parte della federazione russa, come la Cecenia, questa viene repressa nel sangue. C'è chi sostiene che il 70% dei ceceni sia favorevole a restare nella federazione, e che solo il 30% voleva l'indipendenza. Bé, se anche questi numeri fossero corretti ( ed è da verificare), mi sembra che il 30% di russofoni sia più che sufficiente a Putin per "soccorrere i fratelli che chiedono aiuto". Sono i soliti strabismi della politica, dove in realtà conta solo la forza e non la ragione (sempre peraltro difficile da rintracciare).
Obama: linea dura contro Mosca
ma pronti a una soluzione politica
Il presidente in Estonia rassicura i Paesi baltici:
rinforzi in arrivo
Come aveva fatto in Polonia a giugno, il presidente americano promette un maggior impegno militare e incontra in un hangar soldati estoni e militari americani attualmente di stanza sul Baltico. Truppe non appoggiate a una base stabile della Nato, ma inviate in una serie di missioni temporanee. Obama ha comunque aggiunto che presto arriveranno più caccia dell’Air Force in missione di addestramento, forze che verranno schierate nella base estone di Amari, mentre è trapelato che il contingente Usa ora di stanza sulle rive del Baltico (una parte della 173esima brigata aviotrasportata che tornerà a Vicenza) verrà sostituito da una brigata della prima divisione di Cavalleria proveniente da Fort Hood, in Texas: un reparto dotato di armamenti molto più pesanti, a partire dai giganteschi carri armati Abrams. Obama è venuto qui per diradare i timori di queste piccole repubbliche alleate dell’Occidente: Paesi dinamici, vitali, ma anche fragili che fanno parte integrante del dispositivo Nato da dieci anni e che ora sono spaventati dal risveglio dell’orso russo. Ma se l’esigenza immediata è quella di convincere Putin che qualunque intervento in un Paese dell’Alleanza provocherebbe una reazione militare, la preoccupazione di Obama è quella di arginare il conflitto in Ucraina e di scuotere alcuni partner che negli ultimi anni hanno un po’ abbassato la guardia. E così ieri, davanti alle prime ipotesi di un cessate il fuoco menzionate dal presidente ucraino Poroshenko, il leader americano è tornato a proporre una soluzione politica del conflitto.
Quanto alla tenuta dell’Alleanza Atlantica, Obama ha sfruttato proprio l’aggressione russa per spronare i partner a prendere impegni per l’ammodernamento del dispositivo bellico dell’organizzazione. E ad assumersi anche i relativi oneri. Da tempo Washington va dicendo che non è più disposta ad accollarsi il 70% delle spese per la difesa dell’Europa. E ieri il presidente americano, nell’elogiare l’Estonia perché ha rispettato l’impegno a destinare almeno il 2% del reddito nazionale alla difesa, ha spronato gli altri alleati a fare altrettanto. Su questo punto, comunque, sembra che gli Usa abbiano trovato una soluzione di compromesso coi partner: al vertice Nato che inizia oggi a Cardiff, in Galles, gli Alleati rinnoveranno l’impegno ad aumentare le spese militari per fronteggiare le nuove minacce, fino al 2% del Pil. Ma l’aumento sarà graduale, si materializzerà nell’arco di dieci anni. E potrà rallentare nei Paesi che dovessero ricadere nella recessione economica.
Quanto alla crisi ucraina, che sarà al centro dei lavori del summit di Cardiff, Obama ha auspicato di nuovo una soluzione politica del conflitto, pur mostrando un comprensibile scetticismo sulle reali intenzioni di Putin e giudicando le sue scelte perdenti nel lungo periodo: «Lascio ad altri le indagini sulla psicologia del presidente russo. Quello che io vedo in termini di azioni è un’aggressione basata su sentimenti nazionalisti che storicamente hanno procurato all’Europa guai enormi. Si parla di ritorno all’era degli zar, di terre perse nel XIX secolo: questo non dà grandezza alla Russia. Al contrario, il nazionalismo è l’ultimo rifugio di chi non riesce a migliorare la situazione del suo Paese». «I confini — ha aggiunto — non si tracciano con una pistola alla testa».
Putin mantiene l’iniziativa ed è sempre molto aggressivo, ma Obama contesta le tesi di chi si è convinto che le sanzioni economiche contro Mosca non funzionano: «La Russia è in recessione, il Paese è scosso da una grande fuga di capitali mentre gli investimenti stranieri sono crollati. Anche la produzione di energia, vero motore di questo Paese, è destinata a calare. Nel lungo periodo — scandisce Obama — Putin pagherà un prezzo molto elevato». Per ora, però, gli Alleati sono costretti a inseguirlo per cercare di contenerne l’aggressività: un processo che inevitabilmente comporta un certo margine di ambiguità perché da un lato bisogna mostrarsi inflessibili con l’aggressore, dall’altro per arrivare a una soluzione diplomatica del conflitto è necessario fare qualche concessione.
Una contraddizione venuta fuori al recente incontro di esperti americani e russi svoltosi sull’isola finlandese di Boisto. La proposta che è venuta fuori (un cessate il fuoco garantito dai peacekeeper dell’Onu accompagnato dal ritiro delle truppe russe, da una parziale amnistia e dall’impegno dell’Ucraina a rimanere un Paese non allineato) è stata giudicata negativamente da personaggi come Strobe Talbott (capo della Brookings e inviato della Casa Bianca in Russia quando il presidente era Bill Clinton) e l’ex ambasciatore di Obama a Mosca, Michael McFaul: per tutti e due un premio inaccettabile all’aggressore Putin. Ma probabilmente lo stesso presidente Usa è disposto a concedere qualcosa, anche se a parole non solo condanna con durezza gli attacchi nell’Ucraina orientale, ma ribadisce anche che non accetterà mai l’annessione della Crimea.
Massimo Gaggi
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