giovedì 4 settembre 2014

RIFORMA DELLA SCUOLA : IL MERITO SOLO NELLE PAROLE. I FATTI SONO L'ENNESIMO REGALO AL SINDACATO E AL PROPRIO ELETTORATO

 
La mia idea sulla riforma ipotizzata - qui sono sempre tutte ipotesi, "Linee guida", che la sostanza resta tutta da verificare - della scuola l'ho già scritta (http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/09/inredibile-assunzioni-per-150000.html ) : altro colpo propagandistico di Renzino che immaginerà pure un "partito della nazione", ma intanto si sta coccolando le clientele storiche di quello che dirige. Per carità, è normale che sia così, semmai il problema dovrebbero porselo i liberali che lo hanno votato, pensano di votarlo o di votare l'NCD di Alfano, che addirittura immagina alleanze anche per le prossime lezioni regionali...
Dietro al FATTO vero, e cioè l'ennesima stabilizzazione dei precari (sono decenni che l'università sforna aspiranti professori nonostante fosse conosciuta anche dai sassi la situazione di una eccedenza di insegnanti rispetto alle cattedre e alle esigenze, e che sperperare risorse in stipendi inutili le toglie per cose importanti come la famosa digitalizzazione, formazione VERA, aggiornamenti seri ), ci si riempie la bocca con parole come "merito" , sacrosante, e per questo avversate da sempre dai sindacati e dalla maggioranza degli stessi prof che poco amano essere giudicati. 
Un osservatore che della meritocrazia ha fatto una sorta di fede, Roger Abravanel, incentra le sue osservazioni critiche, indicando anche proposte alternative (così i renziani non diranno che è "facile criticare", come se fosse esercizio dal quale si fossero astenuti quando a governare erano altri...). proprio in ordine al celebrato, a parole, MERITO.
Leggetelo 




Riforma della scuola con pochi meriti 
Non conviene davvero al Paese
di ROGER ABRAVANEL
 


Il numero abnorme e crescente dei precari pende come una spada di Damocle sulla speranza di concorsi futuri perché la «stabilizzazione» è sempre in agguato (come dimostrato da questa riforma).
È sbagliato poi procedere a una regolarizzazione totale in un colpo solo. Intanto perché un numero di supplenze brevi sarà sempre necessario visto che gli insegnanti di ruolo non si possono spostare a metà anno e, in particolare alle medie e alle superiori, ci sono sempre buchi da riempire. Ma, soprattutto, viene meno l’obiettivo di incidere drasticamente sulla qualità dei professori creando un cammino prevedibile, affidabile e meritocratico per l’accesso all’insegnamento che attragga i migliori.
Questo sarebbe anche possibile seguendo come pare la strada dei concorsi annuali. Peccato che essi siano poco credibili dal fatto che di colpo si stabilizzano 150 mila precari. Una cifra che equivale a 6 anni di turn over visto che ogni anno vanno in pensione tra i 20 e i 30 mila insegnanti.
E non è questione di risorse. Contrariamente a quanto sostengono le «linee guida», la scuola italiana non ha bisogno di molti fondi aggiuntivi, perché, anche dopo i «tagli», il rapporto insegnanti- studenti è più alto della media Ocse (l’Organizzazione cooperazione e sviluppo economico). Tanto più che Matteo Renzi ha promesso di tenere i conti della spesa pubblica sotto controllo.
Quanto alla meritocrazia, la riforma lascia molto a desiderare. Sulla selezione, perché appunto i concorsi sono incerti e quindi si riduce la possibilità di attrarre i migliori. Va un pochino meglio sui 150 mila da stabilizzare. Un po’ di meritocrazia ci sarebbe perché dovranno essere scelti dalle scuole: i più bravi riceveranno offerte da più istituti e gli altri marginalizzati in incarichi secondari.
Per ciò che riguarda il resto degli oltre 600 mila insegnanti, per i presidi e per le scuole, l’obiettivo di raggiungere una maggiore meritocrazia si perde. Secondo le linee guida della riforma, i professori dovrebbero avere stipendi differenziati. Ma in base a cosa? L’unico criterio concreto appare essere quello dell’aver frequentato dei corsi di specializzazione, che in Italia si sono sempre rivelati di scarsa utilità formativa. Le scuole verranno invece misurate in base a una non meglio precisata «autovalutazione». Cosa se ne faccia il ministero di queste «autovalutazioni» non è chiaro. Esistono Paesi, come la Finlandia, che hanno ottimi sistemi educativi. Eppure non valutano le scuole e non differenziano gli stipendi degli insegnanti per merito. Come ci riescono? Puntando moltissimo sulla selezione all’ingresso degli insegnanti (una professione che attira i migliori laureati) e su una vera formazione, fatta in classe da professori esperti e non attraverso corsi di aggiornamento. Proprio le due leve che questo decreto sembra ignorare o addirittura penalizzare, come avviene per la selezione attraverso concorsi.
Se si vogliono ottenere risultati in poco tempo, come ha fatto la Polonia, bisogna allora valutare scuole e insegnanti. E si deve farlo sulla qualità dei risultati, misurati in modo oggettivo, non su parametri burocratici o potenzialmente fasulli. Dovremmo rilanciare gli odiati test Invalsi e dotarci di un ispettorato serio. 

Si dovrebbero usare i risultati di quei test almeno per dare trasparenza alle famiglie su come sono valutate le scuole. E andrebbe fatto prima ancora di pensare a differenziare gli stipendi degli insegnanti e i fondi alle scuole. Ma di tutto questo, nonostante l’obiettivo della trasparenza sia citato, le linee guida non parlano affatto.
Il dubbio che emerge è che l’obiettivo politico sia il vero leit motiv di questa riforma. Che verrà applaudita dagli insegnanti e dai sindacati che si sono opposti ai «tagli», ma purtroppo anche da milioni di famiglie che non amano i test e non capiscono che essi sono una garanzia per la qualità dell’insegnamento e quindi di un minore rischio di disoccupazione per i propri figli .
Il «patto tra insegnanti, scuole e famiglie» di cui parla la riforma rischia quindi di peggiorare ulteriormente la quota di senza lavoro tra i giovani del nostro Paese.

3 commenti:

  1. MAURIZIO BONANNI

    Bravo Stefano! ho appena scritto, in un post, a uno di questi che fanno il tifo per la riforma Renzi, osservavo come, In un post di parecchio tempo fa, avessi descritto una delle possibili soluzioni "sistemiche" al problema di abbinare merito e guadagni nel pubblico impiego, con particolare riferimento alla scuola.. Questo è un possibile (ma ne esiste uno, a mio avviso, ancora più efficiente) modello << Capiamoci bene: "Istruzione pubblica" vuol dire che lo Stato ha l'obbligo di creare -attraverso la fiscalità generale- le condizioni "paritarie" di accesso all'istruzione, per tutti gli aventi diritto. Avere reclutato gli insegnanti per concorso (equiparandoli al pubblico impiego) è, quindi, una semplice aberrazione, perché il profilo più ovvio da riconoscere loro è quello di "liberi professionisti", in modo da non creare NESSUNA differenza tra "pubblico" e "privato"! Non viene, forse, ribadita in ogni dove la “libertà” di insegnamento? E, allora, perché gli insegnanti vengono equiparati a dei “Burocrati”? Perché, forse, votano in massa a sinistra che, com’è noto, statalizzerebbe anche i sassi? Io, invece, osservo che -rispettando in toto lo spirito e la lettera dell'attuale Costituzione- il Diritto allo Studio, garantito dalle risorse fiscali pubbliche, lo si può attuare nel modo più ovvio. Ovvero: fissati, a livello nazionale, i costi standard delle prestazioni nel servizio pubblico scolastico, si mettono in competizione pubblico e privato calcolando, semplicemente, il costo/anno x studente "Y"), in funzione delle classi di età. Dopo di che, basterà assegnare a ogni istituto scolastico, pubblico o privato, un budget finanziario corrispondente a Y x (il N. di studenti iscritti), in modo che ogni istituto si paghi autonomamente gli stipendi dei propri insegnanti/impiegati e il mantenimento della struttura. In tal modo risulta chiaro, semplice e diretto premiare gli insegnanti e gli Istituti migliori. Infatti, in questo modello, ogni Istituto decide autonomamente, attraverso il proprio management, scelto dall'Assemblea degli insegnanti -e non imposto, come oggi, dal Ministero!- come ripartire i "profitti" (calcolati per differenza tra, da un lato, le spese fisse -tra cui gli stipendi- e i costi di manutenzione e, dall'altro, i ricavi pari al versamento quote/studente da parte dello Stato, alle quali si sommano gli "optional" derivanti dall'arricchimento dell'offerta formativa, da parte del singolo Istituto). In tal modo, "a spesa invariata" (per lo Stato!!), è possibile creare un mercato pubblico/privato, lasciando che siano i lavoratori e i loro manager a eliminare ogni possibile spreco! Estendete questo ragionamento alla sanità, e vedrete che effetto che fa sui corrotti e sugli immensi sprechi di questa terribile Tribù burocratica (leggetevi i saggi dell’etnologo Robert Jaulin, per capire di che cosa parlo)!>>

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  2. MAURIZIO

    In pratica, caro Stefano, tutti i miei interventi, per rivoluzionare la PA, hanno, in realtà, un fondo ideologico puro. Io NON VOGLIO, infatti, che lo Stato controlli e gestisca un bel nulla. "L'algoritmo" socio-economico che tento di costruire e perfezionare, da molti anni a questa parte, nasce da un assunto, per me, fondamentalissimo. Ovvero: OGNUNO E' IL PADRONE ESCLUSIVO DELLA RICCHEZZA CHE PRODUCE! Quindi, in tale ottica, trovo e propongo (lo faccio dal 2000 in poi!) uno o più modelli, che convertano i pubblici impiegati (sanità, scuola, trasporti, etc., esclusa la sicurezza) da consumatori netti di ricchezza (quindi, da.. "parassiti") a produttori netti di ricchezza! La mia forza e competenza derivano dal fatto che, per 13 anni, sono stato un dirigente del sistema dei controlli interni della più grande Amministrazione statale! Così, in tutti i miei modelli, lo Stato vuole essere solo mero un collettore -attraverso la fiscalità generale- e un semplice redistributore della ricchezza nazionale. Per rilanciare seriamente l'economia italiana, occorre rivoluzionare radicalmente il sistema dei servizi pubblici e del pubblico impiego, ricavandone, con la drastica riduzione degli sprechi attuali, decine e decine di miliardi di risparmi/anno, dei quali potranno e dovranno beneficiare -in tutto, o in parte- coloro che ci lavorano. Allora, il segreto, a mio parere (e questo, in fondo propongo costruttivamente!) è quello di realizzare altrettanti, veri mercati settoriali nei servizi pubblici essenziali, come sanità, scuola e trasporti, primi fra tutti. Dobbiamo assolutamente abbandonare la mentalità assistenziale (infatti, nei miei schemi cancello il termine "impiegato pubblico", per farne un soggetto assolutamente attivo, che può arricchirsi quanto vuole, lavorando duramente ed elevando al massimo la qualità dei suoi prodotti-servizi!). Sull'altro versante, c'è un cittadino-utente, padrone, con i suoi soldi (che vengono -in proporzione al suo reddito- dalla redistribuzione equitativa della fiscalità generale!), di scegliere e premiare chi fa meglio, nella scuola, nella sanità nei trasporti, nella raccolta dei rifiuti, etc., etc.. Ecco, per me questa è VERA POLITICA, nell'interesse del bene comune!

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  3. Interventi davvero molto interessanti! Ad integrazione volevo citare il sistema svedese, di cui ho letto qualche tempo fa. In Svezia utilizzano i "Buoni Scuola", di competenza dei Comuni anziché dello Stato. In pratica questi vengono calcolati sulla base del costo medio per studente in una scuola statale, dopodiché ogni singola scuola, anche quelle private, riceve dal Comune tanti buoni scuola quanti sono gli iscritti. Tutti gli studenti possono così iscriversi gratuitamente, in qualsiasi scuola, privata o statale che sia.

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