Il ragazzo di 14 anni, seviziato da un vigliacco di 24, spalleggiato da altri due degni amici e coetanei, si salverà, dopo essere stato in pericolo di vita. Di qui l'imputazione, letta sui giornali, di tentato omicidio nei confronti di chi ha pensato bene di "giocare" (così lo difendono genitori e parenti, dementi e vigliacchi pure loro a quanto pare) con una pistola di quelle che si usano per lavare le auto...
Se le cose sono andate come vengono descritte nelle cronache di un po' tutti i giornali, non c'è scusa per i tre teppisti che, non sapendo come passare il tempo, se la sono presa col ragazzetto, reo di essere obeso. Certo, come spesso accade, quelli della procura sparano troppo alto : tentato omicidio.
Però le lesioni gravissime e volontarie ci stanno tutte, e non è roba da poco.
Dal bruttissimo episodio di cronaca prende spunto la riflessione amara di Pierluigi Battista, che nota come c'è una categoria di persone, pure in un'epoca dove domina un'attenzione per i termini a volte anche esagerata (i non vedenti, i non udenti, i diversamente abili...adesso ci sono anche i diversamente giovani, perché anziano, figuriamoci vecchio, non si può dire), che si pone fuori dalla sfera del socialmente corretto e sono le persone con troppi chili addosso. Gli obesi, i grassi.
Da leggere
Quegli insulti consentiti soltanto
contro gli obesi
Se date del «ciccione» a un mite ragazzo sovrappeso, tranquilli, nessuno vi rimprovererà per aver usato un’espressione offensiva nei confronti di chi, quando gli tocca umiliarsi alla bilancia, si avvicina angosciosamente ai cento chili. Non è il residuo di un’usanza lessicale arcaica: è l’ultimo linciaggio consentito in tempi in cui il linguaggio si fa sorvegliato, buono, premuroso, carico di buone intenzioni, attento a ogni diversità e ai diritti di tutte le minoranze. Tutte tranne una: quella dei grassi, colpevoli persino di scassare i conti del servizio sanitario nazionale e perciò da mettere all’indice.
I bulletti che bersagliavano di scherno il povero «cicciobomba» ci sono sempre stati e l’onta perenne di noi (ex) smilzi è di non esser mai intervenuti a difesa del povero compagno impacciato e impedito dal suo grasso in eccesso, messo in porta per renderlo inoffensivo durante una partitella di calcio. Ma ci saremmo vergognati a esercitare la nostra disgustosa crudeltà di fronte agli adulti. Anche in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick la recluta obesa e strabordante subiva le vessazioni del sergente che ne curava il severo addestramento: finì malissimo, con la recluta schiantata, resa folle da un trattamento insopportabile.
Oggi i ragazzini che a Napoli hanno seviziato e massacrato un «cicciobomba» sentono che attorno ai soprusi contro i grassoni non grava quell’atmosfera di indignazione morale che oggi giustamente circonda chi si appella in modo offensivo nei confronti di una minoranza religiosa, di una diversità sessuale, di una distanza etnica e razziale. Percepiscono rozzamente che il grasso se l’è cercata, che le intimazioni della nuova dittatura salutista trovano in quel loro compagno così deturpato dai rotoli di ciccia un ostacolo caparbio e ostinato. Non sono magri, snelli, slanciati, asciutti, in forma? Colpa loro che non seguono diete, non fanno sport, non sanno adeguarsi agli imperativi del «mangiar sano», non espellono calorie, non vanno in palestra. E ci costano. Sono vulnerabili alle malattie, non dureranno a lungo secondo gli algoritmi messi a punto dalla sapienza medica, dai guru del benessere, degli strateghi della salute e delle diete forsennate.
«Ciccione», «grassona», «palla di lardo», «chiattona»: si possono dire. Un tempo un individuo corpulento, di mole falstaffiana, veniva indicato come una figura arguta, sapida, capace di combinare i piaceri della mente con quelli del corpo. L’imponenza di Orson Welles era oggetto di ammirazione persino erotica. La floridezza era anche simbolo di lontananza dalle fatiche del lavoro manuale, bestiali, massacrante, certamente più efficaci delle nostre diete più raffinate. La prosperità si sposava felicemente con i chili di troppo. E i segaligni, pelle e ossa, divorati dai tormenti e dalle ambizioni, suscitavano diffidenza e sospetti.
«Vorrei che attorno a me ci fossero degli uomini piuttosto grassi e... che dormano la notte», dice Cesare ad Antonio nella tragedia di Shakespeare, «mentre quel Cassio è magro e affamato: pensa troppo, e uomini del genere sono pericolosi». Oggi parole del genere sarebbero impensabili. È da decenni oramai che nel mondo della moda le ragazze un filo sopra la norma della quasi anoressia vengono messe ai margini, con le conseguenze che sappiamo nella psicologia delle adolescenti. La pubblicità è totalmente impregnata di un messaggio che rende l’obesità una malattia orribile. Ciò che rende sconvolgente la permanenza del ciccione come destinatario di una condanna sociale è che la persecuzione linguistica della grassezza (e non solo banalmente linguistica come si è tristemente constatato tra i teppisti di Napoli) avviene in un’atmosfera culturale in cui il rispetto quasi sacrale di qualunque «diversità» è diventato un articolo di fede.
Non si offendono i ciechi e i sordi, la stessa parola «handicap» è circondata dai densi fumi sulfurei del politicamente scorretto. Si fanno le Paralimpiadi dei diversamente abili, ma i diversamente magri non verrebbero mai invitati. Il grasso può essere indicato come un renitente alla civiltà dei magri e dei sani. Contro di lui si possono usare le espressioni più atroci, che mai sarebbero tollerate in altri contesti e con altre vittime (forse solo con le persone di bassa statura: «nano», per quanto offensivo, si può dire, non si sa come mai). Perché i suoi chili di troppo indicano una colpa, una resistenza, un ostacolo. Non importa che soffrano in silenzio, maledetti ciccioni .
Nessun commento:
Posta un commento