mercoledì 29 ottobre 2014

LA LETTERA DI RINUNCIA DI LUCIANO VIOLANTE . IL PARLAMENTO COME UN TEATRO.


Luciano Violante è un "pentito" delle toghe rosse. E' lui uno dei padri di magistratura democratica (insieme a Caselli), con l'insana idea che i giudici non dovessero essere "solo" la voce della legge - compito già di per sé delicato ed arduo - ma anche dei "costruttori" della società, dei raddrizzatori etici. 
Pare che nel tempo si sia pentito, oppure ha ritenuto che la creatura sia cresciuta troppo e male. E' un fatto che da tempo non può essere più annoverato tra i "giustizialisti", anche se non sarà mai un "garantista". Del resto, chi nasce tondo, si sa, non muore quadrato. 
Oggi pubblico la lettera da lui scritta al Parlamento, in cui si tira indietro dalla corsa al ruolo di giudice costituzionale, visto che il fuoco amico, nell'urna segreta, lo paralizza da mesi. E' una missiva molto dignitosa, in cui è scritta una importante verità : il problema dell'impasse attuale non è normativo o regolamentare, ma antropologico. La qualità, ulteriormente scaduta, delle persone che siedono in Parlamento.


"Una deriva che offende le istituzioni
e io rinuncio"
di Luciano Violante 


Signore e Signori del Parlamento, le Camere avrebbero dovuto eleggere due giudici della Corte Costituzionale nel giugno scorso. A distanza di quattro mesi da quella data, nulla è cambiato. In silenzio, per molte settimane ho assistito alla rotazione delle altrui candidature, ho letto polemiche gratuite e ho subito attacchi infondati. In trent’anni di impegno parlamentare ho imparato che un’elezione, di qualsiasi tipo, non è un concorso per merito; conosco le condizioni in cui si svolge la lotta politica.
Tuttavia le attuali condizioni del Paese non consentono di considerare questi fenomeni nel novero dei normali accadimenti. Il protrarsi della indecisione, che mi auguravo superabile, sta producendo un grave discredito delle istituzioni parlamentari accentuato dal manifestarsi in Aula, nel corso delle ultime votazioni, di comportamenti, limitati ma gravi, di dileggio del Parlamento. Improvvisi, recenti appelli non sembra abbiano contribuito alla chiarezza.
È necessario fermare una deriva che offende l’autorevolezza delle istituzioni e la dignità delle persone.
Ritengo perciò che rientri nei miei doveri ringraziare non formalmente gli oltre cinquecento parlamentari che mi hanno sinora votato e invitare tutto il Parlamento a scegliere altra personalità ritenuta più idonea ad ottenere il consenso necessario. Su ogni altra considerazione prevale per me la necessità che le Camere siano messe in condizione di decidere. Tuttavia ritengo che in questa limitata vicenda si siano manifestati problemi di portata generale, sui quali ciascuno di noi, nell’esercizio delle proprie responsabilità di cittadino consapevole, potrebbe soffermarsi.
La vita politica italiana attraversa una difficoltà di decisione che non deriva tanto dalla inadeguatezza delle regole quanto dalla idea, non maggioritaria, ma diffusa, che l’attività politica debba ridursi a uno scontro privo di confini e di principi morali. Nessun Paese può tollerare per troppo tempo una vita parlamentare frenata da ribellismi e forzature; una democrazia incapace di decidere attraverso il rispetto delle reciproche posizioni è una pura rappresentazione teatrale.
Sono in discussione i comportamenti non le norme; potremmo cambiare tutte le regole costituzionali e parlamentari, ma si tratterebbe di una illusione regolatoria perché le leggi sono inefficaci senza i «buoni costumi», che impongono comportamenti misurati e lungimiranti soprattutto quando sono in questione le nomine in organi di garanzia.
In queste circostanze concorrere a decisioni rapide e responsabili diventa un dovere, per la considerazione dovuta tanto al Parlamento quanto alla Corte costituzionale.
Il nostro Paese ha dimostrato in tante vicende lontane e vicine di possedere la forza per ripartire. Queste energie sono presenti in misura vasta anche nelle Camere. Se non esistessero saremmo miseramente crollati da tempo. Permettetemi di sperare, al di là della questione che mi ha personalmente coinvolto, che le classi dirigenti, di cui voi siete parte rilevante, consapevoli che l’essere tali costituisce non un privilegio ma una responsabilità, diano anima a queste energie, rendendosi interpreti dell’interesse generale e restituendo così alla politica l’autorevolezza che le spetta in una democrazia funzionante. A partire dalla rapida elezione dei due nuovi componenti della Corte costituzionale.
Con sincero rispetto e con un vivo augurio per il vostro lavoro.

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