Piero Ostellino è sempre stato duro,molto, con l'attuale Premier, dall'inizio, tanto che una volta titolai un post "ma che gli ha fatto Renzi ad Ostellino ?" ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/ma-che-gli-ha-fatto-renzi-ad-ostellino.html).
Anche in un'altra occasione lo aveva paragonato alla buonanima di Benito Mussolini ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/10/ostellino-renzi-piccolo-mussolini.html), ma in quell'occasione la cosa sembrava limitata al biasimo della retorica imbonitrice, della propaganda facile.
Stavolta lo definisce senza mezzi termini un autocrate. Uno che si è servito del partito che ora sta rivoluzionando, epurando tutti i precedenti maggiorenti, solo come trampolino per il potere. E torna a fare l'esempio di dittatori del passato, che avrebbero realizzato la stessa operazione : Stalin, Hitler e, al solito, Mussolini.
Aggiunge subito che non pensa naturalmente che Renzi sia accostabile a personaggi così nefandi della Storia, e che il paragone riguarda il metodo di utilizzazione del partito ai propri scopi personali.
Resta che non esita ad usare per il Premier la parola "autocrate", che ha un significato ben preciso.
Come detto in passato, ritengo assai esagerato tutto questo, eppure i lettori sanno come io non sia esattamente un entusiasta di Renzino.
Però ogni volta mi sembra che qui si cerchi il "Diavolo", laddove ci si trova di fronte ad un altro italiano molto normale nel farsi gli affari propri, però più ambizioso e capace nell'arrivare al vertice.
Nelle leggi promosse da Renzi finora vedo spesso confusione, rischi di scarsa efficacia, ma non pericoli per la democrazia.
Così il braccio di ferro col sindacato non lo vedo davvero come un attentato democratico e mi sbalordisce un po' che a criticare Renzi sul punto sia un liberale di ferro come Ostellino. Ma come, per una volta che qualcuno dice alla CGIL e sodali che le leggi le fanno il Governo e il Parlamento e non la piazza (a proposito, dirlo anche a quelli del CSM e della ANM ? sarebbe bello !) , che si può ascoltare e discutere ma poi decide chi è stato eletto (oddio, a dire la verita su questo Matteo un po' carente lo sarebbe..., ma vabbè, alla bisogna si può sempre sbandierare il celeberrimo 41% delle europee, che c'entra una mazza con il mandato nazionale ma fa brodo lo stesso), e non i capi delle varie consorterie.
Il che non è autarchico ma la base della democrazia,vieppiù rappresentativa, come lo sono tutte quelle occidentali.
No, stavolta proprio non mi ritrovo con il grande giornalista, e quindi le cose che trovate evidenziate nell'articolo dello stesso, non lo sono per condivisione ma per segnalare i passaggi più cruenti.
Un uomo solo al comando
La rottamazione fa male alla sinistra
Ciò che Renzi sta facendo nel Partito democratico e con il sindacato non è il modo migliore per modernizzare la cultura politica. Ci sarebbe bisogno di meno personalismi e più pensiero critico
Ciò che Matteo Renzi sta facendo nel Partito democratico –
l’eliminazione progressiva della vecchia guardia, che pur merita di
andare in pensione — rivelando che la tanto sbandierata rottamazione è
stata solo la giustificazione demagogica di una operazione personale di
potere per liberarsi dei concorrenti e conquistarne la segreteria — e
nel Paese, l’irrisione del sindacato sceso in piazza contro il governo
delle chiacchiere — irrisione che, con l’aria che tira, è come sparare
sulla Croce rossa — non sono un modo di modernizzare la cultura politica
della sinistra, né del sindacato. Ma il contrario.
Il ragazzotto fiorentino —
che abbiamo a capo del governo senza averlo votato e che fa il verso al
peggior Machiavelli della vulgata popolare — è ambizioso e cinico a
sufficienza da distruggere irresponsabilmente lo stesso partito del
quale è segretario e le poche tutele di chi lavora, pur di accrescere il
proprio potere personale sia nel Pd, sia nel Paese. È anche abbastanza
furbo per vendere la distruzione del partito di cui è segretario come un
effetto collaterale della riforma politica e istituzionale che
promette. I media comprano, a scatola chiusa, per una cosa seria gli
effetti collaterali della sua ambizione. Non c’è più nessuno che pare
essere in grado di chiamare le cose col loro nome. Il rischio che
corrono gli italiani è di finire nel tunnel di una ridicola autocrazia
mascherata da riformismo parolaio; che, attraverso la leva fiscale —
brandita anche da certi burocrati di Bruxelles — faccia perdere loro le
libertà individuali, dopo aver distrutto, con la fine della sinistra e
del sindacato, quelle collettive.
Lo si lasci dire, allora, a chi scrive da sempre,
senza mezzi termini, che la cultura politica di sinistra è stata, e
ancora è, una iattura per il Paese. La distruzione del Pd, e
l’assunzione di un potere personale sempre maggiore da parte del suo
segretario e capo del governo non vanno nella direzione della
modernizzazione della cultura politica della sinistra. Quella che Renzi
sta compiendo è l’operazione regressiva che tutti gli autocrati hanno
compiuto nei confronti del Partito, o del movimento, che li aveva
portati ai vertici del potere politico. La rivoluzione sovietica si era
rapidamente risolta nella dittatura del Partito comunista e del suo
Comitato centrale sul proletariato; successivamente, la deriva
totalitaria aveva dato vita alla dittatura di Stalin sul Comitato
centrale del Pcus, sullo stesso partito e sull’intera società. La stessa
operazione avevano compiuto Hitler nel movimento nazionalsocialista e
Mussolini, nel fascismo, impadronendosene. Non sto dicendo che Renzi è
come Stalin, Hitler e Mussolini, ci mancherebbe; sto solo segnalando che
le stigmate dell’autocrate le ha tutte, e non le nasconde; basta
ascoltarlo o guardarlo in Tv per constatarlo; lui esibisce la propria
ambizione e ricorre a certe maniere spicce, nella presunzione che, in
fondo, piacciano e gli procurino consenso.
In un Paese meno cialtrone, i media reagirebbero denunciando inganno e pericolo
e l’opinione pubblica ne prenderebbe atto. Da noi, i media fingono di
non vedere o, addirittura, plaudono, con la parte meno matura
dell’opinione pubblica, all’«Uomo nuovo che cambierà l’Italia» come, nel
’22, avevano inneggiato all’originale, in nome dell’Ordine, abdicando
alla funzione che, in una democrazia, dovrebbero esercitare a difesa
delle libertà individuali e collettive.
Personalmente, non nutrivo alcuna simpatia, né ho oggi alcuna nostalgia, per la signora Bindi né per Massimo D’Alema. Ma
ciò che inquieta è che in gioco non sono loro, ma una parte della
nostra storia, della nostra tradizione politica, con i suoi limiti e le
sue carenze e, con essa, il futuro del Paese.
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