Meno male che c'è la Francia. L'Italia litiga con Bruxelles, portando il livello di tensione con la Commissione UE a vette mai conosciute nemmeno ai tempi dell'"inaffidabile" Silvio. La lettera ricevuta dalla capitale belga, pubblicata per fare un dispetto a Barroso (anche noi italiani carenti in inglese intuiamo cosa significhi "strictly confidential"), al di là del linguaggio diplomatico, è piuttosto dura, contestando al governo italiano la volontà chiara di non rispettare i patti. Il che è asoslutamente vero. Il problema è che quei patti sono considerati vessatori e dannosi.
Comunque, come detto, per fortuna ci sono i cugini francesi, che sforano da due anni e vogliono farlo per i prossimi tre. E' vero che non hanno il debito pubblico che abbiamo noi, però è altrettanto vero che i compiti loro non hanno mai cominciato a farli !
La Francia però ha un rapporto privilegiato con Berlino, la Merkel farà di tutto per giungere ad un compromesso. E questo gioverà anche agli altri "discoli".
Merkel cerca la mediazione per “salvare” l’alleato francese senza sconfessare i patti
Parigi a rischio: “Ma il compromesso si troverà”
REUTERS
Angela Merkel con Francois Hollande
inviata a berlino
Il compromesso per l’Italia già c’è, ma per essere confermato ha bisogno che un tassello degli attuali, frenetici negoziati tra Bruxelles, Parigi e Berlino vada a posto. E non è un tassello piccolo. Non a caso, la settimana scorsa Jean-Claude Juncker è volato a Parigi per trattare con François Hollande. E anche tra la cancelleria e l’Eliseo la linea del telefono è incandescente.
La Francia è l’elefante nella cristalleria, il Paese che ha osato la provocazione più grande, violare il disavanzo per altri tre anni dopo gli sforamenti degli ultimi due. E per Angela Merkel è diventata il grattacapo più enorme. La cancelliera vuole trovare l’escamotage per abbonare all’alleato storico l’infrazione regina sui conti - che lei ha contribuito a presidiare e ad inasprire con il Fiscal compact - senza dare l’impressione che in Europa si sia passati dalla camicia di forza all’anarchia. Merkel non può indebolire più di tanto un partner già massacrato dalla popolarità ai minimi, dalla faida nel suo partito e angustiato dalla destra di Marine Le Pen che getta un’ombra cupa sulle presidenziali del 2017 ma soprattutto sull’Europa. E non può neanche consentire che la seconda economia dell’eurozona se ne infischi del Trattato per ben cinque anni senza una contropartita forte. Sarebbe quasi una sconfessione del Patto, sottoscritta dal Paese simbolo dell’austerità.
«Il compromesso si troverà», concordano fonti diplomatiche italiane e tedesche, i più ottimisti scommettono che Parigi la farà franca su tutta la linea - i più cauti pensano che potrebbe al massimo rischiare che la Commissione le bocci il bilancio. La Francia, cui ieri è arrivata una lettera che secondo indiscrezioni somiglia nel tono a quella arrivata all’Italia - con una soluzione che rappresenta già un compromesso tra la linea dura voluta inizialmente da Barroso e quella proposta dai francesi - potrebbe proporre un aggiustamento un po’ più consistente di quello dichiarato sinora e fornire, soprattutto, impegni chiari sul cronoprogramma delle riforme. Ma alle sanzioni, concordano le fonti, non si arriverà.
Oltretutto, sono in molti a guardare con impazienza al cambio di guardia tra Josè Manuel Barroso e Jean-Claude Juncker. L’improvviso inasprimento dei toni e le prime versioni delle lettere, in cui Bruxelles avrebbe voluto fare la faccia feroce con Parigi e Roma, sono state lette da tutti come un tentativo del portoghese di riaggiustarsi il curriculum in vista del rientro in patria, dove aspirerebbe alla presidenza della Repubblica. Ovvio che avrebbe bisogno di dire ai suoi connazionali, massacrati dall’austerità degli ultimi anni, che è stato un presidente che non ha fatto sconti neanche ai “grandi”.
Un punto di caduta della mediazione, intanto, è già scritto nei numeri arrivati ieri nella a Roma. La lettera rappresenta già una via di mezzo tra lo 0,5% di correzione che avrebbe voluto chiedere il presidente uscente della Commissione Barroso e lo 0,1% offerto dal governo italiano. La correzione chiesta, circa lo 0,25%, «è minore, guarda caso, alla cifra che nella Legge di stabilità è contenuta sotto il titolo “fondo di riserva”, circa 3,4 miliardi che erano stati previsti per gli eventuali rilievi della Commissione», osserva una fonte politica. Tuttavia per l’Italia non è il caso di tirare un sospiro di sollievo: la verifica vera sarà a marzo, con la nuova Commissione. Se Renzi non avrà portato avanti allora una fetta consistente del programma di riforme, niente più sconti.
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