venerdì 10 ottobre 2014

PER ANTONIO POLITO, RENZI E' OLTRE IL PRESIDENZIALISMO (SENZA ESSERE STATO ELETTO)



Polito, gliene va dato atto, non è mai salito sul carro renziano. Era un sostenitore di Letta, come lo era stato di Monti, e non gli è piaciuto (nemmeno a noi, che pure non eravamo fan di enrichetto) come Renzino si è preso Palazza Chigi.  Cinicamente, ma realisticamente, diceva il toscano : è stata una forzatura, però, se faremo bene, presto nessuno se ne ricorderà più. 
Siccome ce ne ricordiamo, o abbiamo memoria lunga, o le cose non stanno andando bene.
Nell'editoriale di oggi sul Corriere, il giornalista lamenta l'esautoramento delle Camere del Parlamento. Francamente, non è che io l' abbia mai vista in gran salute l'istituzione parlamentare. Oggi ratificano come soldatini, un po' riottosi in alcune limitate frange, le decisioni del Premier, ieri facevano le stesse cose obbedendo a quelle delle segreterie dei partiti. Oggi c'è il Patto del Nazareno, ieri c'era il compromesso storico che ha avuto una vita anche precedente e successiva rispetto alla sua stagione ufficiale (che invece durò poco). 
Però, secondo Polito, adesso si sta esagerando. Senza aver cambiato Costituzione, viviamo una sorta di presidenzialismo, che di per sè non è un male (anzi), ma senza i controbilanciamenti di quel sistema (a dire la verità, questo anche Ainis lo lamenta, anche in prospettiva, quando il bicameralismo non ci sarà più, aumentando l'incisività dell'esecutivo). 
Credo che molte delle considerazioni di Polito siano giuste, ma siccome c'è poco da rimpiangere della prima Repubblica, almeno dagli anni 70 in poi, il ritorno al parlamentarismo non la vedo come la soluzione dei mali che giustamente denuncia. Bisognerebbe avere il coraggio di scegliere appunto il sistema presidenziale, col Presidente eletto dalla Nazione (come negli USA e in Francia), e con le garanzie esistenti in quelle costituzioni.
Certo, vedere uno prepotente come Renzino senza essere mai stato eletto, un certo effetto lo fa.
E non mi rompete co sta storia farlocca del 41% (che manco era), che va bene per i beoti del telegiornale dell'ora di cena.
Si è trattato delle elezioni europee, che contano come il 2 di coppe briscola spade, e con un'astensione del 45 % !  Alle politiche del 2013, dove pure l'astensione fu elevata, la stessa non superò il 35% dei votanti. Dare per scontato che in una nuova consultazione per il governo del paese si ripeta quel 40,3% va bene per la propaganda, non è realtà. E comunque, Hic Rhodus ! E invece Rodi è, prudentemente, tenuta lontana...



Le camere messe da parte
Ragioni ed eccessi
 


Da molti punti di vista, quello di Renzi è un governo extra-parlamentare; forse il primo di una nuova era. Non solo perché il premier non siede in nessuna delle due Camere: c’era già il precedente di Ciampi, anche se gestito con altro stile. Ma per motivi più di merito.
Si moltiplicano infatti i luoghi di decisione politica esterna che il Parlamento non può rimettere in discussione: il Patto del Nazareno, un discorso nella Direzione del Pd, un incontro estivo con Draghi. La stessa ratifica parlamentare si fa al contempo obbligata (con la fiducia) e vaga (con la delega), trasferendo sempre più il potere legislativo all’esecutivo: come è avvenuto sulla riforma dell’articolo 18, di cui nei testi votati non c’è niente, e tutto resta affidato alla tradizione orale e agli impegni verbali.
Il parlamentare è ormai un’anima morta, legata al leader da un ferreo vincolo di mandato; il che, come in ogni servitù, lo induce alla rancorosa vendetta ogni volta che può agire in segreto, ad esempio col triste spettacolo della mancata elezione dei giudici della Consulta. In alternativa, se non è d’accordo, può solo disertare dal suo mandato (assentandosi o dimettendosi).
La stessa definizione di presidente del Consiglio non si addice più a Renzi, il quale pur essendo primus non è certamente più inter pares tra i suoi ministri, come testimoniato dalla performance di Giuliano Poletti sulla riforma del mercato del lavoro

Pur senza nostalgie per il regime parlamentare uscente, davvero impossibili, bisogna riconoscere che qui siamo oltre. È come se avessimo sostituito a vent’anni di mancate riforme istituzionali la biografia e la personalità di un leader di quarant’anni: una riforma costituzionale incarnata, in personam invece che ad personam .
Prima o poi doveva succedere: la democrazia parlamentare non può sopravvivere a periodi troppo lunghi di paralisi. A Bersani e D’Alema che protestano per l’andazzo odierno andrebbe risposto che ne sono in buona parte responsabili. Però non è detto che la nuova costituzione materiale che si sta delineando sia l’unica forma di post-democrazia possibile.
Non è vero che funziona così ovunque. Perfino in un regime presidenziale come quello statunitense i parlamentari hanno un incomparabile potere di condizionare le scelte dell’esecutivo. Perfino a Westminster le ribellioni in Aula sono all’ordine del giorno. Perfino in Germania la Merkel ha dovuto spesso ricorrere ai voti dell’opposizione per resistere alle defezioni interne della sua maggioranza. Istituti come la sfiducia costruttiva, sistemi elettorali basati sul collegio uninominale, o anche un presidenzialismo dotato di check and balances , consentono di avere insieme governi autorevoli e Parlamenti liberi.
Sarebbe il caso di pensarci per tempo. Perché democrazia è certamente decisione, ma è anche e soprattutto potere di controllare il potere.

Ogni giorno, e non solo una volta ogni cinque anni.

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