domenica 26 ottobre 2014

UN MILIONE A SAN GIOVANNI ? NO, MA TANTI SI. MA RENZI FA CAPIRE "ME NE FREGO". ORMAI LA SINISTRA E' SPACCATA



La Camusso dice "siamo un milione"...a Piazza San Giovanni ? Forse a stiparle ce ne entrano la metà, di persone.  Al Circo Massimo poteva, e non è sicuro, essere possibile, ma a San Giovanni no.
Erano comunque tanti, su questo non c'è dubbio.
Ebbene, Renzi, mostrando da questo punto di vista una tempra sconosciuta a Berlusconi, ha mostratto di fregarsene "Bella piazza, ma noi (leggi : IO ) andiamo avanti lo stesso". Bè. qui l'applauso scatta sincero. Un Premier può ascoltare la piazza, ma non si fa ricattare dalla stessa.  Berlusconi dal 2001 al 2006 non ebbe questa forza (non parliamo poi dal 2008, quando l'esecutivo fu presto azzoppato dalla diaspora finiana..a proposito, che fine ha fatto costui ?? ).  Il motivo non credo sia solo politico, c'è una componente caratteriale. Berlusconi è uomo che vorrebbe piacere a tutti, accomodare le cose, sedurre gli interlocutori. Poi, se non ci riesce, s'inasprisce. Ma l'indole è quella. Renzi è un vero discendente di Dante, della sua terra. Un ambizioso arrogante, che non ha paura dello scontro, anzi lo cerca. 
Naturalmente è anche un eccellente tattico, per cui se lancia provocazioni, se replica con sarcasmo, a volte anche astioso, lo fa perché sa di poterlo fare, almeno al momento. 
Resta che, come osserva oggi Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, la giornata di ieri ha evidenziato in modo ormai palese quanto sia netta la divisione a sinistra e i tempi appaiono decisamente maturi perché, come accade in altri paesi europei dove esistono due formazioni in quel lato dello schieramento, una più moderata l'altra più radicale (nel senso di massimalista) , anche in Italia ci sia un soggetto alla sinistra dell'attuale PD dove possano confluire quelli come Fassina, Civati, i vendoliani superstiti ma soprattutto la parte conservatrice del sindacato, quella fordista. Il tutto sotto la guida di Landini.
A quel punto Renzi perderebbe voti su quel lato, ma molti ne guadagnerebbe al centro. Non so se tanti da conquistare il premio dell'Italicum, qualora la nuova legge elettorale finisca alla fine per vedere la luce (Ve lo ricordate "fatto !" ?? io si....). In caso contrario, sarebbe interessante vedere con chi il partito di maggioranza relativa stringerebbe alleanze.
Quelli di IPSOS, facendo una proiezione col sistema proporzionale attualmente in vigore, deceduto il Porcellum, mostrano chiaramente che, OGGI, Renzi non avrebbe più la maggioranza attuale, anche bissando il risultato delle europee, e non gli basterebbe certo l'appoggio di Alfano (quelli di Scelta Civica scomparsi, come è bene e giusto che accada). Resterebbe solo Forza Italia ( e del resto, già ora il patto del Nazareno sembra sottendere intese che vanno al di là delle sole riforme istituzionali). 
Rimane che la frattura c'è, ed è grande, ché sono tanti quelli di sinistra-sinistra che alle europee hanno votato Renzi turandosi il naso. Se non lo facessero più, i conti andrebbero aggiornati.



Le due sinistre parallele 
che non si appartengono più
 


La sinistra del futuro è il mungitore sikh con bandiera rossa o Fabio Volo con telecamera? I precari dei trasporti o il finanziere Serra che propone di impedire loro di scioperare? I tipografi dell’ Unità con la foto degli occhiali rotti di Gramsci o i nuovi alfieri del made in Italy Bertelli, Farinetti, Cucinelli?
La mattinata al corteo della Cgil e il pomeriggio alla Leopolda hanno mostrato che la scissione — anche cromatica — non è nelle volontà, è nelle cose. Mai vista a Roma una manifestazione così rossa, ognuno con la sua pettorina: chimici, tessili, agroindustria, costruzioni e legno, energia e manifattura, trasporti e Nil, Nuove identità di lavoro, che non si sa come chiamare. A Firenze in molti hanno avvertito l’opportunità di indossare la camicia bianca. Contro Berlusconi la Cgil sfilava in un’atmosfera di rabbia e di gioia, si sentivano tensione ed energia. Stavolta il sentimento prevalente è l’angoscia. Certo, si canta e si balla con gli inni tradizionali — Bandiera Rossa, Bella Ciao, Contessa — e la musica etnica. Ma i manifestanti raccontano storie di sconfitte e talora di disperazione, come quelle degli ex lavoratori dell’ex stabilimento Montana di Paliano, Frosinone: «Sono venuti di notte con i Tir, hanno portato via i macchinari e la merce, non abbiamo più trovato nulla. In 36 siamo rimasti senza lavoro». Alla Leopolda si tenta di rappresentare la fiducia e si finisce per esprimere soddisfazione, talora compiacimento. Rituale tra la convention Usa e la seduta degli alcolisti anonimi: «Mi chiamo Alfredo, sono il direttore di una piccola società di biotecnologia…». Slogan: «Il futuro è solo l’inizio».
Anche Landini con felpa Fiom dice che «questo corteo è solo l’inizio». Se Renzi ha conquistato il centro, è inevitabile che alla sua sinistra nasca un nuovo partito; e i punti di riferimento non saranno certo D’Alema e Bersani, cui neppure la minoranza Pd obbedisce più, e forse neanche la Camusso, che con tono lamentoso critica la prima manovra espansiva di un governo italiano da tempo. Landini appare il leader predestinato della sinistra che verrà, l’antagonista naturale di Renzi, cui lo avvicina un feeling personale ma da cui lo separa il sospetto di essere stato usato, anche in funzione anti-Cgil. In futuro potranno ancora rendersi utili l’uno all’altro: il premier confermerà di aver rotto con la sinistra tradizionale, il sindacalista di essere l’unico vero oppositore. Per Renzi il corteo non esprime odio ma estraneità, i pensionati della Spi imbacuccati contro il primo freddo ne parlano come di un nipotino deviato, i percussionisti africani in maglietta portano un cartello con la sua caricatura.
Renzi si improvvisa conduttore e chiama sul palco i «cortigiani» come li definisce Vendola, in realtà tra i più importanti imprenditori italiani, qualcuno sin troppo entusiasta. Cucinelli vaticina «un grande rinnovamento morale, civile, economico, spirituale». Oggi è atteso Farinetti: «Dirò che sono un renzista, non un renziano; fedele al metodo, non all’uomo». Dall’ultima Leopolda è cambiato tutto, Renzi è andato al governo, ha ricompattato il partito chiudendo l’accordo con Errani in Emilia e Rossi in Toscana, ha messo ai margini gli uomini del rinnovamento come Richetti, che è venuto lo stesso. La sinistra è al potere ma l’Unità ha chiuso, «il voto a tempo indeterminato non esiste più» dice del resto il premier, tra due anni potrebbe avere un Parlamento docile nelle sue mani con Salvini sindaco di Milano e la Meloni di Roma. Patrizio Bertelli, il signor Prada: «Io rispetto gli operai, ho passato la vita con loro, ma questo corteo mi è sembrato una liturgia, come la Pasqua e il Natale».
Alla fine si è andati o di qua o di là, nessuno ha osato farsi vedere sia al corteo sia a Firenze, neppure l’ex segretario del sindacato e del partito, Epifani: «Ho scelto Roma, non ce la faccio ad andare alla Leopolda, che comunque considero interessante. Il problema è come il Pd possa tenerla insieme con una piazza in cui la maggioranza l’ha votato». Un problema irrisolvibile. Non è come quando i ministri comunisti di Prodi protestavano contro il loro stesso governo: quella fu una contraddizione, o un’astuzia, subito punita dagli elettori. Ora ci sono due mondi separati, che non si riconoscono e non si appartengono più.

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