Qualche tempo fa sul Corriere della Sera apparve un intervento eccezionale da parte di un alto magistrato, il Dr. Giuseppe Berruti, Presidente di Cassazione. Non so se è lo stesso che cita Giuseppe Gargani, avvocato e navigato politico italiano DC, nella sua lettera al Garantista, visto che lui cita Repubblica. La riflessione di Berruti la registrammo subito come perla rara e preziosa, e la pubblicammo nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/07/i-magistrati-che-vogliono-veramente.html . La trovate nel suo testo integrale (per chi volesse, dello stesso magistrato, c'è un pregevolissimo commento sulle dimissioni del collega Ingroia...http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/06/quei-giudici-che-nutrono-la-rabbia-non.html ).
Interessante e pertinente mi sembra l'analisi che oggi, prendendo spunto da quell'intervento, fa il vecchio ed esperto politico e legale.
La crisi della politica, la complessità della società e la carenza di leggi troppe numerose e scritte male hanno lasciato praterie di "supplenza" alla categoria dei magistrati, che da Ordine, quale erano secondo la Costituzione, sono diventati Potere. E lo esercitano per intervenire e "migliorare" la Società. Che evidentemente non era e non dovrebbe essere il loro ruolo.
Berruti: finalmente un magistrato che critica il potere dei magistrati
Caro direttore, qualche giorno fa un alto magistrato per la prima volta non ha difeso corporativamente la sua categoria ma, sia pur con riserve, nei confronti di chi alimenta critiche contro le sentenze solo per contestare “la giurisprudenza come sistema”, pone un interrogativo che è alla base del rapporto tra politica e giustizia.
Giuseppe Berruti (su Repubblica) auspica che il legislatore definisca nuovamente, in modo credibile e accertato, il ruolo dei giudici nell’attuale contesto istituzionale.
Non credo di sbagliare ma è la prima volta che un magistrato-giudice si pone questo problema superando tutta la retorica della indipendenza intoccabile come feticcio che pone il magistrato al di sopra delle istituzioni come colui che “fa giustizia” e fa prevalere il bene sul male: una entità etica.
Berruti si pone un problema fondamentale che è la chiave di volta della tematica attuale: la Costituzione, egli dice, attribuisce alla magistratura un potere diffuso per cui la decisione del giudice è presa “senza intermediazioni”, come interprete della legge e in questo modo la sua indipendenza non è personale ma è appunto “diffusa”. Certamente i costituenti si trovavano in presenza di un “ordine” giudiziario neutro “bocca della legge” e lo regolarono come tale.
Questo principio nei fatti è oggi superato per il ruolo diverso che esercita la magistratura e non solo in Italia. Nel 1948 quando i costituenti scrissero la Costituzione, la magistratura era altra cosa e la giustizia aveva un valore autonomo e residuale nel senso che la certezza della norma, in un preciso contesto codicistico, garantiva la terzietà del giudice, la sua estraneità rispetto alle passioni politiche e la sua scontata imparzialità.
Negli anni successivi abbiamo verificato una espansione del potere giurisdizionale che ha alterato l’equilibrio tra i poteri così come l’aveva concepito Montesquieu.
L’intervento del magistrato è più penetrante e più diffuso rispetto al passato, e il giudice non è più sottoposto alla legge ma per così dire si trova in qualche modo “di fronte alla legge”, come è stato detto con particolare acume da un illustre giurista, e si è costituito in soggetto politico anche perché il Parlamento ha prodotto tante leggi che hanno rafforzato il suo ruolo di supplenza e la sua funzione “politica”.
Si è determinato un rapporto anomalo tra diritto e giustizia, due termini che realizzano una patologia pericolosa quando sono in disarmonia. Individuare il ruolo della magistratura nei sistemi democratici maturi è un problema delicato e difficile laddove la giurisdizione si è arricchita di valori e di potere per le nuove e complesse funzioni che essa ha assunto e perché è diventata essa stessa garanzia e supporto di democrazia e di libertà. L’evoluzione del diritto e appunto il significato nuovo della giurisdizione, hanno di fatto superato il dettato costituzionale e l’”ordine” è diventato “potere”.
La crisi della legge, d’altra parte, ha affievolito la sua supremazia a vantaggio di un ruolo più consistente del giudice, che dunque si attribuisce una funzione pressoché illimitata di interprete della stessa norma, e quindi immagina di assumere un ruolo diverso, incontestabile: quello di raddrizzare il “legno storto” dell’umanità! E incidere quindi nella società.
Insomma si è diffusa l’idea che il giudice è il garante della legalità mentre egli, in una visione laica e democratica, è chiamato ad una funzione ben diversa e cioè a reprimere l’illegalità: di qui l’anomalia della funzione giudiziaria e la inevitabile conflittualità con il potere politico e legislativo. Questo ruolo è maturato lentamente in questi anni con l’indifferenza del legislatore, e il magistrato è diventato il protagonista delle lotte sociali e delle lotte di libertà.
Dobbiamo dunque partire da questa considerazione di fondo per adeguare la Costituzione alla nuova realtà stabilendo la nuova funzione (oggi ibrida) del pubblico ministero, il nuovo ruolo del giudice e il valore della sua “indipendenza”.
Il richiamo di Berruti al legislatore è sacrosanto ed è fortemente impegnativo per evitare interventi come quelli “urgenti” presentati dal Governo che non tengono conto di questa complessa problematica e immaginano di trovare inutili scorciatoie per rendere la giustizia più rapida! E invece arrecano danni maggiori.
Giuseppe Gargani
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