Trovo di una saggezza elementare, tipica di chi è dotato di solido buon senso, le parole che Pierluigi Battista dedica alle periferie romane, sull'onda dei fatti di Tor Sapienza. E' stato un brutto colpo per le elite intellettuali benpensanti non poter parlare come sempre di "fascismo" , associato al "razzismo" di fronte alla mobilitazione di un quartiere contro l'insediamento rom. L'inquadtratura delle tv, gli articoli dei cronisti descrivono persone semplici, del popolo, non i comodi "fascisti". Guerra di poveri contro poverissimi, semmai così l'hanno dovuta descrivere i giornali di sinistra.
Se poi il popolo è razzista, questo non lo so. Ricordo che mio padre, 40 anni fa, parlando del razzismo in America, commentava che era facile per noi italiani non esserlo, visto che il nostro non era certo un paese di immigrazione (anzi, per più di un secolo era stato l'inverso).
Adesso le cose sono cambiate. La mia personale sensazione è che gli italiani, di fondo, non siano razzisti, ancorché la diffidenza per il "diverso" sia antropologicamente insita nell'animo umano. Però, di fronte a persone straniere ma per bene, lavoratrici, educate e rispettose delle leggi, non alziamo barricate. Il nostro non è un razzismo "etnico" quanto più di censo. Sono quelli in miseria che ci fanno paura, perché ne temiamo la disperazione. Ricolfi, in un suo saggio, mostrò come purtroppo i dati statistici confermino come il fatto che la criminalità sia percentualmente più diffusa tra gli stranieri sia un dato di fatto, al di là che poi i media diano maggiore enfasi ai delitti commessi dai non italiani. Pierluigi Battista ironizza sulla gente dei quartieri bene, che non hanno la minima idea non solo della realtà di certe periferie romane, ma della loro geografica collocazione. Tor Sapienza per loro è come dire Viziliu (borgata di Brasilia). E' facile, con queste premesse, argomentare in modo politically correct. Nei loro quartieri non c'è il coprifuoco come cala il buio, gli autobus - che comunque non prendono - passano senza bisogno di scorta, e le farmacie notturne possono esistere. Trasferire un campo Rom in Prati o ai Parioli non è nemmeno fisicamente immaginabile, però sarebbe bello se lo fosse, per vedere l'effetto che fa.
Le periferie disperate
che i romani non vedono
di Pierluigi Battista
In quasi sessant’anni di vita a Roma (sia pur con corposi tradimenti milanesi) non avevo mai visto Tor Sapienza e Corcolle. Anche l’altra sera in un’animata discussione tra gente dei quartieri alti sul Babuino pedonalizzato, si è constatato che nessuno aveva messo mai piede a Tor Sapienza e Corcolle. Perciò ho letto l’ottimo reportage di Goffredo Buccini dalle trincee del degrado metropolitano di Tor Sapienza e Corcolle con lo stesso senso di stupore di una lettura dei grandi etnologi e antropologi. Mi sono specchiato come un romano baciato dal privilegio di un autobus o di una farmacia aperta che non sa nulla della vita di centinaia di migliaia di altri romani recintati nelle periferie urbane. Perché quando fa buio Roma non è una. C’è quella della grande bellezza poverina, delle esuberanze super-alcoliche di una sguaiata movida. E quella che esplode nella violenza e nella paura quotidiana. La Roma degli insider e quella degli esclusi. La Roma monumentale e quella degli invisibili. Perciò gettare la croce addosso agli esclusi, ai dannati, ai reietti non è cosa buona e giusta. Trasferiamo a Piazza di Spagna, o a Prati o ai Parioli (non ad Acilia) la bomba umana che le autorità concentrano nelle riserve degli invisibili. E poi vediamo dove va a finire il nostro argomentare beneducato.
È appena uscito, con nuovi arrangiamenti, una raccolta meravigliosa di canzoni di Francesco De Gregori: «VivaVoce». Nella sua «Storia» canta versi che sono un inno alla dignità umana: «La storia siamo noi, siamo noi queste onde del mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare». La storia, però, non sempre è di tutti. Perché c’è un «noi» che non esiste, rinchiuso nell’incubo di una vita ingiusta e piena di pericoli, a qualche chilometro dalla cupola di San Pietro. E che rompe il silenzio, come in questi giorni, con un «rumore» che ci appare quasi insopportabile. La storia non sono «loro». Sono loro quando l’esasperazione tracima e si fa rabbia incontenibile e allora accorrono le telecamere e dal nulla, dal terrore quotidiano, gli esclusi e invisibili «esistono». Non votano più. Si sentono estranei. Senza scampo. Cosa cova lì sotto? Altro che ditini alzati, con rimproveri professorali. E non ci sono Pasolini e Walter Siti a raccontarci la vita di quelle che un tempo venivano chiamate «borgate» e oggi sono solo «periferie». E nemmeno un Carlo Levi a scrivere che «Cristo si è fermato a Tor Sapienza».
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