sabato 6 dicembre 2014

ROMA E' UN PROBLEMA POLITICO, NON MAFIOSO



Ieri Pierluigi Battista sul Corriere aveva scritto un bell'articolo ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/12/se-le-parole-hanno-un-senso-roma-va.html ) nel quale osservava che SE effettivamente sussistono motivi seri e fondati per affermare che nel Comune di Roma vi siano fenomeni di infiltrazione mafiosa, allora, assumendosi la responsabilità della gravità dell'assunto sostenuto, bisogna trarne le conseguenze politiche e giuridiche : scioglimento della giunta e del consiglio comunale, commissariamento e nuove elezioni. SE, ricordiamolo, la premessa fosse fondata, nella sua estrema gravità.
Lanfranco Caminiti, su Il Garantista di oggi, ribadisce le forti perplessità sull'invocazione dell'art. 416 bis ( di questo, molto bene aveva scritto sullo stesso giornale Tiziana Maiolo, nel post  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/12/il-sistema-della-pesca-strascico.html ), e quindi lamenta nell'azione odierna della Procura capitolina l'ennesimo episodio di commissariamento della politica da parte della magistratura. Nello spiegare il suo ragionamento, lo scrittore rivà con la memoria agli anni di tangentopoli, un'epoca, paradossalmente, quasi felice, almeno relativamente alla partecipazione dei cittadini alla politica, manifestata se non altro (ma, per una non insignificante parte, non solo ) attraverso il voto. Ancora nel 1994, a tempesta ormai passata, e i partiti della prima repubblica azzerati, ancora l'85% degli italiani si recò alle urne. Oggi si vince riuscendo a raggranellare il voto del 20-25% degli aventi diritto (se va bene). 
Se oggi assistiamo a quello che leggiamo, con un Sindaco ed un consiglio comunale eletti col voto di un romano su 5, non si può dire, come pure fa qualche amico nostalgico di una repubblica degli ottimati, che nella storia non si è praticamente mai vista, che abbiano avuto torto i 4 rimasti a casa. Se al cittadino elettore non gli fornisci candidati decenti, perché ogni volta quello si deve rassegnare al "meno peggio" e/o al voto "contro" ??
I pochi che restano, a quanto pare si aggiustano tra di loro, sinistra o destra non ha importanza, che un accordo poi si trova. 





Mafia Capitale, Ancora una volta la magistratura commissaria la politica italiana

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Se restiamo inchiodati a discutere di 416 bis, a proposito dell’ordinanza “Mafia Capitale” che ha letteralmente sconquassato la vita politica e amministrativa di Roma e del Lazio, cioè se la fattispecie dell’associazione di tipo mafioso contestata dalla procura di Roma sia corrispondente o no al vasto fenomeno di corruzione che ha provocato arresti, indagini e dimissioni a catena, non ne usciamo vivi, schierati in trincea di opinione da una parte o dall’altra. Certo, è una battaglia di garanzia e di diritti, ma questo non è tutto.
Non ci vuole la zingara per immaginare – come ha già scritto il direttore di questo giornale – che i pubblici ministeri e il procuratore capo Pignatone sapessero benissimo quale valanga stessero provocando. Quale valanga politica. Non solo l’evidente questione se il Comune di Roma vada sciolto e commissariato, dato che è “quasi giurisprudenza” – quanto meno è la teoria di Gratteri, procuratore di Reggio Calabria, non proprio l’ultimo in merito – che basti anche solo la “infiltrazione mafiosa” di un assessore perché tutto il consiglio vada sciolto.
E dato che questa teoria è stata largamente applicata, al Sud almeno, non si capisce perché Roma dovrebbe godere di uno statuto privilegiato. E l’altro versante, quello che lambisce il ministro Poletti, in quanto già capo della Lega delle coop, anche se non c’è alcuna sussistenza di reato né tanto meno alcuna indagine in merito, non è un effetto collaterale da meno. Sarà un effetto mediatico, ma di questo campa la politica. D’altronde, ci si obietterà, non ci più sono “santuari” inaccessibili e il tribunale di Roma, come altri, non è più un “porto delle nebbie” dove tutto si insabbia, e è meglio così.
Il punto perciò è che l’indagine “Mafia Capitale”, al di là degli aspetti folckloristici sul “Pirata o “er Cecato” Carminati e su tutta la mole di intercettazioni che lasciano trapelare avidità e pochezza nel mondo dell’amministrazione della cosa pubblica, è soprattutto una “cosa politica”. L’indagine “Mafia Capitale” è una questione squisitamente politica.
Era il 17 febbraio 1992 quando arrestarono Mario Chiesa, socialista, che ricopriva la carica di presidente del Pio Albergo Trivulzio a Milano, e che venne colto in flagrante mentre accettava una tangente di sette milioni di lire. Era l’inizio di Tangentopoli. Il “mariuolo” – come lo definì Bettino Craxi – Mario Chiesa sarà il primo tassello di un domino che getterà giù l’impianto politico della Prima repubblica. È una storia che tutti sanno. Si ricordano meno alcuni caratteri della vita politica di allora, in senso sociale, ampio, di partecipazione. Alle elezioni politiche del 5 aprile 1992 – poco dopo l’arresto di Chiesa, perciò – votarono per la Camera in 41 milioni 479.764, cioè l’87,35 per cento degli italiani; e per il Senato, in 35 milioni 633.367, cioè l’86,80 per cento. Alle elezioni politiche del 1994, quando ormai Tangentopoli era un diluvio, un giudizio universale, e Berlusconi era sceso in campo votarono per la Camera in 41 milioni 546.290, cioè l’85,83 per cento; e per il Senato, votarono in 35 milioni 873.375, cioè l’85,83 per cento. Sono dati dell’archivio del ministero dell’Interno, e sono numeri incommensurabili rispetto la partecipazione attuale al voto. Il sindaco Marino, per dire, che di questo stiamo parlando, è stato eletto con il 45,05 per cento degli aventi diritto di voto. Meno di uno su due romani andò a votare. Lo sconquasso politico di Tangentopoli non provocò il vuoto, o quanto meno il vuoto della politica che non esiste in natura fu colmato da Berlusconi e dalla Lega, mentre i grandi partiti di massa ancora tenevano. Aggiungo un paio di dati: nel 1991 gli iscritti al Pci/Pds sono 989.708, quasi un milione; l’anno prima ne aveva un milione 264.790 e nel 1987 un milione e mezzo. Insomma, siamo dopo la caduta del muro di Berlino e c’è sconcerto, ma il “partito comunista più forte dell’occidente” tiene ancora botta.
Se li confrontiamo, questi numeri – tratti dalle ricerche dell’istituto Cattaneo – con la sconfortantissima polemica tutta intestina sugli iscritti attuali del Pd, che non arrivano nemmeno ai trecentomila, si capisce di costa sto parlando. E gli iscritti alla Democrazia cristiana, sempre nel 1991, erano un milione 390.918, mentre l’anno prima ne aveva sopra i due milioni. Ora, la differenza evidente tra l’indagine “Mafia Capitale” con altri episodi di corruzione della cosa pubblica, tanto per dire il “caso Fiorito” che pure portò alle dimissioni della giunta Polverini, con il suo contorno di feste da Trimalcione e sprechi privati giustificati da pizzini volanti, sta nel carattere di “sistema”: mentre il caso Fiorito, che pure riguardava una pletora di consiglieri che allegramente spendevano i lauti soldi dei loro stipendi ha aspetti erratici e casuali – e peraltro molti si appellavano alle larghe maglie di discrezionalità che la legge offriva loro –, quello che risulta e risalta dall’indagine della procura di Roma è un “sistema” di gestione di flussi finanziari, con la triangolazione tra soggetti pubblici, soggetti privati, cooperative sociali. È qualcosa, insomma, che somiglia molto più a una Tangentopoli che a una Parentopoli.
L’anomalia, insomma, è quel signore che teneva in casa centinaia di migliaia di euro “bloccati”: gli altri spendevano, compravano case, automobili, affittavano ville, insomma alimentavano e drogavano il Pil della città, con l’economia criminale. Certo, Tangentopoli era il “sistema Italia” e qui parliamo di un “sistema Roma”. Però, la valenza politica di Roma Capitale è sempre stata tale da avere un risvolto nazionale. Che sia implicato o meno un ministro.
La differenza tutta politica tra il 1992 e adesso sta nei numeri che ho dato prima. Il sistema politico è esangue. E neppure il grillismo è riuscito a trasfondervi qualcosa. Il sistema politico è stretto nella tenaglia tra il renzismo (che, va ricordato, non ha mai avuto alcun suffragio elettorale) e l’astensionismo ormai dilagante. Paragonate l’affluenza in Emilia Romagna nel 1992 (per la Camera, Circoscrizione Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì: 94,44 per cento; Circoscrizione Parma-Modena-Piacenza-Reggio Emilia: 92, 99 per cento) con il misero 37,7 per cento delle regionali di qualche giorno fa, e si capisce di cosa stia parlando. Il professor De Rita è intervenuto più volte recentemente a proposito del declino dei “corpi intermedi” – della politica, delle istituzioni – e della fragilità complessiva che questo comporterebbe nel sistema Paese, un vuoto non sostituibile con il verticismo e l’avocazione verso il centro che il presidente del Consiglio sembra privilegiare. Il fatto è che il renzismo non sembra coprire il vuoto della partecipazione politica, anzi all’opposto sembra incassarne gli effetti. Non è solo una caduta di stile la battuta arrogante di indifferenza rispetto la scarsa affluenza alle urne.
Forse è vero che la magistratura vuole mostrare di poter tenere sempre sotto schiaffo la politica, qualsiasi. O forse, in un certo senso l’indagine della procura di Roma di Pignatone sembra dare una mano al renzismo. È un’indagine rottamatoria. E di lunga durata. E in quanto tale ne prolunga la vita, lo rende ineluttabile. Proprio l’opposto di Tangentopoli. E la risposta politica è: si commissaria il partito, si avocano a sé le decisioni. Se sarà il caso, si procede anche sfidando le urne a livello locale: si può vincere anche con il trenta per cento di voti, o pure meno.
Forse, non è di questo che ha bisogno Roma. E neppure il Paese…

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